Processo antimafia Beta. “I Santapaola-Romeo di Messina rispettati da tutti…”

A Messina e provincia era riverita proprio da tutti, anche dagli irriducibili boss della cosca mafiosa barcellonese, storica alleata dell’ala stragista di Cosa nostra. Era la famiglia Santapaola-Romeo residente ed operante nella città capoluogo dello Stretto, strettamente imparentata e partner d’affari del dominus delle organizzazioni criminali di mezza Sicilia, don Benedetto “Nitto” Santapaola. Stando a quanto riferito all’ultima udienza del processo Beta dall’ex rappresentante dei barcellonesi Carmelo D’Amico (già spietato killer ed odierno collaboratore di giustizia), il nome dei Santapaola-Romeo incuteva il massimo rispetto tra i colonnelli e i gregari dei gruppi di fuoco attivi nel territorio compreso tra Villafranca Tirrena, Milazzo, Barcellona Pozzo di Gotto e Portorosa. Con i Santapaola-Romeo da Messina si pianificano e si autorizzavano le rapine e le estorsioni alle imprese locali e nazionali interessate alle grandi opere, si mediavano i conflitti insorti e si festeggiavano accordi e pacificazioni nelle sale da matrimonio e nelle discoteche più gettonate dell’area mamertina.
“Io ero un soggetto che si interessava di estorsioni e di quant’altro”, ha esordito Carmelo D’Amico all’udienza del processo Beta in corso di svolgimento al Tribunale di Messina. “Ero un personaggio di spicco della mafia barcellonese in quanto avevo commesso decine e decine di omicidi. Poi divento ambasciatore a Cosa Nostra per conto della famiglia di Barcellona. Avevo rapporti con tutti, con la famiglia Gullotti, con Sem Di Salvo, ecc.. Io però non sono stato fatto uomo d’onore perché nel 1990-91 sia Nitto Santapaola che Totò Riina avevano stabilito che in Sicilia non si dovevano fare più uomini d’onore. Alcune delle famiglie siciliane questa regola non l’hanno rispettata, però noi, Pippo Gullotti, Sem Di Salvo, Giovanni Rao, l’abbiamo sempre rispettata”.
Gente di assoluto rispetto
“Enzo e Piero Santapaola erano i referenti su Messina della famiglia Santapaola”, ha aggiunto D’Amico. “I Santapaola erano rispettati da tutte le famiglie messinesi, da tutti. Nessuno si permetteva di fare un torto alla famiglia Santapaola o alla famiglia Romeo di Messina, non esisteva…. A Pietro ed Enzo Santapaola li ho conosciuti nel 1994-95 al carcere di Messina Gazzi perché sono stati arrestati per l’operazione Orsa Maggiore ed io ero al reparto Camerotti alla cella numero 32; li abbiamo ospitati lì e sono stati con me diversi mesi. Quando arrivava un detenuto, se noi lo volevamo in cella lo prendevamo, se non volevamo che uno restasse se ne doveva andare. Siccome all’epoca io ero il responsabile di quella cella, della cella numero 20, della numero 21, l’ho ospitato sapendo che erano i nipoti di Nitto Santapaola che abbiamo tenuto latitante noi a Barcellona, a Terme Vigliatore. Quindi sono saliti e loro sono venuti diretti nella cella dei barcellonesi. Mi ricordo una cosa di quel periodo. È arrivato un ragazzo di Capo d’Orlando, l’abbiamo preso noi perché era un bravo ragazzo, era alla terza branda, perché era un letto a castello a tre. Una volta gli disse a Enzo Santapaola: Mi sembri il comandante del carcere. Quella era una grossa offesa, come si ci avissa dittu sbirru. Io a questo soggetto lo tirai giù dalla branda, lo buttai a terra e gli feci male… E Enzo mi prese col braccio e mi disse: Carmelo, no, non ti preoccupare, lascialo stare, non…. L’abbiamo capito che era un ragazzo semplice…”.
Il collaboratore di giustizia ha spiegato come la sua relazione con i Santapaola proseguì dopo le rispettive scarcerazioni. “Quando siamo usciti dal carcere abbiamo avuto diversi incontri. Mi ricordo che Vincenzo Santapaola mi ha contattato tramite Nino Treccarichi, perché loro hanno una vecchia amicizia con Nino che è stato sempre legato allo zio Ciccio Romeo, alla famiglia Romeo. A Enzo e a Piero Santapaola li conosce da ragazzini. Già in quel periodo Treccarichi era inserito nel clan dei barcellonesi. Io avevo avuto incontri con Nino, nel 1991, 1992. Lo conosco dall’epoca, che frequentavamo insieme a Mirabile, andavo a casa sua, a Spatafora. Ci incontravamo, ma addirittura portava alcuni calabresi di spessore. Abbiamo avuto diversi incontri con Pippo Gullotti e con l’avvocato di Reggio Calabria che poi l’hanno arrestato, che gli ha tagliato la testa e gliel’ha buttata là, gli ha sparato. Mi ricordo che pure Sem Di Salvo ha voluto che gli presentassi sia Enzo che Piero Santapaola, e così ho fissato un appuntamento a casa mia a Barcellona Pozzo di Gotto. Ci siamo incontrati io, Piero Santapaola e Sem Di Salvo, per discutere di estorsioni”.
“Dopo di ciò, divenuto nel 1997-98 l’ambasciatore a Cosa Nostra da parte dei barcellonesi, con Piero Santapaola abbiamo avuto diversi appuntamenti”, ha aggiunto D’Amico. “Ci incontravamo al casello di Catania e gli appuntamenti li concordavamo tramite Nino Treccarichi, Santo La Causa, Alessandro Strano. Poi c’erano i contatti anche con Alfio Castro che era molto amico sia di Enzo e di Piero Santapaola. A Catania con Santo La Causa e Pietro Santapaola abbiamo discusso sempre di estorsioni e abbiamo avuto incontri anche con lo zio Nino, Nino Santapaola, il fratello di Nitto. C’eravamo io, Piero Santapaola, Nino Santapaola, Santo La Causa e Franco La Rocca di Caltagirone che è il responsabile della famiglia La Rocca, e là si è discusso sempre di estorsioni. E poi stava nascendo una guerra fra i La Rocca e i Santapaola e praticamente abbiamo fatto questo incontro per placare gli animi, per arrivare ad un accordo fra di loro, perché i La Rocca si lamentavano che i Santapaola non si comportavano bene per le estorsioni e poi per altri furti di mezzi, che i catanesi andavano praticamente a rubare nelle zone di Caltagirone dove era responsabile la famiglia La Rocca. Questi fatti avvennero dal 1996 fino al 2000”.
Nel corso della sua testimonianza, l’ex associato al clan dei barcellonesi ha riferito pure di importanti incontri con Piero Santapaola e alcuni affiliati dei clan etnei in un esercizio commerciale della zona di Monte Po a Catania. “Il panificio era a sinistra sulla strada e c’era là dentro Nino Santapaola e Santo La Causa. Poi ci hanno fatto spostare, abbiamo attraversato la strada dall’altro lato, in una piccola stanza in una vecchia casa, e abbiamo discusso là io, Piero Santapaola, Nino Santapaola, Santo La Causa e Franco La Rocca”, ha raccontato Carmelo D’Amico. “Negli incontri a Monte Po con Santo La Causa e Piero Santapaola abbiamo sistemato delle estorsioni, per esempio quella di Cappellano. Mi ricordo che questa estorsione ricadeva in una zona a Catania che era dei Cappello e praticamente là è intervenuto Santo La Causa e l’imprenditore Cappellano poi si è rivolto direttamente… Li ho fatti andare io sul cantiere perché il Cappellano già era a posto con noi perché ci pagava l’estorsione. Pagava a Filippo Milone e la cosa si è sistemata. Ma abbiamo sistemato tantissime estorsioni. Mi ricordo prima che arrestassero Santo La Causa c’era stata la ditta Santangelo, questo è il compare di Mariano Foti di Barcellona che avevano fatto una presentazione. C’era un autotrasportatore, un camion carico di televisioni, arie condizionate, un autotreno e hanno dichiarato che questo mezzo aveva subito una rapina e se l’erano preso. E gliel’ho fatta avere tramite sempre io e Piero Santapaola. Siamo andati a Catania e questo mezzo è stato portato da Santangelo a Catania dove loro hanno piazzato la merce e dovevano corrispondere per essa decine e decine di migliaia di euro che poi non sono stati corrisposti. È stato il figlioccio di Santo La Causa, Alessandro Strano, perché Santo La Causa l’avevano arrestato latitante e gli hanno trovato, mi ricordo benissimo quando l’hanno arrestato, un pizzino dove aveva riportato il numero di telefono dei Santangelo. Poi è subentrato il figlioccio di Santo La Causa, me l’ha presentato sempre Piero Santapaola. Questo Alessandro Strano non mi piaceva perché non era come Santo La Causa che era un personaggio di spessore e molto serio. Mi dava appuntamenti, ci incontravamo in un bar insieme a Piero Santapaola e non mi piaceva. E siccome avevo il processo per il triplice omicidio e non c’era ancora stata la sentenza, ho parlato con Sem Di Salvo e abbiamo mandato avanti a Bisognano Carmelo. E i rapporti poi successivamente a me ce li aveva avuti il Bisognano Carmelo con Piero Santapaola. Però poi il fratello Piero si è ritirato. Ricordo che lui mi chiamò e mi disse: Vedi che io mi metto un po’ di lato perché il mio nome sta girando troppo su Messina e anche su Catania e quindi ora te la vedi con mio fratello Enzo. E così dopo, 2000-2001 è subentrato il fratello Enzo Santapaola ed ho avuto rapporti continuamente con lui, sempre per quanto riguarda le estorsioni che abbiamo sistemato fino al 2007, 2008”.
Alle imprese ci pensa Trischitta…
Il collaboratore di giustizia ha poi citato altri episodi in cui i fratelli Santapaola avrebbero assunto un ruolo chiave nella gestione delle estorsioni a danno di noti costruttori. “Un’altra volta ho mandato un biglietto dell’estorsione della ditta Presti a Catania, un’altra estorsione che l’ha sistemata Enzo Santapaola e Pippo Castro”, ha aggiunto D’Amico. “Il Castro gli portava un sacco di soldi di estorsione direttamente prima a Piero Santapaola, poi a Enzo e anche allo zio Ciccio Romeo, praticamente, con cui lui aveva i contatti (…) Abbiamo sistemato l’estorsione io con Piero Santapaola o con Enzo Santapaola agli imprenditori che andavano a lavorare a Messina. I messinesi sono soliti, quando c’è un cantiere, che ci và chiunque. Così se andava qualcuno in un cantiere per sottoporli ad estorsione, l’imprenditore doveva riferire a quello che era a posto con Pietro Trischitta, perché Vincenzo e Piero Santapaola avevano fatto questo accordo con il Trischitta e una minima parte di questi soldi andava pure a lui. Dovevano fare il nome di Trischitta anche perché non volevano, sia Enzo e sia Piero, che circolasse il loro nome a Messina. Voglio specificare che i Santapaola avevano questo accordo con Pietro Trischitta perché loro erano i responsabili della famiglia Santapaola su Messina e quindi erano molto vicini ai Trischitta, e anche perché loro non si volevano sputtanare e non avevano tanta fiducia nei messinesi perché c’erano troppi collaboratori di giustizia. Piero Santapaola si fidava solo di Piero Trischitta e di Franco u funnaru cioè Franco Giacobbe. Di quest’ultimo mi diceva che era una persona a posto; degli altri aveva un po’ di diffidenza… Sia il Piero e sia Enzo erano diffidenti. Ricordo che all’epoca Trischitta era in carcere, all’ergastolo. Lo hanno arrestato a lui latitante all’epoca nelle zone di Terme Vigliatore, a fine anni ‘80, mi pare, inizio ‘90”.
“Tra le estorsioni che abbiamo sistemato c’è quella dei fratelli Capizzi, quelli che stavano facendo il lavoro all’ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto, il Cutroni Zodda, l’hanno ristrutturato”, ha proseguito il collaboratore. “Eravamo a fine 2008, inizio 2009. Questi Capizzi, fratelli, nipoti, hanno un sacco di società, mi sembra ad Agrigento. E hanno preso un lavoro a Messina a questi qua li ho sistemati io. Mi ricordo che il lavoro era in un torrente, località Annunziata, dei lavori di ripristino… un bastione dovevano fare, una cosa del genere. Era circa 800 milioni di euro e gliel’ho fatta sistemare a otto mila euro, perché ai fratelli Capizzi io gli prendevo l’uno per cento del lavoro. I soldi glieli mandavo in diverse tranche con mio compare Nino Treccarichi a cui sia Enzo Santapaola che Piero Santapaola e lo zio Ciccio Romeo erano legatissimi. Mi ricordo che già mi avevano dato quattro o seimila euro e li ho mandati con Treccarichi direttamente a Enzo Santapaola. Poi incontravo a Enzo e gli chiesi: Ti puttau i soddi me cumpari? E lui mi disse: Mi puttò. Questa vicenda è avvenuta negli anni 2007, 2008 più o meno, perché ricordo che i Capizzi stavano facendo in contemporanea il lavoro a Barcellona Pozzo di Gotto e fino a quando non mi hanno arrestato per l’operazione Pozzo a gennaio del 2009, questa estorsione era in corso. Io ai fratelli Capizzi gli dissi: Se viene qualcuno sul cantiere gli dovete dire… perché è facile che vengano, è facile che qualcuno viene, perché c’erunu na massa i drogati a Messina che andavano su ai cantieri e ci ciccavunu i soddi a tutti, quindi non vedevano se la ditta era a posto o no. E allora gli dite che praticamente siete a posto con Pietro Trischitta. Qualunque estorsione che io ho sistemato con i fratelli Santapaola, mi hanno detto di fare sempre questo nome…”.
“Poi c’è stata un’altra estorsione che gliel’ho sistemata io, quella di Salvatore Puglisi dell’impresa di calcestruzzo MAP S.r.l., che doveva fare una cooperativa a Santa Lucia Sopra Contesse”, ha ricordato D’Amico. “Abbiamo avuto appuntamento a Messina con Piero Santapaola e mi ricordo che c’è stato anche Pippo Maniaci detto u ragiuneri, che faceva parte sempre della famiglia di Trischitta. Nello studio-ufficio che Salvatore Puglisi aveva a Messina, c’eravamo io, Piero Santapaola, Pippo Maniaci e il Puglisi. E abbiamo discusso di questo, anche perché c’era un terreno che aveva una signora dove si doveva costruire una cooperativa. E questo terreno lo stava curando il Pippo Maniaci. Quindi c’era l’interesse di Piero Santapaola e avevano discusso che se questo lavoro lo faceva Puglisi, per loro non sarebbe stata solo un’estorsione perché là venivano un centinaio di appartamenti. Praticamente avrebbero ricevuto in cambio centinaia di migliaia di euro. Questo fatto che riguardò Pippo Maniaci avvenne nel 1998-99; lui si incontrava con Pippo Gullotti ed era amico di Sem Di Salvo. Con Pippo Maniaci ci siamo incontrati più volte a Barcellona e a Messina, anche insieme a Sem Di Salvo e Pippo Gullotti. Prima del 1995 il Maniaci era più o meno il nostro referente su Messina”.
“Salvatore Puglisi mi ha fatto praticamente il prestanome”, ha aggiunto il collaboratore. “Era vicino a me, però in quegli anni il Puglisi pagava l’estorsione sia ai barcellonesi e sia ai messinesi. Decine di collaboratori di giustizia di Messina di quegli anni hanno raccontato che pagava l’estorsione a tutti, fra cui i Leo… Li ho conosciuti, ci sono andato io e gli ho sistemato le estorsioni. Mi ricordo in particolare che Giovanni Leo ca pari a scimmia, chiddu ca si ittò pentito nel 1992-93, accusò estorsioni quando facevamo i lavori noi a Messina, che faceva Puglisi a Messina della cooperativa, sempre nella zona all’Annunziata... All’epoca ero un semplice assunto da Puglisi. Praticamente era una forma di estorsione perché lui mi pagava anche se non andavo a lavorare. Poiché lo chiamavano al processo a testimoniare,  Salvatore Puglisi si rivolgeva a me dicendomi: Che devo fare? Ed io ci diceva, tanto per dire, che si doveva negare tutto. Gli ho sistemato le estorsioni a Gela con Carmelo Barbieri detto u prufissuri, della famiglia Madonia, che si incontrava con me. Dove lavorava lavorava, Puglisi pagava l’estorsione… Poi vinni uno dei fratelli Catanzaro e gli ha chiesto l’estorsione e c’ero io, andavo sul cantiere anche armato all’epoca. Così mi sono recato insieme a Salvatore Puglisi a casa di Giovanni Leo per dirgli: Vadda, chistu vi sta dannu i soddi a vuautriCome mai vi sta pagannu l’estorsione a vuautri e sta vinennu chistu, stu drogatu, stu Catanzaru?”.
Carmelo d’Amico ha riferito che sotto estorsione da parte dei clan barcellonesi c’era pure l’impresa Demoter del noto costruttore Carlo Borella, uno degli imputati eccellenti del processo Beta. “Praticamente la Demoter ci pagava l’estorsione e ci ha agevolato per quanto riguarda i soldi che doveva dare la società Bonatti e che ce li faceva avere proprio tramite la Demoter”, ha chiarito. “Ma in gran parte delle volte il Borella non si comportava bene con questi soldi perché ne tratteneva sempre una parte per sé… La Demoter faceva le fatture alla Bonatti e la Bonatti mandava questi soldi, che era una sola fatturazione, perché i soldi delle estorsioni che noi avevamo concordato con la Bonatti dovevano uscire tutti tramite fatture di tutte le ditte che avevano subappaltato il lavoro. E la Demoter era una di queste. Ci doveva fare avere i soldi di queste sovrafatturazioni tramite Carlo Borella e tramite il geometra… Però ci faceva tirare il collo… La Bonatti era puntuale, tutte le altre ditte subappaltatrici come Sottile, Arcobaleno, Aquilia e Scirocco, comunque tutti quanti praticamente erano puntuali, ci davano i soldi, tranne la Demoter che si tratteneva sempre qualcosa per sé...”.
“Quando lavoravo, io non ne subivo estorsioni”, ha spiegato D’Amico. “Io contribuivo perché lavoravamo con gli impianti e davo qualcosa ad Antonino Calderone per la bacinella, come contribuivano tutti, sia Sem Di Salvo quando faceva lavori pubblici, sia Mario Aquilia. Dovevano contribuire praticamente alla bacinella, perché se tutti i lavori li facevamo noi che eravamo quelli associati, gli altri che facevano, non pigliavano una lira? Siccome incassavamo con i lavori, che posso dire, cinquecentomila euro, pigliavamo ventimila euro, diecimila euro e li mettevamo nella bacinella. Questo che facevo non era comunque un’estorsione, era un contributo. Era un accordo che avevamo fra di noi, io con Di Salvo, con Rao e con gli altri…”.
Carmelo D’Amico si è poi soffermato su alcuni dei suoi innumerevoli incontri d’affari con Enzo e Piero Santapaola. “Con loro due ci incontravamo dappertutto. Anche con Ciccio Romeo. Abbiamo sistemato anche con lui alcune estorsioni tramite mio compare Nino Treccarichi. Una volta ci siamo visti in un bar, mi sembra all’uscita di Boccetta. Poi ci siamo incontrati all’Università e dove i fratelli Enzo e Piero Santapaola hanno un coso della carne, uno spiazzale dove praticamente ci sono tutte le celle frigorifere, sotto il campo sportivo di Messina, il Celeste… Avevano questa ditta insieme a una persona che conosco ma che non mi ricordo il nome. Comunque mi sono incontrato con loro dappertutto per sistemare tutto. Mi sono interessato anche per lo zio Nino Santapaola quando è stato al manicomio di Barcellona e l’Enzo Santapaola mi raccomandò di farglielo rispettare dentro. Anche questo ho fatto”.
“A u zu Cicciu Romeo l’avevo conosciuto perché me ne parlavano sia Enzo e sia Piero”, ha aggiunto D’Amico. “Poi ne parlammo anche con Santo La Causa negli appuntamenti a Catania. U zu Cicciu… Salutami u zu Cicciu! Salutimi o zu Cicciu! Poi mi è stato presentato negli anni 2001-2002, proprio da Nino Treccarichi, con cui si incontravano periodicamente. Abbiamo avuto un appuntamento a quel bar che ho detto io a Messina, a Boccetta, sempre riguardo all’estorsione. Ciccio Romeo era un altro appartenente della famiglia Santapaola, era la persona più anziana. Insieme ai nipoti erano quelli che comandavano per quanto riguarda la famiglia Santapaola a Messina”.
“Piero e Enzo Santapaola, oltre a Trischitta, avevano rapporti con altri soggetti della criminalità organizzata messinese”, ha riferito l’ex boss barcellonese. “Loro li conoscevano tutti. Mi ricordo che quando sono stati nel carcere, nel 1993, li rispettavano tutti. Li rispettavano i Trovato, i Piccoletto, gli Spartà. Tutti quanti li rispettavano… Con tutti avevano rapporti loro. Non mi ricordo se abbiamo avuto pure qualche incontro all’epoca con Enzo Santapaola e con Nicola Pellegrino, uno dei fratelli Pellegrino, anche loro facenti parte della famiglia Trischitta e che erano legatissimi ad Enzo e Piero Santapaola. Io sono stato in carcere con i fratelli Pellegrino, poi ho sistemato anche qualche estorsione insieme a loro. Mi ricordo benissimo che gli mandavo i soldi a Nicola Pellegrino per quanto riguarda l’estorsione della Bonatti, perché questa impresa ci pagava, avevamo aggiustato per qualche due milioni… centomila euro. Gli avevano fatto mettere degli escavatori su Messina e questi soldi che gli davano dell’estorsione dovevano andare sia ai Pellegrino e sia a Pietro Trischitta. I soldi venivano dati a noi e io li mandavo sempre con Nino Treccarichi ai fratelli Pellegrino…”
“Ricordo inoltre che a Piero Santapaola gli regalai una pistola colore grigio scuro, calibro 9 per 21. Gliela portai a Messina e forse c’era mio fratello Francesco con me sulla macchina, e la consegnai praticamente ad un bar alberato sul viale S. Martino dove c’è questa piazzetta a destra e poi accanto c’è pure una banca. Questa pistola era di un metallo leggerissimo che passava anche sotto i metal detector e non la segnava. Gli ho regalato questa pistola perché era bella, nuova. Ce ne avevamo tante armi; queste pistole arrivavano sempre tramite Sem Di Salvo e Carmelo Bisognano (…) Mi ha portato lui, il Santapaola, dall’avvocato Traclò per farmi togliere la detenzione. Abbiamo avuto l’appuntamento dall’avvocato perché nel 2006 avevo avuto la proposta di sorveglianza speciale e lui mi disse: C’è l’avvocato Traclò che si interessa e può anche darsi che non te la fa dare. Infatti mi sono incontrato nell’ufficio dell’avvocato Traclò, il padre però, mi ricordo all’epoca persona cinquantacinque, sessant’anni”.
Gli allegri brindisi nelle discoteche di Milazzo
Carmelo D’amico ha riferito inoltre di alcuni incontri con i fratelli Santapaola anche nella città del Longano e a Milazzo. “Con Vincenzo Santapaola ci vedevamo pure a Barcellona; insieme ad altri messinesi si recava al manicomio perché era in semilibertà. Tramite Santino della pizzeria al Togo, lui mi fissava gli appuntamenti, glielo diceva a Santino e quest’ultimo mi contattava: Vedi che stasera Enzo arriva alle dieci e ti vuole parlare. E mi facevo trovare là in pizzeria. Enzo Santapaola in quel periodo veniva in macchina insieme ad altri tre messinesi. Si fermavano tutte le sere al Togo; arrivavano verso le nove e venti, nove e mezza... Se io non andavo, mi mandava chiamando con Santino...”.
“Poi ci siamo incontrati con Enzo Santapaola in discoteca a Milazzo per discutere una situazione… Lui è venuto insieme o funnaru, sarebbe Franco Giacobbe, insieme a Filippo Messina. L’incontro è avvenuto all’Inside nel 2001, 2002… In questa discoteca c’erano oltre a me, Santino Napoli, Pietro Mazzagatti, Franco Giacobbe, Filippo Messina, Enzo Santapaola e anche Aurelio Micale. Poi mi ricordo che c’erano pure due dei cugini di Santapaola, uno di questi mi sembra che si chiama Maurizio, uno dei Romeo, dei figli di Ciccio. C’era pure mio fratello Francesco, perché sapevamo che stava arrivando Daniele Santovito e gli volevamo dare una lezione. Mi ricordo che arrivò con una jeep chi gommi tutti lagghi, tutta a strisci bianca, alta. Mi paria onestamente un viddanu, perché mi ha fatto antipatia per come è venuto, per come è sceso, praticamente gli volevo dare una lezione perché non mi piaceva l’atteggiamento che aveva. Avevano fatto un po’ di casino all’interno della discoteca. Lui era da Giustra, apparteneva sempre alla famiglia più o meno Trischitta. E Enzo poi mi ha detto: Lascialo stare e così non gli abbiamo fatto niente. La discussione avvenne sempre all’interno di quella discoteca che era aperta al pubblico e c’erano molte persone. Noi eravamo in una saletta sopra, un reparto più riservato però che affaccia sopra l’Inside. Vincenzo Santapaola si è interposto perché c’era un parente suo in questa discussione, qualcuno, un ragazzino, una cosa del genere… Insomma, l’abbiamo sistemata, l’abbiamo chiusa là, con l’intermediazione di Enzo Santapaola, e abbiamo brindato… Ci siamo fatti portare un po’ di bottiglie di champagne, ci siamo seduti al tavolo là e siamo stati un bel po’ a bere… Di questo incontro ho già testimoniato nel processo Gotha 7 qualche settimana fa. Dopo che abbiamo chiarito questa cosa, a Enzo Santapaola gli ho presentato Santino Napoli e quest’ultimo si è messo a disposizione per quanto riguarda in tutto e per tutto; se aveva di qualsiasi cosa, lui era a disposizione...”. Netto il giudizio di Carmelo D’Amico sul paramedico dell’ospedale di Milazzo, ex sindacalista e consigliere comunale per diverse legislature. “Santino Napoli è un altro nostro associato”, ha dichiarato il collaboratore. “Napoli faceva parte della nostra associazione ed era il nostro referente su Milazzo. Praticamente gestiva l’Inside, The Loft, Le Terrazze, comunque tutte le discoteche che c’erano a Milazzo. Lido Azzurro…” (va però rilevato che i titolari di questi locali hanno smentito qualsivoglia relazione con l’ex politico mamertino NdA).
“Con Enzo Santapaola ci siamo incontrati tantissime volte sia in discoteca, sia con mio compare Pietro Mazzagatti”, ha concluso D’Amico. “E mi ricordo che prima che arrestassero Mazzagatti nel 2006, Enzo è venuto da lui, in casa, sopra Santa Lucia del Mela dove c’è una villetta che è di Pietro, dove ora ha fatto la sala per matrimoni. Già lui lo conosceva, glielo avevo presentato io ad Enzo Santapaola. E’ venuto che doveva far fare una rapina a una Posta di Gualtieri Sicaminò, la dovevano fare questi messinesi, e con lui c’era Franco u furnaru. Riguardo alla villetta c’è stata una discussione, me lo dicevano, io quel giorno non ci sono stato, ero ad altri appuntamenti. Hanno discusso di questa rapina Enzo Santapaola con mio compare Piero Mazzagatti, Franco u furnaru e Filippo Messina che era quello che gli portava la macchina. Io e Pietro Mazzagatti abbiamo visto pure il percorso che dovevano fare i rapinatori e poi dovevano essere ospitati in questa sua villa di Santa Lucia. Dove si è discusso nella veranda c’era una microspia. Dopo pochi giorni, mio compare aveva avuto un guasto elettrico e l’ha trovata l’elettricista smontando la presa. Poiché questa microspia li aveva intercettati, mio compare si preoccupava e così questa rapina non venne fatta. O i carabinieri o la polizia, con la microspia nella villa di mio compare Pietro Mazzagatti, avranno riconosciuto al novantanove per certo la voce di Enzo Santapaola. Questa rapina non la dovevamo fare né io, né Mazzagatti, non Enzo Santapaola e neanche Franco u funnaru, ma persone che avevano cercato il nostro appoggio… Questo l’abbiamo fatto fare a tanti catanesi a Barcellona…”.
D’Amico ha ricordato infine i convivi amicali con Enzo Santapaola, Pietro Mazzagatti e le rispettive consorti. “A Villa Jasmine di Toluian siamo stati a mangiare insieme più volte. Era il 2005, 2006. Mio compare Pietro faceva i matrimoni a Villa Jasmine, lui faceva la ristorazione là e in tanti altri ristoranti. Una volta durante un matrimonio noi tutti eravamo in un tavolo a parte perché non eravamo invitati. Nelle cene non discutevamo, davanti alle mogli non dicevamo niente, per rispetto…. Poi ci alzavamo io, Pietro Nicola Mazzagatti, Enzo Santapaola, ci distaccavamo sotto gli alberi, perché a Villa Jasmine ci sono gli alberi, e parlavamo di quello che dovevamo parlare, delle estorsioni, della rapina o di quant’altro…”.

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