Armi e militari italiani per l’emiro del Qatar
L’ultimo incontro al vertice
tra le autorità politiche e militari d’Italia e Qatar, uno dei più ricchi e
armati emirati arabi, si è tenuto a Doha a fine novembre. Dal sovrano Sheikh Hamad
Ben Khalifa al-Thani, al potere in Qatar dal 1995 quando con un golpe spodestò
il padre, si sono recati in visita il sottosegretario alla difesa
Filippo Milone, il sottocapo di Stato maggiore ammiraglio Cristiano Bettini e il
consigliere strategico del ministro della difesa, Andrea Margelletti. Motivo ufficiale
della missione l’esercitazione multinazionale “Falcone Feroce 3”, svoltasi nei
pressi della capitale e a cui l’Italia ha partecipato con alcuni “osservatori”
militari.
“L’esercitazione multinazionale
è promossa dal Qatar fin dal 2008 con cadenza biennale”, spiegano in una nota
le forze armate italiane. “Sviluppa diverse tematiche addestrative, tra le
quali la lotta alle minacce asimmetriche e il contrasto al terrorismo, la
gestione di crisi umanitarie ed eventi di rischio chimico, biologico,
radiologico e nucleare”. Nel corso della missione in Qatar, sempre secondo lo Stato maggiore della
difesa, il sottosegretario Milone ha incontrato un distaccamento di istruttori
del GIS, il Gruppo Intervento Speciale dei Carabinieri, “presenti in Qatar per
fornire addestramento specialistico al Reparto incaricato della sicurezza dell’emiro
del Paese”.
La presenza di ufficiali
italiani a fianco della guardia d’élite di Sheikh Hamad Ben Khalifa al-Thani è solo una delle
attività regolate dall’accordo di cooperazione militare Italia-Qatar,
sottoscritto dal governo Berlusconi durante il conflitto contro la Libia di Gheddafi e ratificato dal parlamento
con voto bipartisan il 29 settembre 2011. Oltre alla partecipazione
congiunta ad esercitazioni e ad “operazioni umanitarie e di peacekeeping”, i due paesi possono collaborare
nell’“organizzazione” e nell’“equipaggiamento” delle unità militari e, soprattutto,
nello “scambio” di know how e materiali
bellici, armi e munizioni. L’accordo
di cooperazione fornisce un’ampia lista dei sistemi di guerra che possono
essere esportati od importati: armi
automatiche e di medio e grosso calibro, bombe, mine, missili, siluri, carri armati,
aerei, elicotteri, esplosivi e propellenti per uso militare, sistemi
fotografici ed elettronici, satelliti, sistemi di comunicazione ed attrezzature
digitali, ecc.. Per la copertura
finanziaria degli oneri previsti dall’attuazione dell’accordo, il
parlamento italiano ha autorizzato una
spesa annuale di 12.245 euro “mediante corrispondente riduzione del
Fondo speciale iscritto nel bilancio di previsione del Ministero dell’economia
e delle finanze”.
Il
Qatar è uno dei Paesi arabi più corteggiati dalle industrie e dalle banche
italiane, i fondi sovrani dell’emirato hanno fatto incetta delle più
prestigiose società immobiliari, di moda e turismo del made in Italy e adesso puntano ad entrare in Finmeccanica, la
holding nazionale a capo delle aziende produttrici di armi. Tutto ciò mentre lo
Stato arabo è all’indice delle maggiori organizzazioni non governative
internazionali per le sempre più frequenti repressioni delle opposizioni, le
violazioni dei diritti umani, l’applicazione della pena di morte, le
spregiudicate relazioni con l’islamismo radicale. Le forze politiche e i gruppi
economici e finanziari italiani non sembrano nutrire alcuna preoccupazione
neanche per l’attivismo diplomatico e militare di Sheikh Hamad
Ben Khalifa al-Thani nel conflittuale
mondo arabo, spesso con un ruolo tutt’altro che subalterno agli interessi
occidentali. In ottimi rapporti con la Fratellanza musulmana in nord Africa, il Qatar figura
tra i maggiori donatori per la ricostruzione del Libano a fianco degli effimeri
governi di “unità nazionale” che si alternano alla guida del martoriato paese.
L’emiro sta pure giocando un ruolo guida nella “riconciliazione” tra le varie
fazioni somale, sostenendo la leadership del controverso primo ministro Abdiweli
Mohammad Ali.
L’emirato è stato inoltre uno dei primi paesi al mondo
ad invocare l’invio di una forza multinazionale in Siria a sostegno dei “ribelli
in lotta contro Bashar al-Assad. Da più di un anno il regime di Damasco accusa il
Qatar di armare e finanziare gli oppositori e “manipolare l’informazione”
attraverso il canale televisivo di Al-Jazeera (di proprietà qatarina),
“bloccando così ogni soluzione alla crisi interna”. Il coinvolgimento diretto
dell’emiro nelle operazioni di guerra in Siria è stato documentato pure da
diversi organi di stampa israeliani. Citando fonti interne al Mossad, è stato provato
ad esempio come alla vigilia della sanguinosa battaglia scoppiata ad Homs nel febbraio
2012, ufficiali del Qatar abbiano consegnato “munizioni e armi tattiche” ai
ribelli in “quattro centri operativi” istituti alla periferia della città per
“preparare un incursione coperta dei militare turchi in Siria”.
Nel 2011 qualcosa del genere era avvenuto in Libia prima
che la coalizione multinazionale a guida NATO avviasse la campagna di
bombardamento contro le truppe fedeli a Muammar Gheddafi. Il Qatar, in
particolare, aveva fornito una grossa quantità di armi e munizioni ai
ribelli libici ed aveva pure infiltrato commandos addestrati e diretti dal
Pentagono. Come poi ammesso pubblicamente da Sheikh Hamad Ben Khalifa al-Thani,
durante il corso del conflitto “centinaia di militari delle
forme armate del Qatar hanno combattuto a fianco degli insorti”. “Abbiamo gestito l’addestramento e le
comunicazioni dei ribelli, supervisionando i loro piani e assicurandone il
collegamento con le forze NATO”, ha dichiarato il capo di Stato maggiore qatarino
Hamad bin Ali al-Atiya (The Guardian,
26 ottobre 2011). Inoltre, sei Mirage 2000 dell’aeronautica militare dell’emirato hanno
partecipato direttamente ai bombardamenti alleati, operando dalla base NATO di Souda
Bay (Grecia). Conclusa la guerra, il Qatar è subentrato alla guida del
“Comitato degli Amici a sostegno della Libia” che si occupa direttamente dell’addestramento
delle ricostituite forze armate libiche. Dalla primavera del 2011, un piccolo
contingente del Qatar partecipa pure alla forza militare del Consiglio di cooperazione del Golfo intervenuta in Bahrein a sostegno
della locale dinastia sunnita invisa alla maggioranza della popolazione di fede
sciita.
L’interventismo
militare dell’emirato in Africa e Medio oriente consente ovviamente ottimi affari
alle industrie d’armi dei paesi partner, Italia in testa. Quest’anno si è
conclusa la consegna di 18 elicotteri bimotore di nuova
generazione AW139 prodotti da AgustaWestland (gruppo Finmeccanica). Il
contratto del valore di 260 milioni di euro era stato firmato dall’aeronautica
militare del Qatar nel luglio del 2008 e prevede pure l’addestramento degli
equipaggi e la fornitura di parti di ricambio. Con una velocità massima di
crociera di 306 km/h e un’autonomia superiore ai 1.060 km, gli elicotteri AW139
vengono utilizzati oggi per molteplici funzioni, dal trasporto truppe e
armamenti, al pattugliamento dei confini, alla ricerca e soccorso, alle operazioni
delle forze speciali e al mantenimento dell’ordine pubblico sul fronte interno.
Altri tre elicotteri AgustaWestland con relativo supporto logistico saranno
forniti prossimamente alla Qatar Emiri Air Force per svolgere il servizio di
emergenza medica.
Nell’autunno 2011, le autorità
militari dell’emirato hanno pure espresso la volontà di entrare a far parte
del
consorzio internazionale “MEADS” (Medium
Extended Air Defense) guidato dalla statunitense Lockheed Martin Corporation
e di cui è partner l’italiana MBDA (Finmeccanica), per la realizzazione di un
sistema anti-aereo, anti-missili balistici e da crociera e anti-UAV di ultima
generazione. Il Qatar vorrebbe dotarsi del “MEADS” in vista dei campionati del mondo di
calcio del 2022, ma il sistema potrebbe essere utilizzato pure in funzione
anti-Iran.
Il Qatar acquisterà invece in Germania 200 carri
armati “Leopard 2” (prodotti dall’industria Krauss-Maffei Wegmann) al prezzo di
circa due miliardi di euro. La commessa, a differenza di quanto accade in
Italia, è stata duramente criticata dai rappresentanti di differenze forze
politiche e da alcuni quotidiani tedeschi che hanno definito l’emirato “uno dei
più pericolosi regimi arabi, nonché coinvolto in tutti i disordini nella
regione”. Per Washington, invece, il Qatar resta uno degli alleati
mediorientali più fedeli da coccolare, militarizzare ed armare. Oltre un
miliardo di dollari sono stati spesi negli ultimi anni dal Pentagono per
potenziare la base aerea di al-Udeid che ospita 8.000 militari USA impegnati
nello scacchiere di guerra afgano ed un centro dell’agenzia d’intelligence CIA
dotato di aerei-spia senza pilota. Nella grande base qatarina sorgerà presto una
delle tre grandi stazioni radar in X-Band per lo “scudo antimissile” che le
forze armate statunitensi intendono attivare nell’area mediorientale (le altre
due stazioni radar sono in via d’installazione nel deserto del Negev in Israele
e in Turchia).
Un paio di mesi fa la Defense Security Cooperation Agency USA
ha comunicato al Congresso l’intenzione di vendere al Qatar undici batterie del
sistema Patriot di “difesa antiaerea
e antimissile” (costo 9,9 miliardi di dollari). La commessa prevede complessivamente
44 lanciatori M902, 248 missili MIM-104E (più due di prova) e 778 PAC-3, undici
radar e altrettanti sistemi di gestione d’ingaggio, 30 gruppi di antenne. L’agenzia
statunitense alla cooperazione alla difesa ha pure espresso la volontà di
trasferire al Qatar il sistema missilistico “Terminal High Altitude Area Defense” (THAAD) per la difesa ad alta
quota, prodotto dal colosso Lockheed Martin. In questo caso l’emirato riceverebbe
dodici lanciatori con 150 missili, più radar e altri sistemi associati, per un
valore complessivo di 6,5 miliardi di dollari.
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