Sturmtruppen a scuola, buon senso a processo
E’ un’aula giudiziaria il luogo dove confrontarsi sui processi in atto nella società e nella scuola italiana? In un paese dove esistono spazi reali di dibattito democratico e dove il dissenso non viene represso e criminalizzato, certamente no. Ma in Italia i disobbedienti e i libertari, peggio ancora se rei di antimilitarismo, non hanno diritto di cittadinanza, per cui la lesa maestà e le espressioni di critica di un modello socio-culturale sempre più armato e militarizzato vanno pubblicamente stigmatizzate, processate e possibilmente condannate.
Da un mese sono sotto
processo presso il Tribunale di Messina per aver avuto l’ardire, due anni fa -
in tempi di “emergenza” da Covid-19 - di esprimere la mia indignazione sulle
modalità con cui le istituzioni pubbliche (sindaco, prefetto ed Esercito) erano
intervenute per imporre il “distanziamento sociale” tra le bambine e i bambini
di una scuola primaria, con il consenso della sua dirigente scolastica. Diffamazione a mezzo stampa il reato di
cui devo rispondere (art. 595 comma II e III del codice penale per cui è
prevista una pena da sei mesi a tre anni di reclusione “ovvero la multa fino a
2.065 euro”), perché, - come si legge nel dispositivo di rinvio a giudizio - in
qualità di autore dell’articolo pubblicato il 21 ottobre 2020 su alcune testate
giornalistiche, dal titolo A Messina
Sindaco e Prefetto inviano l’esercito nelle scuole elementari e medie con il
plauso dei Presidi, commentando la circostanza che, per evitare
assembramenti, erano stati inviati militari dell’esercito a presidiare
l’ingresso dell’istituto scolastico, offendeva la reputazione della dirigente
scolastica dell’Istituto Comprensivo Paradiso, dottoressa Eleonora Corrado,
affermando che quest’ultima “…oltre a essere evidentemente anni luce distante
dai modelli pedagogici e formativi che dovrebbero fare da fondamento della
Scuola della Costituzione repubblicana (il ripudio della guerra e l’uso illegittimo
della forza; l’insostituibilità della figura dell’insegnante e l’educare e il non reprimere, ecc.), si
mostra ciecamente obbediente all’ennesimo Patto
per la Sicurezza Urbana, del tutto arbitrario ed autoritario e che
certamente non può e né deve bypassare i compiti e le responsabilità del
personale docente in quella che è la promozione e gestione delle relazioni con
i minori”.
La frase incriminata credo non
possa essere ritenuta diffamante da chicchessia eppure il Pubblico ministero ha
disposto il mio rinvio a giudizio e il 13 dicembre 2022 è iniziato quello che
proveremo a trasformare in un processo contro gli organi istituzionali che
hanno abusato dei loro poteri per imporre interventi e misure di “contenimento
della pandemia” nelle scuole in violazione dei principi costituzionali,
generando ulteriori inutili traumi ai minori e ai loro genitori.
Ma andiamo in ordine e
vediamo di ricordare quanto accadde a Messina in quella giornata di ottobre. Con
enormi difficoltà e fatica, insegnanti, studenti e genitori tentavano allora di
ricostruire la normalità nelle
attività didattiche dopo la lunga e drammatica chiusura delle scuole di ogni
ordine e grado con il lockdown decretato nel marzo 2020. Più di sette mesi in
cui la risposta istituzionale al coronavirus aveva privilegiato
lo stato di guerra, i suoi linguaggi, le sue metafore, i suoi simboli. Siamo in guerra! Sarà
guerra totale al virus, il nemico invisibile! Tamponi e vaccini, le nostre armi
per combattere! Gli ospedali come
trincee! I medici e gli infermieri dell’Esercito nelle corsie degli
ospedali; i vaccini antinfluenzali
stoccati in una grande base dell’Aeronautica e scortati per le strade di mezza
Italia dalle camionette militari; i
tamponi, le vaccinazioni e gli
screening di massa effettuati nelle tendopoli delle forze armate; le truppe a presidiare
frontiere, vie, piazze, stazioni ferroviarie, aeroporti e porti per imporre il
coprifuoco. E i bollettini quotidiani con i morti, gli ospedalizzati, i senza
speranza, regione per regione, città dopo città. Zone rosse, arancioni e gialle
come i campi di una battaglia che muta e si evolve alla stessa velocità delle
mutazioni del nemico. L’emergenza
sanitaria, drammatica, reale, rappresentata e manipolata come una crisi bellica
globale per conseguire controlli repressivi e limitazioni delle libertà
individuali e collettive e la militarizzazione dell’intera sfera sociale,
politica ed economica.
E’ in questo scenario di delirio
bellico collettivo che il 21 ottobre 2020 davanti all’ingresso della scuola primaria di
Paradiso, i bambini si trovarono di fronte due militari in uniforme da
combattimento, armi alle cintole e manganelli in mano, appartenenti alla
Brigata Meccanizzata “Aosta” (reparto terrestre d’élite in ambito NATO,
attualmente in missione in Libano per addestrare le forze locali alla
repressione delle manifestazioni di dissenso popolare). I militari erano stati
inviati a scuola (ancora oggi non si sa esattamente da chi) per impedire
“pericolosi” assembramenti. La loro presenza generò scene di terrore e pianti
tra piccoli alunni; i genitori protestarono vivamente e furono informati gli
organi di stampa cittadini. In poche ore si moltiplicarono le note di protesta
di politici e consiglieri di maggioranza e opposizione, fu presentata
un’interrogazione urgente al sindaco di Messina e il Garante dell’infanzia, il
dottor Angelo Fabio Costantino, rivolse un accorato appello
pubblico: A tutto c’è un limite, i
militari armati dentro le scuole no! Mi
riferiscono di bambini di scuola elementare spaventati… Siamo tutti preoccupati
per l’aumento dei contagi ma non è terrorizzando i bambini, già provati da
numerose rinunce, che riusciremo a contenerlo. Non perdiamo il buon senso: verrà
il tempo in cui dovremo prenderci seriamente cura dei nostri fantasmi interni.
Lo
sconcerto per il presidio dell’Esercito in una scuola primaria convinse
Prefettura e Comune di Messina a revocare d’urgenza il (presunto) ordine di
utilizzo a fini anti-assembramento. Così il giorno successivo, 22 ottobre,
nella scuola di Paradiso si presentarono solo due vigili urbani, in moto e
disarmati. Tutto è bene quel che finisce
bene peccato però che dopo il blitz della Brigata “Aosta”, la dirigente dell’istituto
aveva dichiarato alla stampa di condividere l’operato dei militari e la
legittimità del provvedimento di “ordine pubblico”, fornendo altresì una
versione dei fatti – de relato -
diversa da quella denunciata da genitori, giornalisti, politici e garante
dell’infanzia. “Così come mi viene
riferito dal mio collaboratore di plesso, due giovani militari dell’esercito,
in divisa, corredata da tutto ciò che è previsto dalle norme in merito alla
dotazione individuale per l’espletamento del servizio, si sono presentati e
hanno dichiarato di essere stati inviati per effettuare controlli
anti-assembramento previsti dalle misure comunali di prevenzione anti-covid”,
specificava la dirigente scolastica. “Non avevano armi spianate né manganelli. Il
referente ha riferito che, dopo aver saputo dell’allarme dei genitori, ha fatto
un breve sondaggio nelle classi. Nessun alunno ha dichiarato di avere paura e
molti hanno detto di non aver neanche notato la presenza dei militari davanti
alla scuola. Inoltre ho verificato presso la Prefettura che il controllo
effettuato rientra tra i normali controlli stabiliti dal Comitato tecnico
provinciale nel Patto di Sicurezza Urbana firmato il 14 ottobre 2020 dal Sindaco
e dal Prefetto”.
Era stato proprio il contenuto di quella dichiarazione
a spingermi a scrivere il comunicato incriminato
dal Tribunale di Messina. “Quello che più sconcerta della vicenda
che ha visto trasformato l’ingresso di un centro scolastico statale in un
check-point da paese sotto occupazione, è il silenzio assodante dell’intera
comunità educativa a cui è affidata la tutela dei minori da ogni forma di
violenza, nonché il dovere di promuovere la cultura della pace, della
solidarietà, della giustizia”, commentavo. “Solo alcuni genitori hanno sentito
il dovere di denunciare l’illegittima militarizzazione della scuola, mentre
appare davvero incredibile e gravissimo il commento rilasciato ai media dalla
dirigente dell’Istituto”.
Nel mio comunicato rilevavo
altresì che “la prova che in città si fosse superato ogni limite in termini di
bellicizzazione della sfera pubblica educativa” stava nel fatto che sempre in
Sicilia, a Palermo, Prefettura e Ufficio Scolastico Provinciale avevano pensato
due settimane prima di dare il via a “mirate
attività di controllo a cura delle Forze dell’ordine da effettuarsi al di fuori
degli istituti scolastici”. Forze dell’ordine e non certo reparti
dell’Esercito e solo nelle scuole superiori di secondo grado. Interventi anch’essi
autoritari-repressivi che avevo avuto modo di criticare duramente in un mio
altro articolo del 15 ottobre 2020 (Schierate in Sicilia le forze dell’ordine
contro gli assembramenti di studenti). “Con le citate attività si cercherà
di contrastare nonché sanzionare illeciti assembramenti di studenti che possano
costituire un veicolo di trasmissione del coronavirus”, si leggeva nella nota inviata
dal Prefetto ai dirigenti degli istituti palermitani. “Voglia la S.V. rendere
edotti tutti gli studenti in merito alle attività di controllo che saranno
espletate, sensibilizzando gli stessi destinatari sulla doverosità di attenersi
scrupolosamente alle disposizioni normative introdotte nonché sulle conseguenze
sanzionatorie a cui andranno incontro coloro che non vi si atterranno”. Colpirne uno per educarne cento, commentavo
amaramente. “Le incredibili esternazioni della Prefettura assolvono nei fatti le
autorità scolastiche nazionali, la Regione e gli Enti locali per i loro gravi
comportamenti omissivi di queste settimane, i quali non hanno consentito un sicuro rientro a scuola di
studenti, docenti e personale amministrativo”, concludevo. “Il provvedimento
del Prefetto fa invece ricadere proprio sui giovani in fila per fare ingresso a
scuola quasi tutte le responsabilità della seconda ondata della pandemia”.
Al mio processo
proveremo inoltre a puntare l’indice contro ciò che accade nella scuola
italiana da almeno una decade: privatizzazione e precarizzazione del
sistema educativo si militarizzazione de iure e de facto degli istituti e degli
stessi contenuti culturali e formativi. La scuola italiana è il laboratorio
sperimentale di percorsi didattici subalterni alle logiche di guerra e agli
interessi politico-militari e geostrategici dominanti. Alle città d’arte e ai
siti archeologici le scuole preferiscono sempre più le visite alle caserme e
alle basi USA e NATO “ospitate” in Italia o alle industrie belliche mentre agli
studenti è imposta la partecipazione a parate militari, alzabandiera,
conferimenti di onorificenze a presunti eroi di guerra. Ci sono poi le
molteplici attività didattiche affidate a generali e ammiragli (dall’interpretazione
della Costituzione all’educazione ambientale e alla salute, alla lotta alla
droga e alla prevenzione dei comportamenti classificati come “devianti”,
bullismo, cyberbullismo, ecc.); i cori
e le bande di studenti e soldati; gli stage formativi
sui cacciabombardieri e le fregate; l’alternanza scuola-lavoro a fianco dei
reparti d’eccellenza delle forze armate o nelle aziende produttrici di armi. A
ciò si aggiunge la conversione delle strutture scolastiche a fini sicuritari
con l’installazione di videocamere e dispositivi elettronici identificativi e
di controllo (tornelli ai portoni, l’obbligatorietà ad indossare badge, ecc.).
In un clima di caccia alle streghe, vengono ordinate incursioni della polizia
all’interno delle aule con perquisizioni a tappeto e cani antidroga
sguinzagliati a sniffare zaini, giacche e cappotti. Proliferano altresì i
divieti di assemblea e delle attività autogestite degli studenti e i locali
scolastici vengono dichiarati off-limits in orario pomeridiano. Viene
minacciata l’azione penale contro ogni forma di occupazione e proliferano i
processi contro i manifestanti anti-alternanza. Sono state approvate leggi che
conferiscono ai presidi poteri illimitati e istituzionalizzano gerarchizzazioni
e discriminazioni tra gli insegnanti. Gli organi collegiali sono stati del
tutto esautorati, le figure e le funzioni dei docenti sono state mutilate e precarizzate
e contro il personale disobbediente si moltiplicano stalking e procedimenti
amministrativi punitivi. Scuole sempre più simili a caserme-prigioni per
omologare corpi e coscienze, sopprimere libertà e utopie, perpetuare
ingiustizie e disuguaglianza. Ma contro cui ognuno di noi è chiamato ad urlare Signornò, non in nome mio.
Articolo pubblicato in Umanità Nova, il 16 gennaio 2023
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