Nuova base dei Carabinieri a Coltano: una piattaforma strategica per i reparti d’élite delle guerre moderne
Narrazione
falsa e pericolosamente omissiva quella relativa al progetto di realizzazione
della grande cittadella militare a Coltano (Pisa), all’interno del parco
regionale di Migliarino – San Rossore – Massaciuccoli. Il Comando Generale
dell’Arma dei Carabinieri preannuncia mirabolanti effetti socio-economici ed
ambientali sul territorio, enfatizzando in particolare i benefici per la
popolazione in termini di sicurezza e ordine pubblico. Certo, ce ne vuole a
parlare di “riqualificazione” quando si punta a cementificare 73 ettari di
terreni, in buona parte ad uso agricolo, per realizzare - con la spesa di 190
milioni di euro - oltre 440.000 metri cubi di edifici (caserme, alloggi per
militari e famiglie, poligoni di tiro, ecc.). Ma forse quello che più offende
il buon senso e la ragione è il maldestro tentativo della Difesa di spacciare
l’agognata superfortezza dei corpi d’élite dei Carabinieri (i paracadutisti del
“Tuscania”, gli incursori del G.I.S. e il Centro Cinofili) per una pacifica
residenza di tanti simpatici protagonisti delle più note e fortunate serie
televisive Rai, dal Maresciallo Rocca
con il compianto Gigi Proietti, al maresciallo Cecchini (alias Nino Frassica)
in Don Matteo.
In
verità, ciò che non si vuol far sapere ai cittadini, è che il costosissimo
progetto per la Cittadella dei CC di
Coltano è funzionale al rafforzamento del ruolo geo-strategico di quello
che è ormai uno dei maggiori hub in Italia per proiettare le forze armate
nazionali, USA, NATO ed extra-NATO in qualsivoglia scacchiere di guerra, ad Est
come a Sud: il tridente toscano
Pisa-Livorno-Firenze, con il megacomplesso di Camp Darby, l’aeroporto di San
Giusto, il porto e l’accademia navale livornesi, le tante caserme dei parà
della “Folgore”, il centro di ricerca militare avanzato (già nucleare) di San
Piero a Grado, il comando fiorentino della Divisione “Vittorio Veneto” che dal
prossimo anno opererà come Multinational
Division South NATO per gli interventi alleati nel Mediterraneo e nel
continente africano, ecc..
Un reparto d’élite per le
guerre globali
Il 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti “Tuscania” è il reparto ad altissima specializzazione dell’Arma
dei Carabinieri. Fino ad oggi di stanza nella caserma “Vannucci” di Livorno
(anche sede del Comando della Brigata “Folgore”, del 187° Reggimento
Paracadutisti e del 9° Reggimento “Col Moschin” dell’Esercito italiano), il “Tuscania”
è inserito nella 2° Brigata Mobile dei Carabinieri insieme al G.I.S. - Gruppo
di Intervento Speciale e ad altri due reggimenti dell’Arma (il 7° “Trentino
Alto Adige” con sede a Laives, Bolzano, ed il 13° “Friuli Venezia Giulia” di
Gorizia).
Il
“Tuscania” viene considerato come l’erede
diretto della prima unità delle truppe aviotrasportate italiane, il 1°
Battaglione Paracadutisti “Carabinieri Reali”, costituito a Roma il 1° luglio
1940 e confluito successivamente nella Divisione Paracadutisti “Folgore”. Dopo
la costituzione questo reparto fu inviato dal regime fascista in Libia nel
luglio 1941. Sei mesi più tardi, su ordine del feldmaresciallo Erwin Rommel,
capo delle truppe tedesche in Africa settentrionale, il 1° Battaglione
Paracadutisti venne impiegato contro le forze corazzate britanniche ad Eluet
el-Asel in una delle battaglie più tragiche della campagna militare italiana in
Nord Africa durante la Seconda guerra mondiale. (1)
L’unità
venne ricostituita nel 1951 con il nome di “Reparto Carabinieri Paracadutisti”
presso il Centro militare di paracadutismo di Viterbo; temporaneamente rischierata nel 1957 a Pisa, dal
gennaio 1963 venne trasferita a Livorno alle dipendenze della rinata Brigata Paracadutisti “Folgore”. Al tempo venne impiegata principalmente come unità speciale antiterrorismo per fronteggiare una serie di attentati dinamitardi in
Sud Tirolo.
Con
la ristrutturazione dell’Esercito del 1975, il reparto ricevette la
denominazione di 1° Battaglione Carabinieri Paracadutisti “Tuscania”, svolgendo
contestualmente le missioni militari tipiche delle truppe aviotrasportate e le
funzioni di polizia e controllo dell’ordine pubblico e di “contrasto della
criminalità organizzata e del terrorismo”. Il 15
marzo 2002, a seguito della costituzione in forza armata autonoma dell’Arma dei
Carabinieri, il “Tuscania” uscì dai ranghi dell’Esercito per essere posto alle
dipendenze della 2^ Brigata Mobile Carabinieri.
Attualmente
al reparto specializzato dei Carabinieri sono assegnati 500 effettivi circa.
“Il 1° Reggimento Paracadutisti si
caratterizza oggi più che mai per una doppia anima, da un lato la veste di
corpo di polizia di pronto impiego per missioni ad alto rischio, dall’altro
quella di unità militare aviolanciabile di élite, con forti vincoli affettivi
ed addestrativi che permangono, anche dopo l’elevazione al rango di Forza
Armata dell’Arma dei Carabinieri, con la Brigata Paracadutisti Folgore”, scrive
Alberto Scarpitta, ex ufficiale dei Lagunari, su Analisi Difesa. “Si tratta pertanto di un reparto estremamente
duttile, dotato di una straordinaria flessibilità di impiego ed in grado di
operare con efficacia nella vasta zona grigia compresa tra le funzioni di
polizia e quelle militari, un ambito di impiego di grande attualità nei moderni
scenari internazionali”. (2)
In
combattimento, ai militari del “Tuscania” viene affidata l’occupazione
preventiva di punti sensibili in territorio ostile; l’interdizione e la
contro-interdizione d’area; l’attività di controguerriglia e di contro
insurrezione in scenari ibridi ed in missioni di stabilizzazione; il supporto
delle Forze Speciali in attività di ricognizione, azione diretta, assistenza
militare e controterrorismo; l’evacuazione di cittadini italiani da Paesi a
rischio o da zone di guerra. “All’interno dei plotoni che lo compongono sono
presenti elementi specializzati, in particolare spiccano gli addetti alla
bonifica di ordigni esplosivi; il Joint-Terminal-Attack
Controller per il coordinamento degli attacchi aerei di precisione; gli
operatori al designatore laser dei bersagli; i tiratori scelti, ecc.”, aggiunge
Alberto Scarpitta.
Per affinare le capacità di impiego anche in ambito
NATO nella “conduzione delle operazioni, a seguito di
aviolancio, in ambienti operativi non permissivi per la conquista e la tenuta
di posizioni strategiche”, i militari del “Tuscania” svolgono periodicamente complesse
esercitazioni congiuntamente ai reparti di trasporto aereo e guerra elettronica
dell’Aeronautica Militare e alle unità aviotrasportate d’élite delle forze
armate e della Guardia Nazionale USA. Annualmente si tiene nelle aree
addestrative della Toscana l’esercitazione multinazionale ed interforze “Mangusta”,
sotto la guida della Brigata “Folgore”. Ad una delle ultime edizioni, i parà
italiani del “Tuscania” e della “Folgore”, il Centro Carabinieri Cinofili di
Firenze e i militari statunitensi hanno simulato un intervento delle forze alleate per
“conquistare l’aeroporto occupato da forze ostili con l’aviolancio di una prima
aliquota con lo scopo di preparare il terreno per l’entrata in teatro
dei successivi scaglioni”. (3)
In
Italia il 1° Reggimento Carabinieri
Paracadutisti viene impiegato principalmente a supporto tattico del G.I.S
- Gruppo di Intervento Speciale, all’interno dei cosiddetti dispositivi UnIS (Unità d’Intervento Speciale) del Ministero dell’Interno. “Dopo gli
attentati di Parigi e di Bruxelles, che hanno visto l’insorgere di una minaccia
diffusa ed imprevedibile in tutto il continente europeo, il “Tuscania” è stato
inoltre chiamato dal Comando Generale dell’Arma a costituire, assieme ad
elementi del GIS, delle apposite Task
Unit Antiterrorismo (TUAT) di alto profilo qualitativo schierate in punti
sensibili ed in occasione di eventi particolari per affrontare la nuova minaccia
rappresentata da attentatori suicidi pronti a colpire obiettivi civili in
situazioni di combattimento urbano”, spiega ancora l’ex ufficiale Alberto
Scarpitta di Analisi Difesa.
Oltre
a partecipare alle azioni dirette alla “liberazione di ostaggi”, il “Tuscania”
opera a fianco dei reparti territoriali dell’Arma nella ricerca di
latitanti e nell’addestramento specifico dei Carabinieri destinati alle
missioni militari all’estero. (4) Gli istruttori
del “Tuscania” provvedono anche alla selezione e formazione del personale assegnato
agli Squadroni Carabinieri Eliportati “Cacciatori” operativi in Calabria,
Sardegna, Sicilia e Puglia.
Perennemente in missione e tanto armati
Data
l’alta valenza delle operazioni militari e sicuritarie, il 1° Reggimento Paracadutisti è dotato di
numerosi e sofisticati equipaggiamenti e sistemi d’arma: tra essi
spiccano le carabine M-4 calibro 5,56mm prodotte dall’industria statunitense Bushmaster
Firearms International, i lanciagranate M203 da 40mm, i fucili SCP-70/90 dell’italiana
Beretta, le pistole mitragliatrici calibro
9mm Parabellum, ecc.. E’ in corso di acquisizione il visore Mepro MOR che “racchiude
in un unico apparato un’ottica reflex, un puntatore laser visibile per impiego
urbano ed uno IR per utilizzo notturno e operazioni coperte”. (5) Il visore è prodotto dall’azienda Meprolight (interamente
controllata da SK Group, uno dei maggiori gruppi del complesso militare-industriale
israeliano), ed è impiegato da diverso tempo dalle forze armate dello Stato di Israele.
(6)
Innumerevoli
gli interventi nelle aree di conflitto del personale del “Tuscania”. Nel 1982 i
parà furono schierati in Libano per presidiare i campi rifugiati palestinesi
alla periferia di Beirut. Nel 1991 il Reggimento fu inviato nel Kurdistan irakeno
mentre tra 1992 e il 1994 ha operato in Somalia nel quadro della controversa missione
internazionale di “stabilizzazione” Restore
Hope (Ridare Speranza), intervenendo
in numerose azioni di combattimento.
Tra
il 1995 e il 1999 il “Tuscania” ha partecipato alle diverse missioni operative NATO
nei Balcani e, dopo il 2001, nei teatri di guerra in Iraq e in Afghanistan. In
quest’ultimo paese i parà dei Carabinieri hanno diretto innumerevoli corsi
addestrativi a favore delle ricostituite forze di polizia afgane. Attualmente le unità del Reggimento cooperano
ai servizi di sicurezza della città di Mitrovica (Kosovo), di scorta e
protezione nelle sedi diplomatiche italiane in Libia, Iraq (Erbil e Baghdad),
Somalia, Libano e Ucraina (a Kiev dal giugno 2022), nonché all’addestramento e
all’assistenza “antiterrorismo” dei peshmerga
(le forze armate della regione autonoma del Kurdistan iracheno) e delle polizie
di Iraq, Kosovo, Palestina, Somalia e Gibuti. (7) I corsi puntano a fornire le
“competenze per pianificare e realizzare operazioni di polizia in particolari
contesti operativi, con tecniche e procedure avanzate, scorte e protezione VIP,
addestramento al tiro, pianificazione e gestione di attività antidroga e contro
la criminalità organizzata, ecc.”.
Nell’ambito
della missione italiana di “formazione” e assistenza della Marina militare e
della Guardia costiera libica per il controllo delle acque territoriali del
paese nordafricano principalmente in funzione anti-migrazione, ai paracadutisti
del “Tuscania” è affidata la “sicurezza” del personale della Guardia di Finanza
distaccato in Libia. (8) Ai militari del
Reggimento, in concorso con il Gruppo di Intervento Speciale dei Carabinieri, sarà
attribuito un ruolo chiave nell’ambito delle attività anti-terrorismo
predisposte dalle autorità del Qatar in occasione del Campionato Mondiale di
Calcio in programma dal 21 novembre al 18 dicembre 2022. Il “Tuscania” e il G.I.S. hanno già preso parte all’esercitazione
multinazionale Watan, tenutasi
in Qatar nel novembre 2021 per testare le forze di sicurezza e pronto intervento
che saranno schierate a “difesa” della Fifa World Cup. (9) In
vista della kermesse sportiva, il governo dimissionario di Mario Draghi ha varato il decreto missioni internazionali per
l’anno 2022 in cui è inserito l’intervento
di supporto alle forze armate qatariote con l’impiego di 560 militari, 46 mezzi terrestri, un
mezzo navale e due aerei, per una spesa prevista di 10.811.025 euro. Alla task force italiana si affiancheranno i
reparti d’élite di Francia, Regno Unito, USA e Turchia. (10)
Le principali missioni internazionali svolte dal 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti
“Tuscania”
Namibia
(1989-1990), UNTAG
Kurdistan
(1991), AIRONE 1
Turchia
(1991), AIRONE 2
Somalia
(1992-1994), IBIS
Cambogia
(1992), UNTAC
Somalia
(1993), UNOSOM
Israele
(1994), TIPH 1
Bosnia
(1996-2003), IFOR/SFOR
Palestina
(1996), TIPH 2
Albania
(1997-1999), ALBA
Timor Est
(1999-2000), STABILISE
Kosovo
(2000-2003), JOINT GUARDIAN
Macedonia
(2001-2002), AMBER FOX
Afghanistan
(2001-2021), ISAF
Iraq (dal
2003), MSU
Striscia di
Gaza (2005-2009), EUBAM RAFAH
Palestina
(Gerico, marzo-luglio 2014), MIADIT PALESTINA
Libia (Tripoli,
marzo-luglio 2014), MMIL
Nel corso degli anni, al Reggimento
è stata anche affidata la sicurezza delle Sedi diplomatiche nazionali all’estero
nelle aree e nei periodi di maggior “rischio”: Libano, Somalia, Arabia Saudita,
Zaire, Perù, Algeria, Albania, Congo, Serbia, Iraq, Israele, Afghanistan,
Pakistan, Libia. (Fonte: https://www.carabinieri.it/chi-siamo/oggi/organizzazione/mobile-e-speciale/2-brigata-mobile/1-reggimento-paracadutisti-'tuscania')
Il
Mal d’Africa dei carabinieri parà
Tra le operazioni all’estero
del “Tuscania”, quelle che più hanno destato e destano ancora sconcerto e
preoccupazione per le pesanti ricadute in termini di violazione dei diritti
umani e del diritto internazionale umanitario, riguardano il martoriato Corno
d’Africa. In seguito all’accordo sottoscritto nel 2013 dalle autorità italiane
e quelle della Repubblica di Gibuti e della Somalia è stata attivata la Missione bilaterale MIADIT Somalia, con
l’obiettivo di “creare le condizioni per la stabilizzazione della Somalia e
dell’intera Regione del Corno d’Africa, mediante l’accrescimento delle capacità
operative delle forze di polizia somale e l’addestramento delle forze di
polizia gibutiane”. (11) La
base operativa di MIADIT Somalia
sorge a Gibuti, l’enclave desertica
tra Eritrea, Etiopia e Somalia di appena
23.000 Kmq con una posizione
geostrategica tra le più importanti al mondo, proprio di fronte lo
Stretto Bab El Mandeb che separa il Mar Rosso dal Golfo di Aden, principale
rotta marittima commerciale e petrolifera tra l’Asia e l’Europa. E’ qui che
vengono svolte le attività addestrative
delle polizie gibutine e somale da parte di “istruttori” del 1°
Reggimento Paracadutisti “Tuscania”, del G.I.S., del Centro Carabinieri Cinofili di Firenze e del CoESPU (Center of Excellence for stability Police
Units), il “Centro di
formazione internazionale d’eccellenza” dell’Arma che ha sede a Vicenza.
Il
contributo nazionale a MIADIT Somalia
prevede un impiego massimo di 53 militari e la fornitura di quattro mezzi
pesanti; le attività riguardano l’addestramento individuale al combattimento e all’intelligence;
interventi nei centri abitati; tecniche antiterrorismo, investigative, di
controllo del territorio e gestione dell’ordine pubblico e della folla; ricerca
e neutralizzazione di armi ed esplosivi. Fino ad oggi i corpi scelti dei Carabinieri hanno
addestrato oltre 2.600 unità appartenenti alla Polizia Somala, alla Polizia
Nazionale e alla Gendarmeria Gibutiana, contribuendo inoltre alla
ristrutturazione dell’Accademia di Polizia di Mogadiscio. (12)
Negli
ultimi anni si sono moltiplicati i corsi rivolti al personale delle compagnie
denominate “Darawish” (o anche darwish), le nuove unità mobili della Somali
Police Force che – secondo Analisi Difesa
– sono “specializzate in attività di stability
police e interventi ad alto rischio, a composizione inter-clanica,
schierate principalmente nella capitale Mogadiscio e destinate a divenire
fondamentali per la stabilità e la tutela dell’ordine e della sicurezza
pubblica della Somalia” (13). Nell’aprile
2021, in particolare, i Carabinieri hanno formato le unità “Darawish” all’uso
progressivo della forza,
espressione che in ambito militare identifica la “scala del confronto tra le
forze di polizia e gli antagonisti”. “Lo scenario prevedeva quattro differenti fasi: protezione di soggetti
ad alto rischio, ordine pubblico, intervento armato e tecniche operative
speciali del fire fighting, il controllo meccanico (arresto ed
ammanettamento), l’impiego di armi non letali (tonfa o gas)”, annota il
comando di MIADIT. Infine, “un team
selezionato di militari somali ha eseguito le tecniche dello spegnimento delle
fiamme sulla persona fra lo stupore delle autorità presenti ed il plauso dei
poliziotti gibutiani…”. (14)
I
“Darwish” addestrati a Gibuti dal personale italiano sono poi impiegati nella
regione meridionale di Lower Shabelle, da lungo tempo al centro di un sanguinoso conflitto tra le forze armate
regolari e i gruppi islamisti armati di Al-Shabaab. “A Lower Shabelle le unità Darwish della
polizia federale sono responsabili del controllo delle frontiere, della
protezione delle infrastrutture e del personale governativo, dell’assistenza in
caso di disastri, della lotta al terrorismo e all’insorgenza”, spiega la
missione delle Nazioni Unite in Somalia. (15)
I pericoli insiti nella decisione di affidare
compiti bellico-sicuritari a queste milizie paramilitari sono stati analizzati
da una delle maggiori esperte di “guerre ibride”, la statunitense Vanda
Felbab-Brown, in uno studio pubblicato nel
2020 dal Centro di ricerca politica della United Nations University di Tokyo. “L’origine del termine darwish scaturisce
dalle differenti milizie che hanno svolto funzioni militari o di polizia,
operando indipendentemente dall’Alleanza Nazionale Somala, sotto la direzione
dei presidenti degli stati membri della federazione”, scrive l’analista.
“Relativamente alle loro origini, le
forze darwish sono state una base di potere importante per gli attori
dell’élite politica, una sorta di guardia pretoriana che fornisce protezione e
minaccia di forza contro i rivali”.
Secondo
Vanda Felbab-Brown, sostenere, addestrare, armare e cooptare milizie di questo
genere può condurre a gravi conseguenze. “La lealtà di queste milizie è fluida e le stesse sono suscettibili di
essere reclutate dai loro nemici e possono mettere al primo posto i propri
interessi – o quelli di un padrone esterno – contro quelli dello Stato”,
aggiunge l’analista. “Essendo
profondamente legate alla politica economica della Somalia, le milizie hanno
una forte tendenza ad appropriarsi dell’autorità politica, rafforzando forme
autoritarie di governo, monopolizzando le economie locali e finendo per
impegnarsi in altre attività paramafiose. In questo modo, i loro esasperati conflitti
locali, accrescono le lamentele e il rafforzamento politico di al-Shabaab in
parti del paese”. Il governo
italiano e lo Stato Maggiore della difesa sembrano però sconoscere le
documentate denunce sugli abusi e le violazioni dei diritti umani commessi dalle
(ex) milizie darwish. “Quest’ultime,
alla stregua delle forze di polizia somale, sono accusate di rapine all’interno
dei campi che accolgono gli sfollati, di sparatorie incontrollate così come di
un meccanismo di controllo della folla e omicidi extra-giudiziari ai checkpoint”,
conclude Vanda Felbab-Brown. (16)
La
discutibile partnership dei reparti d’eccellenza dei Carabinieri in territorio
somalo appare ancora più grave alla luce del fatto che essi operano in Corno
d’Africa ininterrottamente dal 1992, quando prese il via in Somalia la tragica
e fallimentare missione multinazionale a guida USA (Restor Hope) in seguito allo scoppio della guerra civile e della caduta
del regime dittatoriale di Siad Barre. Durante i primi anni di presenza militare
italiana a Mogadiscio, furono perpetrati gravi crimini da parte di alcune unità
dei parà dell’Esercito. “Prove fotografiche e
testimonianze orali indicano che in Somalia, in quella che veniva sbandierata
come una missione umanitaria, militari italiani usarono contro la popolazione
somala torture, sevizie e stupri”, riportavano in un’interrogazione del giugno
1997 alcuni parlamentari del Prc. “Altre testimonianze indicano inoltre che il
contingente italiano, reparti della Folgore
ed i carabinieri del Tuscania,
attuarono diverse rappresaglie contro villaggi somali, con rastrellamenti
condotti con metodi non-ortodossi propri della guerra a bassa intensità come distruzione delle case, pestaggi
degli abitanti, inquinamento e distruzione delle risorse idriche e arresti
indiscriminati”. I deputati del Prc denunciarono altresì
come i militari del “Tuscania” avessero “cercato di
ricostruire gli apparati repressivi somali addestrando ed armando ufficiali e
poliziotti della vecchia polizia di Siad Barre (personalità definite da Amnesty International come
noti torturatori e criminali)”. (17)
Gli italiani in Somalia come la CIA ad Abu Ghraib, ma 10
anni prima
In
proposito va ricordato che a seguito della pubblicazione nel settimanale Epoca delle foto di alcuni militari
italiani con accanto prigionieri somali incappucciati e “incaprettati” (con
mani e piedi legati insieme), nel 1993 la Procura militare aveva aperto
un’inchiesta, poi archiviata, nonostante le prove di “azioni inopportune, gravi disfunzioni e sicure anomalie”
e di “un eccesso di metodi costrittivi” da parte delle truppe italiane. Alcune delle foto che documentavano le torture dei
militari su alcuni prigionieri somali erano state scattate dall’allora
caporalmaggiore Michele Patruno, in forza al 185° Reggimento Artiglieria Paracadutisti
“Folgore”.
Il
settimanale Panorama (12 giugno 1997) ha pubblicato una lunga intervista
a Michele Patruno, corredata da altre drammatiche fotografie scattate dall’ex
parà nel periodo compreso tra l’aprile e il maggio 1993 all’interno della base
italiana di Johar. In una di esse compariva un prigioniero somalo, nudo a terra,
mentre un parà azionava un generatore di corrente in dotazione ai reparti della
“Folgore” ed un sottotenente si preparava ad applicare gli elettrodi ai
testicoli della vittima. “Prima gli elettrodi erano stati applicati alle mani,
ma con scarsi risultati; poi, su suggerimento di un ufficiale medico, sono
stati applicati ai testicoli perché
contengono liquidi e conducono meglio la corrente”, spiegava Patruno a Panorama. “I livelli di tortura erano
diversi. Si cominciava privando i prigionieri di acqua e cibo, tenendoli
legati; per indurli a parlare, poi si passava a metodi più pesanti e si dava
libero spazio alla fantasia dei militari, come sigarette accese sul corpo,
scosse elettriche, botte, ecc.”.
“Le
persone torturate morivano, anche perché già debilitate fisicamente”,
aggiungeva l’ex caporalmaggiore della “Folgore”. “Ho visto gente lasciata al
sole senza acqua o lanciata contro il filo spinato americano che è fatto tutto
a piccole lame. Altri parà usavano farsi fotografare quando tenevano un piede
sulla testa dei torturati (…) In alcuni campi erano ben visibili stemmi e
gagliardetti fascisti e all’alzabandiera molti, compresi gli ufficiali,
facevano il saluto romano”. Altrettanto ignobile e criminale il comportamento
di alcuni reparti nei confronti della popolazione civile. “Venivano effettuate
anche perquisizioni nei villaggi in cerca di armi finite spesso con la
devastazione delle capanne e la distruzione delle riserve d’acqua”, aggiungeva
Michele Patruno. “Ho contribuito a distruggerne parecchi quando non ve n’era
neppure bisogno, lo stesso per l’abitazione a Mogadiscio di un uomo che aveva
un proiettile calibro 7.62 e mi scongiurò di non nuocergli perché amava gli
italiani e suo figlio era cadetto a Modena. Niente da fare, la casa la buttammo
giù. Senza motivo, per pura cattiveria (…) Ci fu
un caso in cui i militari spararono contro un camion che non si era fermato a
uno stop e uccisero due donne e un bambino. Sul camion fu poi verificato che
non c’erano armi”. (18)
Anche
l’allora maresciallo Francesco Aloi, paracadutista del 1° Battaglione
“Tuscania”, ha testimoniato sui crimini commessi dalle forze armate in Somalia, ritenendo probabile un legame tra
queste vicende e le inchieste della giornalista Ilaria Alpi. Secondo Aloi,
l’inviata della Rai era venuta a conoscenza delle torture dei soldati italiani
contro i somali poco prima del suo assassinio. Nei suoi diari, l’ex militare
fece anche il nome del generale dei Carabinieri Giovanni Truglio, capitano del
“Tuscania” al tempo della missione Restor
Hope, in quanto “autore o persona informata delle violenze contro la
popolazione somala”. Le inchieste della magistratura militare e ordinaria hanno
però scagionato il Truglio e nel 2001 egli sarà nominato comandante delle
compagnie di pronto intervento dell’Arma durante il G8 di Genova. (19) In occasione del summit dei capi di stato nel
capoluogo ligure, il 1° Reggimento Carabinieri
Paracadutisti ricoprì un ruolo centrale nel dispositivo implementato dall’allora governo Berlusconi per reprimere
violentemente le manifestazioni NoG8.
(20)
Teste di cuoio e punte di
lancia
“Il Gruppo
di Intervento Speciale (G.I.S.) è la punta
di lancia operativa dei Carabinieri che può operare in Italia e all’estero
nelle situazioni più estreme e rischiose”. Viene definita così dal Comando
generale dell’Arma l’unità tattica impiegata in operazioni di pronto intervento
“anti-terrorismo” che nelle intenzioni della Difesa sarà insediata nella nuova
cittadella militare di Coltano insieme al Reggimento
Paracadutisti “Tuscania” e al Centro Carabinieri Cinofili. “I G.I.S.
sono impiegati per garantire la sicurezza di personalità minacciate o per
coadiuvare le unità territoriali in situazioni di crisi come rapimenti e
cattura di criminali, latitanti o evasi pericolosi”, aggiunge il Comando
dell’Arma. “Essi inoltre vengono impiegati a protezione di obiettivi sensibili
da attacchi terroristici o criminali e per garantire la sorveglianza in
occasione di eventi ad alto rischio. Assicurano i servizi di scorta e protezione
in favore delle più alte cariche dello Stato italiane e straniere in visita e sono
incaricati anche dell’addestramento di personale di polizie estere”. Noti al
grande pubblico come teste di cuoio,
i militari che compongono il Gruppo di Intervento Speciale hanno una doppia
natura: sono unità di polizia speciale e reparto paracadutisti ed incursori.
Così
come il “Tuscania” anche il G.I.S.
è inquadrato dal 2001 nella 2^ Brigata Mobile dei Carabinieri. In caso di
interventi d’emergenza il gruppo dipende direttamente dal Capo di Stato
Maggiore del Comando Generale dell’Arma. In tale ambito, può essere attivato,
sempre dal Comando Generale, per esigenze di supporto ai reparti territoriali e
anticrimine dell’Arma per attività di polizia giudiziaria. (21)
La
componente operativa del G.I.S. dispone di circa 100/120 effettivi ed è divisa
in una sezione di esplorazione, ricognizione e acquisizione obiettivi; una di
combattimento; una terza di tiratori scelti. In ogni momento c’è un
distaccamento pronto a lasciare la base di provenienza in 30 minuti. Le Unità di Intervento Speciale “anti-terrorismo”,
a composizione variabile, possono essere dispiegate in poche ore sull’intero
territorio nazionale. A questo scopo dispongono di alcuni elicotteri
Agusta-Bell AB412 in dotazione al 4° Nucleo Elicotteri dei Carabinieri di
stanza nell’aeroporto di Pisa san Giusto e di un aereo da trasporto C-130
“Hercules” della 46^ Brigata Aerea dell’Aeronautica Militare, anch’essa con
base operativa presso lo scalo pisano. I poligoni, gli impianti addestrativi e le
strutture didattiche e abitative del G.I.S. sono attualmente ospitate presso il
Centro Interforze Studi e Applicazioni Militari (CISAM) a San Piero a Grado, Pisa.
“Si tratta in sostanza di un vero e proprio hub
formativo, in cui confluiscono tutte le conoscenze ed esperienze militari,
speciali e istituzionali dei reparti della Brigata da riversare su tutta l’Arma
per migliorarne e rafforzarne le capacità operative e istituzionali in
qualsiasi ambiente e situazione”, spiega Analisi
Difesa. (22)
Il
Gruppo Intervento Speciale dei Carabinieri è stato istituito il 6 febbraio 1978
per impulso dell’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga (poi presidente
della Repubblica italiana) “per garantire uno strumento per la risposta
all’incremento dei fenomeni terroristici e delle forme di disturbo dell’ordine pubblico
e sicurezza pubblica, per la condotta di operazioni antiterrorismo e antiguerriglia”.
(23) Al tempo il reparto era composto da 36 carabinieri paracadutisti provenienti tutti dal
1° Battaglione “Tuscania”. Il primo impiego operativo risale alla primavera del
1978 nell’ambito delle infruttuose operazioni di ricerca dei covi delle Brigate
Rosse durante il rapimento dello statista democristiano Aldo Moro. (24)
Nel
1984 il responsabile del Viminale (l’on. Oscar Luigi Scalfaro, anch’egli poi
presidente della repubblica) decretò il G.I.S. quale unica Unità Intervento Speciale (Un.I.S.) antiterrorismo della Difesa in
favore del Ministero degli Interni, a fianco dell’altra componente delle teste
di cuoio italiane, il Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza (NOCS) della
Polizia di Stato. “La storia del Reparto continuò attraverso gli anni di
piombo, caratterizzati dalla recrudescenza del terrorismo interno, durante i
quali condusse operazioni risolutive come quella per la riacquisizione del
controllo del supercarcere di Trani, battesimo del fuoco per il G.I.S. (1980)”,
ricorda enfaticamente il Comando generale dell’Arma. (25) Il blitz nel carcere speciale pugliese fu ordinato il
28 dicembre 1980 con lo scopo di reprimere la rivolta dei detenuti, tra cui
alcuni brigatisti, contro le insostenibili condizioni carcerarie. I militari
del G.I.S. si calarono dagli elicotteri e, dopo l’utilizzo di bombe a magnesio
e armi da fuoco contro i detenuti (numerosi i feriti), liberarono i 18 agenti
di custodia presi in ostaggio. Sette anni più tardi (25 agosto 1987) il Gruppo Intervento
Speciale fu protagonista di un altro blitz ad una struttura detentiva (il
carcere di Porto Azzurro, Isola d’Elba), per liberare i 33 ostaggi tra detenuti
e guardie carcerarie in mano a sei ergastolani tra cui il terrorista nero Mario
Tuti.
Gli specialisti delle operazioni coperte
A
partire del 1997 il reparto d’élite dei Carabinieri è stato dispiegato
all’estero a fianco delle altre forze speciali italiane in missioni di peace-keeping/peace-enforcing
per condurre operazioni di antiterrorismo, fermo di sospettati di atti
terroristici, sequestri di armi, munizioni ed esplosivi o per la protezione di
ambasciate, basi, cittadini o “interessi” italiani. Si annoverano in
particolare gli interventi in Albania, Bosnia, Kosovo, Iraq (particolarmente nel
distretto di Nassirya), Afghanistan, Gibuti, Somalia, Libano e Niger. Dal 2001 il
G.I.S. aderisce all’Organizzazione Atlas promossa dalla UE
dopo l’attacco terroristico alle Torri Gemelle e che riunisce i corpi
speciali delle forze di polizia di
28 paesi europei. Nel gennaio 2015 i
militari del G.I.S. sono stati inviati a Parigi per collaborare con le
forze di polizia francesi alla “protezione” di obiettivi sensibili dopo l’attentato
alla sede del settimanale satirico Charlie
Hebdo. Sempre in ambito internazionale a partire del 2016 il reparto
speciale dell’Arma viene impiegato su richiesta dell’AISE (l’Agenzia
Informazioni e Sicurezza Esterna) per missioni d’intelligence top secret.
E’ proprio
nei teatri di guerra afgano e iracheno che si sono svolte le operazioni più
controverse del G.I.S.. Il 18 aprile 2002 a Kabul le teste di cuoio furono impiegate per scortare l’ex re afgano
Mohammed Zahir Shah che rientrava in patria con l’intenzione di restaurare la
monarchia dopo la fine del regime talebano, ma che poi, su pressione del
governo USA, fu costretto ad accettare l’effimera svolta repubblicana del paese
asiatico. Dal giugno 2006 al 2016 il G.I.S. ha fatto parte della Task Force 45, l’unità interforze dei
reparti speciali italiani che in territorio afghano ha partecipato ad azioni
coperte e combattimenti a fuoco contro le milizie talebane. (26)
Attualmente
gli uomini del G.I.S. sono inquadrati nella Joint Special Operation Task Force 44 (Operazione Centuria Baghdad), attivata
in Iraq nell’ambito della coalizione internazionale anti-Isis. (27) Gli obiettivi e gli interventi della task force sono delineati dal
giornalista e analista Giampiero Cannella, già membro della Commissione Difesa
della Camera dei deputati con Alleanza nazionale. “Inserita nel dispositivo
militare della missione Prima Parthica,
in Iraq dal 2014, l’unità è composta da un numero variabile tra i 50 e gli 80
operatori delle forze speciali”, spiega Cannella. “Gli operatori italiani combattono
da anni nel Kurdistan irakeno una guerra silenziosa a fianco dei Peshmerga e
delle truppe di Baghdad, così come avevano fatto contro i talebani nei deserti
dell’Afghanistan. Ufficialmente sono lì per una missione di mentoring cioè addestramento dei
militari indigeni. Ma in un contesto ad alto rischio, per insegnare come
muoversi sul terreno, individuare obiettivi e guidare su di essi un attacco
aereo, scovare e disinnescare esplosivi, reagire ad una imboscata, liberare
ostaggi o curare un ferito in battaglia, non basta il powerpoint in un’aula didattica. Per questo oltre al semplice
training all’interno della base, bisogna ricorrere al mentoring che implica qualcosa in più delle semplici esercitazioni”.
“Il mentorizzatore accompagna gli allievi
sul campo, in azione, li guida, li consiglia, li assiste e in caso di
necessità gli fa vedere come si fa”,
aggiunge l’ex parlamentare. “Un modo diplomatico per dire che le nostre forze
speciali hanno più di una volta portato a termine con successo missioni combat contro i miliziani
fondamentalisti insieme agli alleati. Come nel 2017, durante l’offensiva
di Mosul: in quel caso gli incursori italiani entrarono in azione nell’area di
Hawaija contribuendo a stanare i tagliagole dell’Isis e a liberare l’antica
città irakena”. (28)
Un
po’ parà e un pò irruttori chirurgici
Il G.I.S. è stato inserito
tra le cosiddette forze
speciali poste sotto la direzione del
COFS (il Comando Interforze per le Operazioni delle Forze Speciali), costituito
il 1° dicembre 2004 presso l’aeroporto “Francesco Baracca” di Centocelle (Roma)
e posto a sua volta alle dipendenze dirette del Capo di Stato Maggiore della
Difesa.
“In Italia le Forze Speciali sono quelle unità militari chiamate a svolgere operazioni speciali,
ovvero operazioni militari non
convenzionali ad effetto strategico quali, ad esempio: il contrasto di
attività di matrice insurrezionale e terroristica, le incursioni contro
obiettivi nemici, le ricognizioni speciali e l’addestramento delle forze di
sicurezza di Paesi a deficit di stabilità”, spiega lo Stato Maggiore della
difesa “Si tratta di reparti in possesso di elevatissime qualifiche tecniche e
operative ed il cui personale è addestrato ad operare nei tre domini di
riferimento – terrestre, marittimo e aereo – in ambiente ostile e a grande
distanza dalle unità amiche”. (29)
Ancora più esplicito il generale dei Carabinieri Leonardo Leso, già Comandante del Gruppo di
Intervento Speciale e del Reggimento
Paracadutisti “Tuscania”. “Ciò che contraddistingue il G.I.S. dalle
altre Forze Speciali sono le sue particolari capacità operative chirurgiche nella liberazione di ostaggi
o in altri interventi che richiedono un altissimo livello di discriminazione
degli obiettivi da raggiungere, riducendo al massimo il rischio di danni
collaterali”, ha dichiarato Leso. “Per queste esigenze, è l’unico Reparto che
inquadra anche un nucleo di esperti negoziatori e alcune unità cinofile
addestrate anche al lancio con paracadute e alle irruzioni con forzamento degli
ingressi con esplosivo. Dispone quindi di speciali attrezzature di ascolto,
visione, registrazione nonché di penetrazione silenziosa. Il G.I.S. da anni è
inserito in un paio di programmi di scambio che vedono la partecipazione di
numerose unità speciali di forze armate e di polizia di varia nazionalità,
alcune ben note come il GSG9 tedesco, il GIGN francese, il SAS britannico, ma
anche americani, israeliani, spagnoli e di altri paesi, europei e non, con i
quali s’incontra e si addestra con cadenza annuale in una serie di stages
mirati al confronto di tecniche e materiali”. (30)
Dal
punto prettamente operativo il G.I.S. fa parte del cosiddetto Tier1 delle Forze Speciali della difesa,
insieme al 9° Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin” dell’Esercito (sede a
Livorno), al Gruppo Operativo Incursori (GOI) del Comando Subacquei e Incursori - Comsubin
della Marina Militare (La Spezia) e al 17º Stormo
Incursori dell’Aeronautica Militare di Furbara (Cerveteri, Roma). Insieme a
questi reparti operano due ulteriori unità, costituenti il Tier2: il 185°
Reggimento Paracadutisti Ricognizione e Acquisizione Obiettivi “Folgore”
(Livorno) e il 4° Reggimento Alpini Paracadutisti (Rangers) “Monte Cervino”
(Montorio Veronese, Verona), che possono compiere una parte delle tre missioni NATO SOF (Direct Action, Military Assistance e Special Reconnàissance).
A supporto delle operazioni
speciali sono assegnati anche il 3° Reggimento Elicotteri “Aldebaran”
dell’Esercito (Viterbo), il Reparto Eli-Assalto della Marina Militare (Luni, La
Spezia e Grottaglie, Taranto) e il 9° Stormo “Francesco Baracca” dell’Aeronautica
(Grazzanise, Caserta). Ad essi si aggiungono infine le FOS - Forze per Operazioni Speciali, compagnie
di pronto intervento fornite dal 187° Reggimento Paracadutisti “Folgore”
(Livorno), dal Reggimento Lagunari “Serenissima” (Venezia), dal 66° Reggimento
Fanteria Aeromobile “Trieste” (Forlì), dal 1° Reggimento “San Marco” della
Marina (Brindisi) e dall’immancabile 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti “Tuscania”.
(31)
Data la rilevanza strategica assunta dalle Forze
Speciali nelle guerre globali moderne, sono stati programmati ingenti
investimenti finanziari per dotarle di armi sempre più sofisticate, specie
quelle semi-automatizzate o del tutto automatizzate che contribuiscono alla disumanizzazione dei conflitti. Il 9
novembre 2021, in particolare, il Parlamento ha espresso parere favorevole allo
schema di decreto ministeriale relativo al programma pluriennale di acquisto
di munizioni a guida remota (Loitering Ammunitions) da parte delle unità di pronto
intervento delle forze armate e dell’Arma dei Carabinieri. Le Loitering Ammunitions - come spiega l’Osservatorio sulle spese militari (Milex) - sono “piccoli droni armati, dotati di una testata
esplosiva, che possono essere teleguidati contro l’obiettivo, anche a
decine di chilometri di distanza”. Avvistato
il target si lanciano in picchiata e si fanno esplodere al momento dell’impatto
(per questo vengono indicati anche come droni
kamikaze).
“Sono
letali, precisi, rapidi e sicuri come i droni armati normali perché
possono centrare bersagli fissi o anche in rapido movimento senza la necessità
di truppe a terra e senza bisogno di aspettare il supporto aereo di elicotteri
da attacco o cacciabombardieri esposti al fuoco nemico”, aggiunge
l’Osservatorio sulle spese militari. “Questi droni, tuttavia, sono decisamente più versatili
perché possono essere trasportati, lanciati e manovrati direttamente da piccole
unità isolate di incursori. Ecco dunque perché vengono ritenuti un vero e
proprio game changer per
imprimere una svolta nella tattica militare e soprattutto abbassare di molto l’asticella
delle remore all’uso della forza letale. Tanto più se viene fornita a forze
speciali che conducono operazioni segrete”. (32)
Nella scheda tecnica allegata
allo schema di decreto, lo Stato Maggiore della difesa ha indicato il modello
di munizioni a guida remota da acquisire: il sistema “Hero-30”, sviluppato
dalla società israeliana UVision. “Grazie alle munizioni “Hero-30” sarà
possibile effettuare la sorveglianza e mantenere la Situational Awareness in tutte le fasi che prevedano un intervento
cinetico su un obiettivo; fornire supporto di fuoco mantenendo la consapevolezza della situazione e
l’opportuna distanza di sicurezza; verificare il campo di battaglia rimanendo
dietro la linea del fronte; garantire una cornice di sicurezza intorno ad una
base operativa avanzata all’interno di un territorio ostile individuando una
minaccia a distanza e conseguentemente ingaggiarla”, spiega la Difesa. Oltre
all’acquisto delle munizioni “Hero-30”, gli operatori delle forze speciali si potranno avvalere di pacchetti
addestrativi “da svolgersi in Israele presso la sede di UVision ubicata nella
città di Tzur Igal”. L’azienda israeliana fornirà inoltre il supporto logistico
integrato, comprensivo di manutenzione basica e gestione/sostituzione di alcune
parti di ricambio di consumo. (33)
Come
influenzare i comportamenti e manipolare le menti
A riprova del ruolo chiave
assunto dal territorio pisano nelle strategie di guerra ibrida e non convenzionale va infine ricordato che dal
giugno 2020 è operativo il Comando delle Forze Speciali dell’Esercito (COMFOSE)
presso il comprensorio “Tenente
Dario Vitali” realizzato all’intero di un’area di 35 ettari
della base militare statunitense di Camp Darby
rientrata nella disponibilità delle autorità italiane. Secondo
lo Studio progettuale presentato dallo Stato Maggiore dell’Esercito, per la ricollocazione
del COMFOSE sono stati spesi 42 milioni di euro circa: nello specifico sono
state realizzate un’area logistica di 15.000 mq; una sportiva di 8.000 mq e un’area
alloggiativa di 20.000 mq.
Il COMFOSE
è stato istituito il 19 settembre 2014 e ha avuto il suo quartier generale
prima nella Caserma “Gamerra” di Pisa e poi presso il CISAM di San Piero a
Grado. Questo nuovo comando sovrintende alle attività, all’addestramento
e all’acquisizione dei materiali delle
unità delle forze terrestri assegnate alle “operazioni speciali”, primo fra
tutti il 9°
Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin”, in via di trasferimento da Livorno al nuovo complesso infrastrutturale pisano. Altro
reparto delle forze speciali dell’Esercito è il 185° Reggimento
Paracadutisti Ricognizione e Acquisizione Obiettivi “Folgore” (Livorno) con
funzioni spiccatamente d’intelligence, ingaggio di obiettivi a distanza e
penetrazione e infiltrazione in territorio nemico. Ci sono poi il 4° Reggimento
Alpini Paracadutisti (Ranger) di Verona, designato per le operazioni in
ambiente montano e artico e il 28° Reggimento “Pavia”, l’unica unità militare
in Italia che si occupa di “comunicazioni operative”, quelle cioè finalizzate “a creare, consolidare o incrementare il
consenso della popolazione locale nei confronti dei contingenti militari
impiegati in missione di pace all’estero”.
Di stanza a Pesaro, il
“Pavia” rappresenta la componente armata che più interpreta le nuove frontiere
della guerra moderna. “Le unità
specialistiche del 28° Reggimento usano mezzi di comunicazione di massa per
diffondere messaggi alla popolazione: si spazia dai tradizionali volantini e
poster, efficaci in aree a elevato tasso di analfabetismo e basso sviluppo
tecnologico, fino ai più complessi prodotti multimediali, compresi i new e
social media nelle aree più progredite”, riferisce lo Stato Maggiore. “Inoltre il personale studia e analizza la realtà
socio-antropologica delle aree di missione in modo da comunicare in modo idoneo
ed efficace con la popolazione nel rispetto di usi, costumi e tradizioni
locali”. (34)
Quelli che a prima vista
potrebbero apparire come interventi di natura meramente
politico-diplomatico-sociale s’inquadrano invece nelle cosiddette “guerre
psicologiche”, note in ambito militare come operazioni psicologiche o PSYOPS (acronimo
in lingua inglese). Sulle finalità e le modalità delle PSYOPS si è soffermata la ricercatrice Francesca
Angius dell’Archivio Disarmo di Roma. “Si
tratta del complesso delle
attività psicologiche pianificate in tempo di pace, crisi o guerra, dirette verso gruppi obiettivo nemici, amici
o neutrali, al fine di influenzarne gli
atteggiamenti ed i comportamenti che incidono sul conseguimento di
obiettivi prefissati di natura
politica e militare”, scrive la ricercatrice. “Le PSYOPS sono, quindi, finalizzate alla conquista delle menti attraverso la gestione ad arte delle
informazioni e delle verità e
costituiscono uno strumento di strategia militare (…) il cui scopo principale consiste nell’influenzare
le percezioni, gli atteggiamenti ed il
comportamento di un determinato gruppo obiettivo. L’esigenza di dotarsi
di un’unità PSYOPS è nata, in seno
alla NATO, dalla convinzione
che l’uso programmato delle comunicazioni di massa possa influenzare, anche in
modo decisivo, l’esito di un conflitto.
Il dominio delle informazioni è sempre più una dimensione fondamentale del moderno campo di
battaglia, dove propaganda, disinformazione e manipolazione delle informazioni
ne rappresentano una parte
essenziale”. (35)
Nel 2006 l’allora tenente colonnello Luca Fontana (poi
generale di brigata e vice capo divisione presso la NATO Rapid Deproyable
Corps Italy di Solbiate Olona, Varese), ha pubblicato per conto dello Stato
Maggiore della difesa un report intitolato Le Operazioni Psicologiche
Militari (PSYOP). La “Conquista” delle menti. “E’ opinione diffusa che l’importanza delle PSYOP stia
costantemente crescendo a garanzia
del successo di ogni azione che si debba
intraprende ovunque nel mondo, sia essa
di carattere diplomatico o militare”, spiegava l’ufficiale. “Nel futuro, il valore delle PSYOP continuerà ad essere utilizzato al
meglio prima e dopo un conflitto (…) Mentre negli anni a venire, saranno
comunque le bombe, i missili e l’occupazione del territorio con truppe di terra
a determinare sul piano militare il vincitore ed il perdente, le operazioni
psicologiche, in misura sempre maggiore, determineranno la durata dei conflitti
e l’impatto dello sforzo militare sugli interessi strategici di lungo
termine…”. (36)
L’odierno conflitto
russo-ucraino risponde perfettamente a queste indicazioni: si tratta infatti di
una guerra brutale e fratricida combattuta con droni, missili e granate ma
anche a colpi di dati di intelligence, comunicati stampa, verità dimezzate o manipolate
e fake news.
Note:
(1)
https://it.wikipedia.org/wiki/1%C2%BA_Reggimento_carabinieri_paracadutisti_%22Tuscania%22
(2)
https://www.analisidifesa.it/2018/08/il-1-reggimento-carabinieri-paracadutisti-tuscania/
(4)
https://www.analisidifesa.it/2018/08/il-1-reggimento-carabinieri-paracadutisti-tuscania/
(5)
Ibidem.
(6)
https://www.meprolight.com/vision-mission/
(7)
https://www.difesaonline.it/mondo-militare/il-tuscania-compie-80-anni-cosa-far%C3%A0-da-grande
(9) http://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2021/11/litalia-ai-mondiali-di-calcio-in-qatar.html
(11) https://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_intern_corso/Somalia_MIADIT_/Pagine/default.aspx
(12)
https://pagineesteri.it/2021/05/21/africa/africa-italia-addestra-milizie-paramilitari/
(15)
https://unsdg.un.org/sites/default/files/2020-06/UN-Country-Results-Report-2019.pdf
(16)
https://collections.unu.edu/eserv/UNU:7631/HybridConflictFullReport.pdf
(17)
http://leg13.camera.it/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed212/aint.htm
(19)
https://thevision.com/cultura/italia-missione-somalia/
(20) https://www.difesaonline.it/mondo-militare/il-tuscania-compie-80-anni-cosa-far%C3%A0-da-grande
(22) https://www.analisidifesa.it/2021/02/gis-e-tuscania-le-forze-speciali-dei-carabinieri/
(26)
https://www.dinovalle.it/2021/10/18/1977-viene-costituito-il-gis-dei-carabinieri/
(27)
https://www.difesaonline.it/mondo-militare/primo-lancio-la-bandiera-di-guerra-del-gis
(30) https://www.analisidifesa.it/2021/02/gis-e-tuscania-le-forze-speciali-dei-carabinieri/
(31)
https://temi.camera.it/leg18/temi/le-forze-speciali.html
(33)
http://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2021/11/litalia-allo-shopping-di-droni-kamikaze.html
(34) http://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2020/06/a-camp-darby-il-comando-italiano-delle.html
Questo rapporto è stato
presentato in occasione della Tre Giorni
– No Base a Coltano promossa dal Movimento No Base – Né a Coltano né
altrove, 9-11 settembre 2022, Coltano, Pisa.
Antonio Mazzeo - Peace-researcher,
saggista e giornalista impegnato nei temi della pace, della militarizzazione,
dell’ambiente, dei diritti umani, della lotta alle criminalità mafiose. L’8
ottobre 2020 è stato premiato dall’Archivio Disarmo con la Colomba d’oro per la Pace quale riconoscimento “per aver
interpretato per anni il giornalismo e la scrittura come una missione di difesa
dei diritti umani e di denuncia delle ingiustizie”. Articoli, interventi e
volumi pubblicati sono consultabili in https://independent.academia.edu/AntonioMazzeo e http://antoniomazzeoblog.blogspot.com/.
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