Italia nello Stretto di Hormuz in funzione anti-Iran
L’Italia
assume il comando dell’operazione militare europea nello Stretto di Hormuz a
“difesa” degli interessi delle transnazionali dell’energia e per il
“contenimento” della presenza iraniana. Ad annunciare la provocatoria missione
nel conflittuale corridoio marittimo tra il Golfo Persico e il Golfo di Oman è il
ministero della Difesa, a conclusione della visita in Pakistan del Capo di Stato Maggiore, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone. “Tra gli argomenti trattati durante gli incontri con i vertici delle forze armate pakistane – si legge nella nota
emessa il 24 giugno - il Capo di Stato Maggiore italiano ha
sottolineato l’accresciuto impegno del nostro Paese nell’area con
l’assunzione del Comando della Missione NATO in
Iraq e con la prossima assunzione del Comando della missione di coalizione
Europea EMASOH”. (1).
Acronimo
di European Maritime Awareness in the Strait of Hormuz, EMASOH è la “missione di sorveglianza
marittima” promossa nel gennaio 2020 - in modo autonomo - dai governi di Danimarca,
Belgio, Francia, Germania, Grecia, Paesi Bassi, Portogallo e Italia, dopo una serie
di attacchi contro le unità utilizzate per il trasporto di gas e petrolio negli
stretti di Hormuz e Bab el-Mandeb (tra il Mar Rosso e il Golfo di Aden) e ai
terminali petroliferi di Abqaiq e Khurais in Arabia Saudita. Principali
responsabili delle incursioni a petroliere e navi metaniere, secondo Stati
Uniti, Unione europea e petroregimi arabi, i pasdaran, i guardiani della rivoluzione islamica dell’Iran.
“La crescente insicurezza e instabilità nel Golfo e
nello Stretto di Hormuz a partire del 2019 con numerosi incidenti marittimi e
non, è il risultato delle crescenti tensioni regionali e ha influenzato
negativamente la libertà di navigazione e la sicurezza delle unità europee ed
extraeuropee nell’area”, riportano i paesi membri di EMASOH. (2) Nonostante
l’apertura di nuove rotte commerciali e l’espansione del mercato globale, dallo
Stretto di Hormuz continua a transitare
il 21% delle risorse petrolifere (circa 21 milioni di
barili al giorno). Attraverso questo tratto di
mare lungo 150 Km. e largo 33, l’Arabia Saudita fa passare 6,4 milioni di
barili di petrolio al giorno, l’Iraq 3,4, gli Emirati Arabi Uniti 2,7, il
Kuwait 2, mentre il Qatar, il più grande produttore mondiale di gas naturale
liquefatto (LNG), quasi tutto il suo gas destinato all’esportazione. (3)
Da qui l’esigenza
di alcuni dei principali clienti europei di concorrere alla rimilitarizzazione
della regione anche in concorrenza con gli stessi Stati Uniti d’America e i
partner del Golfo.
Quartier generale di EMASOH
è la base navale francese di Camp de la
Paix ad Abu Dhabi (la Francia di Macron è il paese che più ha spinto per il
lancio della missione aeronavale). La componente militare (Operation Agénor, nome di matrice classica, sinonimo di molto virile, coraggioso, condottiero dei
prodi) include sette unità da guerra e un pattugliatore aereo delle forze
armate degli stati promotori più la Norvegia. “Nei primi due anni di vita,
EMASOH-Agénor ha visto operare complessivamente tredici fregate e dodici
differenti velivoli di pattugliamento e riconoscimento marittimo”, riporta la
nota emessa dal Comando il 25 febbraio 2022. “In totale gli assetti aerei hanno
condotto più di 1.000 ore di volo mentre le imbarcazioni hanno navigato per 750
giorni, attraversando lo Stretto di Hormuz oltre 170 volte. Tuttavia la
sicurezza nel Golfo e nello Stretto rimane volatile. Nonostante il
rafforzamento della collaborazione con il Consiglio di Cooperazione del Golfo (paesi
membri Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi, Kuwait, Oman e Qatar, Nda), persistono le tensioni regionali
pre-esistenti e il rischio di escalation e di potenziali nuovi incidenti. (…) Riconoscendo
l’effetto preventivo duraturo della presenza di EMASOH, cercheremo adesso di
migliorarne l’efficienza sviluppando sinergie con differenti iniziative europee
nell’Oceano indiano nord-occidentale”. (4) Una missione destinata dunque a
rafforzare la propria componente militare e il raggio operativo geo-strategico e
che sarà a guida italiana molto presumibilmente fino al febbraio 2023.
La
nuova avventura militare nelle acque del Golfo non prende il via di certo con i
migliori auspici. Voluta dall’allora governo Conte bis (Pd-LeU-M5S) sull’onda
del rinnovato asse diplomatico-economico-militare tra Roma e Parigi, la
partecipazione italiana ad EMASOH è stata inaspettatamente bloccata per tutto
il corso del primo anno di attività. Il 30
maggio 2020, prima dell’approvazione del decreto di finanziamento delle
operazioni all’estero delle forze armate italiane, il governo decideva l’annullamento
della partecipazione di un’unità della Marina ad EMASOH, così come era stato previsto
a gennaio. L’allora premier Giuseppe Conte e il (riconfermato) ministro della
difesa Lorenzo Guerini non vollero spiegare la ragione della decisione; Analisi Difesa puntò il dito contro una supposta
“pressione” esercitata dal Ministero degli Affari Esteri (allora come adesso,
responsabile del dicastero l’on. Luigi Di Maio), “non nuovo a entrare a gamba tesa nel campo delle missioni
militari all’estero, finanziate da un decreto annuale che stanzia anche i fondi
per la cooperazione e sviluppo della Farnesina”. (5)
Dopo
la falsa partenza, indigesta per ampi settori politici e delle forze armate, il
via alla partecipazione italiana a EMASOH fu annunciato dal ministro Guerini in un’audizione nelle commissioni Difesa di Camera e
Senato, nel marzo 2021. (6) Il successivo 5 agosto, con l’approvazione
in Parlamento del documento di proroga delle missioni internazionali, veniva
predisposta una copertura finanziaria di 9.032.736 euro (di cui 2 milioni
esigibili nell’anno 2022) per l’operazione navale nello Stretto di Hormuz. “La
missione prevede
l’impiego di un dispositivo aeronavale nazionale per attività di presenza,
sorveglianza e sicurezza nella regione che comprende il Golfo dell’Oman e
l’intero Golfo Persico, un’area storicamente caratterizzata da interessi vitali
per l’economia nazionale e dei paesi europei”, scrive lo Stato Maggiore della
Difesa. “Essa è finalizzata a tutelare il naviglio mercantile nazionale,
supportare il naviglio mercantile non nazionale, rafforzare la cooperazione con
le altre iniziative nell’area e contribuire alla maritime situational awareness dello spazio aeromarittimo al fine
di garantire la libertà di navigazione e il libero flusso del commercio globale”.
“L’Italia - enfatizza la Difesa - alla luce del ruolo
strategico di quest’area per gli interessi nazionali, intende dispiegare un
sistema di sicurezza, mantenendo una posizione neutrale nei confronti degli
Stati regionali, nel rispetto del diritto internazionale, al fine di
contribuire alla stabilità dell’area”. (7) Il decreto fissa un tetto massimo
nell’impiego
del dispositivo militare: 193 unità di personale, una unità navale, due mezzi
aerei e un non meglio specificato supporto ISR Intelligence, Surveillance and
Reconnaissance, successivamente
identificato dalla stampa estera specializzata in un drone MQ-9 Reaper dell’Aeronautica militare,
precedentemente schierato in Kuwait per la “sorveglianza” dello scacchiere
iracheno. (8)
Oltre
al velivolo senza pilota, la presenza militare italiana nelle acque del Golfo è
stata limitata al dispiegamento dal 1° ottobre al 15 dicembre 2021 della fregata missilistica “Federico Martinengo”, assegnata nei mesi precedenti all’Operazione Atalanta dell’Unione europea contro
la pirateria a largo delle coste somale e nel Mar Rosso, nell’ambito della European Union Naval Force for Somalia (EU-NavFor Somalia). Nel corso della sua
partecipazione a EMASOH, la fregata ha effettuato soste tecniche nei porti di Mascate (Oman), Doha (Qatar) e Manama (Bahrain),
sapientemente utilizzate dalle autorità nazionali per propagandare il Sistema Italia (armi e tecnologie
belliche) e rafforzare le relazioni diplomatico-militari con i paesi ospiti.
Ciò è comunque bastato per irritare Teheran. “La
Repubblica Islamica dell’Iran ha protestato contro la presenza di forze
straniere nella regione, in particolar modo europee, che non può che creare le
condizioni per esacerbare le tensioni già esistenti”, riportava il 14 ottobre
2021 l’agenzia di stampa iraniana Fars. “E’ stato altresì sottolineato che la sicurezza
della zona del Golfo dovrebbe essere assicurata soltanto dai Paesi vicini”. (9)
Il regime iraniano aveva già espresso disappunto e risentimento per la
decisione del Comando centrale delle forze armate USA di dar vita, nel luglio
2019, alla “missione internazionale di sicurezza marittima” - sempre nello
Stretto di Hormuz e nelle acque del Golfo Persico - denominata IMSC - International Maritime
Security Construct. “IMSC è nata in risposta alla crescita delle
minacce alla libertà di navigazione e al libero flusso del commercio per le legittime
marinerie nelle acque internazionali della regione mediorientale”, spiega il
Dipartimento della difesa USA. “La task force
multinazionale Sentinel, braccio operativo di
IMSC, è stata istituita il 7 novembre 2019 con lo scopo di scoraggiare le attività
maligne sponsorizzate dallo stato in tutta l’area operativa in modo da ridare
sicurezza all’industria navale commerciale”. A IMSC-Sentinel oltre agli Stati Uniti contribuiscono Albania,
Bahrain, Estonia, Lituania, Romania, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Regno
Unito, mentre hanno espresso l’intenzione di offrire una forma di cooperazione
Corea del Sud, Qatar e Kuwait. Il 6 agosto 2019,
nella sessione di chiusura della Knesset, l’allora ministro degli esteri di
Israele, Israel Katz, aveva espresso la volontà di fornire intelligence alla
missione a guida USA. Alle dichiarazioni di Tel Aviv è seguita una dura presa
di posizione dell’ammiraglio Alireza Tangsiri, comandante delle Guardie del
Corpo Rivoluzionarie Islamiche dell’Iran. “Ogni illegittima presenza di Israele
nel Golfo Persico potrebbe sfociare in un confronto militare nella regione e la
responsabilità per quanto accadrà sarà di Stati Uniti e Regno Unito”. (10)
Inutile dire come le politiche delle
cannoniere promosse in prima istanza da Washington e Parigi (con scarsa
coordinazione tra le parti, nonostante le identiche finalità anti-Iran),
congiuntamente al dirompente attivismo di Israele nel “controllo” delle rotte
petrolifere e del gas dell’intero Medio Oriente, abbiano esacerbato gli animi
contribuendo ad aggravare le tensioni, specie tra Teheran e Tel Aviv.
“L’attacco mortale ai danni di una petroliera a largo delle coste dell’Oman
alla fine del luglio 2021 rappresenta un ulteriore sviluppo sia del rischio
generale per la navigazione nel Golfo, dello Stretto di Hormuz e del mare
Arabico, sia per la ribollente guerra
ombra che viene condotta da Iran e Israele”, scrivono gli analisti militari Hugo Decis e Charlotte Le Breton dell’International
Institute for Strategic Studies (IISS) di Londra. “L’attacco è stato
condotto con un velivolo senza pilota apparentemente decollato dall’Iran, che
ha colpito la nave cisterna MV Mercer Street, gestita
da una società israeliana. Questo evento segna un’indubbia escalation. L’Iran
ha minacciato ripetutamente di chiudere lo Stretto di Hormuz in passato. Finora
non è riuscito a portare a termine queste minacce parzialmente per preservare i
propri interessi economici, ma ha anche continuato ad accumulare strumenti ed
assetti finalizzati a questo obiettivo. Ciò indica che permane il rischio di escalation”. (11)
All’aggravamento della crisi nell’area ha concorso inevitabilmente la
decisione assunta a Bruxelles dal Consiglio dell’Unione Europea, lo scorso mese
di febbraio, che ha esteso all’Oceano Indiano nord-occidentale il cosiddetto Coordinated
Maritime Presence Concept con cui sono stati predisposti misure ed interventi a difesa degli
interessi strategici europei e della navigazione nel Golfo di Guinea (documento
varato nell’agosto 2019). In particolare il Consiglio Ue ha suggerito di
rafforzare il coordinamento e la cooperazione con la missione EMASOH e di “considerare un’Area Marittima di Interesse l’Oceano Indiano nord-occidentale, una
regione che si estende dallo Stretto di Hormuz al Tropico meridionale e dal
nord del Mar Rosso fino al centro dell’Oceano Indiano”. (12)
La decisione di Bruxelles non potrà non avere
conseguenze a breve termine anche di ordine militare. “La Coordinated
Maritime Presence consentirà all’Unione europea di condividere intelligence
e coordinamento operativo nella regione del Golfo, stabilendo effettivamente legami
tra EMASOH e l’Operazione Atalanta che combatte la pirateria a largo della
Somalia”, scrivono i ricercatori Cinzia
Bianco dell’European Council on Foreign Relations di Berlino e Matteo
Moretti dell’Istituto di Affari Internazionali di Roma. “Convertire lo
Stretto di Hormuz e il Mar Rosso in un’area integrata rafforza la
capacità di dare sicurezza a entrambi (…) L’abbraccio Ue di EMASOH è l’ultima
luce verde a una nuova generazione di missioni flessibili create ad hoc e che
possono essere dislocate in aree sensibili per gli interessi dell’Unione
europea, compensando il lungo processo decisionale della Politica Comune su Difesa e Sicurezza della Ue. Questa principale
categoria di missioni, che include l’Operazione
Takuba nel Sahel e l’European Naval
Engagement nell’Indo-Pacifico, diverrà ancora più comune e rafforzerà le
capacità di proiezione europea. EMASOH dovrà rafforzare la sua presenza navale e
gli assetti per la sorveglianza aerea se vuole essere credibile in mezzo a una
forte competizione multipolare nella regione”.
Ancora
più militari, navi e aerei da guerra Ue nel Golfo, dunque. Specie adesso che è partita
una dissennata corsa per “differenziare” i mercati di approvvigionamento delle
risorse energetiche, così da ridurre la dipendenza dalla Russia e aumentare
l’import dagli impresentabili regimi super-armati della Penisola arabica. In
pole position tra i paesi in gara per più gas e più petrolio dalla regione del
Golfo c’è ovviamente l’Italia di Mario Draghi, Lorenzo Guerini e Luigi Di Maio,
per nome e per conto dell’holding a capitale statale ENI. A metà febbraio, prima
dell’aggressione russa contro l’Ucraina, il governo ha sottoscritto un accordo strategico
con il Qatar per accrescere le forniture di GNL. L’emirato fornisce già il 10% circa
del gas naturale importato dall’Italia; inoltre la Qatar Petroleum, l’azienda
petrolifera statale, possiede il 23% della joint venture che controlla il
Terminale GNL Adriatico, l’impianto di rigassificazione posto a circa 15 km al
largo di Porto Levante, Rovigo (le altre quote sono per il 70% della
statunitense ExxonMobil e per il 7% di Snam SpA, società di infrastrutture
energetiche controllata in parte dalla Cassa Depositi e Prestiti). (14)
Tutti
“buoni” motivi per indossare baionetta ed elmetto e proiettarsi nello Stretto
di Hormuz e nel Golfo Persico a difendere quello che Guerini e Stato maggiore definiscono
ormai il Mediterraneo Mare Nostrum super-allargato.
Ci inimichiamo di sicuro ancora di più l’Iran
ma se si chiude una porta si apre un portone, anzi tanti portoni per fare nuovi
e più lucrosi affari di gas e petrolio con emiri e sceicchi…
Note
(1) https://www.difesa.it/SMD_/CaSMD/Eventi/Pagine/Capo_SMD_Ammiraglio_Cavo_Dragone_in_Pakistan.aspx
(2) https://fmn.dk/en/topics/operations/igangvarende-operationer/hormuz/
(3) https://www.ilpost.it/2019/08/04/stretto-hormuz-importante-iran-crisi/
(4) https://www.hellenicshippingnews.com/emasoh-two-years-of-de-escalation-in-the-strait-of-hormuz
(8) https://www.air-cosmos.com/article/golfe-persique-un-reaper-italien-pour-agenor-25530
(10)
https://www.globalsecurity.org/military/ops/sentinel.htm
(11)
https://www.iiss.org/blogs/military-balance/2021/09/a-new-phase-in-the-gulf-shipping-threat
(12)
https://www.consilium.europa.eu/media/54437/st06255-en22.pdf
(13)
https://www.mei.edu/publications/europes-role-gulf-maritime-security
(14)
https://formiche.net/2022/02/gas-ue-russia-qatar/
Articolo pubblicato in Pagine Esteri il 4 luglio 2022, https://pagineesteri.it/2022/07/04/primo-piano/italia-nello-stretto-di-hormuz-in-funzione-anti-iran/
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