Partito da Genova cargo stipato di carri armati ed elicotteri USA. Destinazione Arabia saudita
E' salpata domenica 14 novembre, poco dopo mezzogiorno, la nave cargo “Bahri Abha” battente bandiera saudita con a bordo numerosi carri armati ed elicotteri d’assalto di produzione statunitense, destinati alle forze armate di Riyadh. L’imbarcazione è diretta al porto di Alessandria d’Egitto dove dovrebbe approdare la mattina di giovedì 18, per proseguire poi il suo viaggio sino alla destinazione finale di Gedda. Dal sito vesselfinder.com che fornisce informazioni sulle rotte delle unità navali commerciali, la “Bahri Abha” proviene dagli Stati Uniti d’America: è partita da Dundalk (Maryland) la sera del 27 ottobre dopo aver fatto sosta a Houston (Texas) il 14 ottobre, Pensacola (Florida) il 16 e Wilmington (North Carolina) venerdì 23 ottobre.
La “Bahri
Abha” era giunta nel porto di Genova il 12 novembre; a denunciare la presenza
nelle stive dell’imponente carico bellico è stato The Weapon Watch, l’Osservatorio sulle armi nei porti europei e del
Mediterraneo a cui aderiscono lavoratori del porto, ricercatori e pubblicisti
con lo scopo di monitorare la logistica per la difesa e in particolare il
transito degli armamenti attraverso i porti italiani ed europei.
“Con
qualche giorno di ritardo sul previsto, la nave Bahri Abha era arrivata a
Genova, accolta dal solito massiccio schieramento di polizia per scongiurare
proteste violente che né qui né in altri porti italiani si sono mai verificate”,
scrive The Weapon
Watch. “La nave sta trasportando un
gran numero di casse e contenitori di esplosivi, container di merci
infiammabili e come abbiamo documentato fotograficamente, almeno una mezza
dozzina di elicotteri Sikorsky UH-60M Black Hawk in dotazione alla Guardia
nazionale saudita e dodici carri armati Abrams M1A2”.
Secondo
l’Osservatorio genovese, ogni 2-3 settimane una delle navi di proprietà della
compagnia saudita “Bahri” transita dal porto di Genova. “In questi anni abbiamo
documentato il trasporto di tipologie diverse di armamenti. Si va dagli shelter
e dai gruppi elettrogeni prodotti dalla società Teknel S.r.l. di Roma, ai
cannoni CAESAR (Canons équipés d’un système d’artillerie) della francese Nexter,
motorizzati Renault su telai Mercedes-Unimog. Abbiamo visto pure una parte
degli oltre 700 blindati LAV (Light
Armoured Vehicles) mod. 6.0 fabbricati da General Dynamics e il cui
acquisto ha generato uno scandalo economico-finanziario in Canada. E sono
passati da Genova anche i blindati Patria AMV 1 di produzione finlandese, i
soli concorrenti sul mercato dei LAV di General Dynamics”.
“Notevoli
i quantitativi di main battle tanks visti o documentati nelle
stive, soprattutto gli Abrams M1A2 e probabilmente anche del modello SEPV 3,
recente versione con importanti upgrade elettronici”, aggiunge The Weapon Watch. “E persino mezzi specializzati
come gli Howitzer 109A6 ‘Paladin’ e i M88A2 Hercules. E, sempre, container e
container di munizioni pesanti, missili, esplosivi, in particolare quelle
prodotte dalle americane Raytheon e Lockheed Martin, dal gruppo tedesco
Rheinmetall, dalla spagnole Defex e Maxam”.
I
portuali genovesi e i ricercatori dell’Osservatorio ritengono che le soste nei
porti italiani di queste unità cargo violino il Trattato internazionale sul
commercio delle armi convenzionali e la legge n. 185/1990 che vieta esplicitamente
l’esportazione ed il transito di materiali di armamento verso i Paesi in
guerra e/o i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle
convenzioni internazionali in materia di diritti umani. “Tutto ciò
continua ad accadere nell’apparente inerzia delle autorità e del governo
italiano”, aggiunge The Weapon Watch. “In
realtà è palese il pieno sostegno governativo e su istigazione degli interessi
economici coinvolti si è applicata la repressione di polizia a chi osa
contestare il traffico di morte che
continua a svolgersi sotto i nostri occhi”.
I
portuali genovesi puntano il dito soprattutto sul cliente-destinatario finale
di buona parte dei carichi bellici transitati dall’Italia, il Regno dell’Arabia
saudita, a capo della coalizione che con i suoi bombardamenti ha prodotto
devastazioni e morte in Yemen. “Nel 2021, dopo sei anni di guerra, quella
yemenita è la maggiore crisi umanitaria in corso”, spiegano gli attivisti No Weapons. “Secondo Human Rights Watch
sono stati sinora uccisi o feriti 18.400 civili e due terzi della popolazione –
cioè circa 20 milioni di persone – richiedono assistenza alimentare e sono
esposti alla crisi pandemica da COVID-19. Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti
continuano le operazioni militari aeree congiunte, sebbene gli EAU abbiano
ritirato le proprie truppe nel 2019. In particolare sono colpite le
infrastrutture civili, comprese le scuole e gli ospedali. Nel paese mancano il
carburante e i servizi di base, e spadroneggiano le milizie abusive locali”.
I
lavoratori del porto di Genova hanno dato vita a una grande mobilitazione popolare
contro il transito delle navi cargo-militari, con scioperi e azioni dirette di
blocco delle operazioni di carico. Nel maggio 2019 i portuali riuscirono
a impedire che i container presenti nelle banchine di Genova venissero caricati
a bordo della nave “Bahri Yanbu” che ripartì senza i sistemi d’arma pesanti - tra cui
i micidiali cannoni francesi CESAR - destinati alle forze armate saudite.
A Genova le manifestazioni di protesta - con la
presenza dei portuali e dei militanti delle forze politiche e delle
associazioni No War, si sono susseguite
anche di recente: l’ultima risale al 21 luglio, quando approdò in porto la “Bahri Jazan” proveniente da Baltimora (Usa) e
diretta a Iskenderun, in Turchia.
Le navi
cargo “Abha”, “Yanbu” e “Jazan”,
insieme alle sorelle “Jeddah”, “Tabuk” e “Hofuf” appartengono tutte alla grande
società di navigazione e logistica “Bahri”, istituita con decreto del sovrano d’Arabia
nel 1978 e oggi di proprietà per il 22% del Fondo d’investimento statale, per
il 20% della compagnia petrolifera saudita SADCO e per il restante 58% di
azionisti privati.
A
metà marzo, le abitazioni di alcuni militanti del Collettivo Autonomo
Lavoratori Portuali (CALP) sono state perquisite dagli agenti della DIGOS su mandato
della Procura della Repubblica. Gli inquirenti genovesi hanno contestato
un’incredibile serie di reati, tra cui l’associazione
per delinquere, la resistenza a pubblico ufficiale, il lancio di oggetti
pericolosi, l’attentato alla sicurezza pubblica dei trasporti, ecc... “Dallo sciopero indetto due anni fa per bloccare un
carico destinato alla guerra in Yemen, a oggi, passando per la manifestazione
di un anno fa contro il transito di esplosivi a bordo di un’altra Bahri diretti
alla guerra siriana, gli armatori sauditi attraverso l’agenzia genovese Delta e
il Terminal GMT avevano chiesto a più riprese alla Procura la testa dei
portuali”, scrivono i militanti del CALP. “Per quale colpa? Per avere messo in
pratica, con le associazioni e i movimenti contro la guerra e per i diritti
civili ciò che il Parlamento ha approvato poco dopo lo sciopero nel porto di
Genova: lo stop alla vendita di bombe e missili ad Arabia e Emirati”.
“La
Procura sostiene che il CALP si è reso colpevole di avere strumentalizzato la
protesta con dispositivi modificati in
modo da renderli micidiali”, aggiungono i portuali. “I bengala e i fumogeni
utilizzati per attirare l’attenzione sulle navi dalle stive e i ponti piene di
armi e esplosivi diretti a fare stragi sarebbero micidiali, non le armi e gli esplosivi caricati sulle navi. In realtà
il CALP ha usato un’arma micidiale,
ossia lo sciopero. Questo ha fatto tremare gli armatori e i terminalisti”.
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