Burkina Faso. Human Rights Watch denuncia uccisioni extra-giudiziali a Djibo
Oltre
180 civili sarebbero stati assassinati dalle forze armate del Burkina Faso e
seppelliti poi in grandi fosse comuni nella città settentrionale di Djibo, 200
km circa a nord della capitale Ouagadougou, al centro di violenti scontri tra
l’esercito burkinabé e gruppi armati di matrice jihadista. E’ quanto denunciato
in un report dell’organizzazione non governativa statunitense Human Rights
Watch (Hrw); le vittime, tutte di sesso maschile, sarebbero morte tra il
novembre 2019 e il giugno 2020.
“Djibo
è stata trasformata in un campo di morte e le prove a nostra
disposizione suggeriscono il coinvolgimento delle forze di sicurezza nelle
esecuzioni di massa extragiudiziali”,
ha dichiarato Corinne Dufka, direttrice per il Sahel di Human Rights Watch.
“Gli abitanti della città ci hanno raccontato che molte vittime sono state
rinvenute con i volti bendati e le mani legate e con i evidenti di colpi d’arma
di fuoco alla testa, a fianco delle strade, sotto i ponti, nei campi e in
alcune abitazioni abbandonate”.
Sempre
secondo le testimonianze raccolte da Hrw, la maggior parte delle persone
trucidate apparterrebbe alle comunità nomadi dei Fulani o Peuhl. Alcune
erano sparite dopo essere state fermate nel corso delle operazioni
dell’esercito, altre erano sfollate insediatesi nell’area urbana di Djibo dopo
aver abbandonato i loro villaggi natii. Dato l’avanzato stato di
decomposizione, i residenti della città erano ricorsi al seppellimento dei
corpi in fosse comuni. L’8 e 9 marzo, in particolare, sono state sepolte 114
persone in 14 fosse comuni. A metà marzo, altre 20 persone sono state
seppellite in un terreno vicino al cimitero di Boguelsawa, un quartiere della
periferia sud di Djibo. Il 30 giugno scorso, sono state inumate 18 persone: i
corpi erano stati ritrovati a metà maggio nei pressi dell’aeroporto della città.
“Le
forze armate del Burkina Faso sono impegnate dal 2017 a combattere i gruppi di
militanti armati legati ad al Qaeda e allo Stato islamico e centinaia di civili
sono stati uccisi mentre sono almeno un milione gli sfollati dal conflitto che
coinvolge anche i paesi vicini come Niger e Mali”, scrive Hrw. “I
gruppi di auto-difesa filo-governativi, istituzionalizzati nel gennaio 2019 dal governo burkinabé,
sono accusati di numerose violazioni compreso l’assassinio di 49 uomini nel
2019 e di altri 43 nel marzo 2020. Gli omicidi perpetrati dalle
forze di sicurezza e dai gruppi sostenuti dal governo favoriscono il
reclutamento da parte dei gruppi armati islamisti. L’assenza di progressi
nelle inchieste su queste violazioni accresce lo stato di impunità e la crisi
generale. Per questo facciamo appello alle Nazioni Unite o ad
altri esperti forensi internazionali di fornire il loro aiuto nella raccolta e
nell’analisi dei resti rinvenuti nelle fosse comuni”.
Il 28 giugno 2020 Human
Rights Watch ha rivolto un analogo appello alle autorità politiche e militari
del Burkina Faso. Un’assai poco credibile risposta è giunta il 3 luglio per
bocca del ministro della Difesa, Moumina
Chériff. “Ci impegniamo a indagare sulla veridicità delle accuse ma assicuriamo
sul massimo rispetto dei diritti umani durante le operazioni di sicurezza”, ha
dichiarato Chériff. “Gli assassinii sono avvenuti nel corso del lieve aumento
degli attacchi da parte degli islamisti armati e potrebbero essere stati
commessi proprio da essi, dopo essersi appropriati di uniformi ed altro
equipaggiamento dell’esercito. E’ difficile per la popolazione distinguere tra
gruppi di terroristi armati e le forze di difesa e sicurezza”.
Human Right Watch aveva già denunciato
pubblicamente il sanguinoso conflitto in atto in Burkina Faso in occasione della 41^
sessione del Consiglio dei diritti umani della Nazioni Unite, tenutasi il 24
giugno 2019 a Ginevra. “Le esecuzioni illegali di civili da parte dei gruppi
armati islamisti, delle forze di sicurezza e delle milizie filo-governative
hanno provocato sfollamenti assai diffusi e hanno reso più profonde le tensioni
etniche e la mancanza di fiducia nello stato”, riferì l’Ong. “A partire del
2017 abbiamo documentato l’omicidio di 407 civili da parte dei gruppi
islamisti. Accusando le vittime di legami con il governo, l’Occidente e la fede
Cristiana, questi gruppi hanno attaccato chiese, moschee, caffè, convogli di
aiuti umanitari e scuole con inimmaginabile crudeltà. In risposta alla
crescente presenza dei gruppi islamisti armati, le stesse forze di sicurezza
hanno perpetrato omicidi illegali. Abbiamo documentato l’assassinio di oltre
500 persone, la maggior parte delle quali è stata trovata morta dopo essere
stata presa in custodia delle forze di scurezza. Nel 2019, un autorevole gruppo
locale di diritti umani ha rivelato altre 60 esecuzioni”.
Anche Amnesty International accusa i gruppi militari e
paramilitari vicini al governo per le sparizioni forzate e le efferate stragi
nel distretto di Djibo. Con un recente comunicato, l’Ong ha ricostruito quanto
accaduto il 9 aprile nella città del Sahel. “Trentuno residenti sono
stati arrestati in diversi quartieri e successivamente assassinati dal Groupement des Forces Anti-Terroristes (GFAT), gruppo d’élite delle forze
anti-terrorismo”, scrive Amnesty. “Dieci delle vittime erano sfollati che erano
stati ricollocati a Djibo. I corpi delle 31 vittime sono stati recuperati dai
familiari la sera stessa a sud-est di Kourfayel, un villaggio a 7 km da Djibo”.
Gli
unici a non accorgersi di quanto accade in Burkina Faso sono i politici
italiani di governo ed opposizione. Il 1° luglio 2019 l’allora ministra
della Difesa, Elisabetta Trenta (M5S) e l’omologo collega burkinabé
Moumina
Chériff hanno firmato a Roma un Accordo bilaterale relativo alla cooperazione nel
settore della difesa, la cui ratifica
parlamentare è attesa nelle prossime settimane. L’Italia si è impegnata a fornire
assistenza militare e logistica, nuovi sistemi d’arma e addestramento al
partner africano.
Inoltre,
entro la fine dell’anno, sarà avviata in Sahel la nuova missione multinazionale
“Takouba” a guida francese. Le forze armate italiane assicureranno all’operazione
alcuni elicotteri da trasporto e unità per l’addestramento delle forze armate di
Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger “al fine di contrastare il
fenomeno terroristico e le altre gravi minacce che minano la sicurezza
dell’intera area sub sahariana”.
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