Arriva in Sicilia l’Emergenza Migranti S.p.A.
Grandi affari all’orizzonte con l’emergenza migranti di Lampedusa. Dopo il blitz in Sicilia del presidente del consiglio Berlusconi e del ministro Maroni, dal cilindro del governo è uscita una proposta senza precedenti in Italia. Quella di trasformare l’ex “residence degli aranci” di Mineo (Catania) nel “villaggio della solidarietà” per rifugiati e immigrati. Non si tratta della solita caserma dell’esercito abbandonata ma di un complesso con 404 villette indipendenti, dotato di strutture commerciali, palestre, campi da tennis e football, un asilo nido, una sala per le funzioni religiose e 12 ettari di spazi verdi. Sino a qualche mese fa era uno dei tanti villaggi della piana di Catania destinati ai militari di stanza nella base USA di Sigonella. In futuro potrebbe diventare un “centro residenziale a 4 stelle” per stranieri, ma aldilà dei pronunciamenti, pare che le idee non siano del tutto chiare e concordi. Il governatore della Sicilia, Raffele Lombardo, si dice d’accordo con il ministero dell’Interno sulla “possibilità di ospitare temporaneamente gli immigrati giunti in questi giorni a Lampedusa”. Il 14 febbraio, alla fine della riunione del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza, Roberto Maroni conferma l’ipotesi di Lombardo, ma 24 ore dopo cambia la destinazione d’uso del villaggio. “L’idea del governo è quella di ospitare a Mineo tutti i richiedenti asilo, anche quelli oggi distribuiti nei centri di accoglienza di tutto il territorio nazionale”, dichiarerà il ministro dopo il sopralluogo nell’ex residenza dei militari di Sigonella. “L’idea di realizzare un villaggio della solidarietà è venuta al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. L’ex base NATO è in ottime condizioni, è dotata di strutture sanitarie, di pronto intervento, di una mensa. È inutilizzata e sarebbe sprecata come ricovero per i clandestini, ma sarebbe utile per i rifugiati in giro per l’Italia. Sono nuclei familiari, donne, bambini. Mineo potrà essere la sistemazione ottimale e diventare un modello di assistenza e solidarietà di grande efficienza, con il coinvolgimento di associazioni, della Croce rossa ed Enti locali”. Il “temporaneo” diventa permanente, i “clandestini” richiedenti asilo.
È la sociologa delle migrazioni Tania Poguish a stigmatizzare i valzer del Viminale in materia di accoglienza. “Non convince proprio il buonismo del governo che appoggiava i dittatori come Ben Alì e Mubarak e che ha costruito prima socialmente e poi tradotto in legge una serie di norme disumane per difendere l’Occidente dai clandestini criminali che giungevano dal mare”, afferma Poguish. “In un contesto socio-politico scandito da una retorica securitaria che si è espressa nella cosiddetta legge sulla sicurezza, appaiono incredibili le parole del ministro Maroni sui richiedenti asilo, chiamati fino a qualche giorno fa clandestini e con cui bisognava mostrare i denti ed essere cattivi. Come non ricordare il lungo elenco di tragedie e dolori, la politica violenta ed arrogante che da più di un anno non consentiva a nessuno di raggiungere le varie sponde del Sud Mediterraneo, perché l’Italia aveva inviato navi da pattugliamento in Libia, guidate dai militari libici, pronte a mettere in campo i famosi accordi con Tripoli?” “Quello stesso capo del Viminale – aggiunge la sociologa siciliana - sbandiera adesso l’intenzione di voler accogliere creando il villaggio della solidarietà in un angolo deserto della Sicilia. Un’area che si offre a diventare un nuovo ghetto recintato e che non riconoscerà dignità umana e desiderio di libertà a tutti coloro che non necessariamente sono i richiedenti asilo, che piuttosto sono quei giovani con alti titoli di studio e formazione scesi nelle piazze del Mediterraneo arabo con una profondità di coscienza politica che lo stesso civile ed avanzato Occidente ha perso”. Per Tania Poguish, la proposta di utilizzo del centro di Mineo “mortifica ancora una volta la generazione di giovani donne e uomini che hanno un loro diritto di fuga e che le politiche securitarie travestite da un obsoleto volto umano vogliono imbrigliare nelle maglie del bieco sfruttamento”.
È altrettanto forte il sospetto che nel villaggio di Mineo si voglia confinare i migranti lontano da occhi indiscreti, secondo le logiche governative di militarizzazione e rafforzamento dei dispositivi di sicurezza. “Il ministro Maroni si è guardato bene dal chiarire se si ha l’intenzione di utilizzare stabilmente l’ex complesso USA per accogliere profughi e/o i richiedenti asilo o come ennesimo centro di detenzione ed espulsione per migranti”, affermano i rappresentanti della Rete Antirazzista Catanese e della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella. “Dietro il proclama del villaggio della solidarietà non si capisce come i migranti tunisini possano essere realmente accolti, quando da anni, con i respingimenti in Libia, si continua a calpestare il diritto d’asilo (negato anche a Catania ai 68 migranti deportati in Egitto nell’ottobre scorso)”. In realtà, lasciando volutamente incerta la destinazione finale della struttura, per le organizzazioni antirazziste “c’è il rischio che essa diventi un non luogo polifunzionale, contestualmente centro di detenzione e centro per i richiedenti asilo, dove polizia ed esercito fanno la guardia anche a donne e bambini, ed in generale a persone in attesa che venga riconosciuto il loro status di rifugiati o la protezione internazionale”. Un non luogo inverosimilmente superaffollato: nei piani del governo si parla di “accogliere” a Mineo sino a 7.000 persone, quando la capacità recettiva del “residence degli aranci” è di massimo 2.000.
La proposta di Berlusconi e Maroni ha avuto intanto il pregio di dividere le forze politiche siciliane della sinistra. Mentre i circoli del Prc di Caltagirone e Mineo si dicono “favorevoli all’apertura di un centro di accoglienza non militarizzato” purché ne sia dichiarata “la natura civile, democratica, aperta all’ingresso e al controllo del mondo dell’informazione, del volontariato, dell’associazionismo che opera a sostegno dei diritti dei migranti”, Sinistra Ecologia e Libertà ritiene che la decisione di utilizzare il residence sia una “scelta scellerata che testimonia ancora una volta l’incapacità del governo Berlusconi di intervenire sulle grandi questioni che investono il paese”. “Questa decisione folle, con il silenzio complice del Governo Lombardo – aggiunge SEL Sicilia - è l’ennesimo regalo agli appetiti xenofobi e razzisti della Lega che pensa di nascondere il problema, impedendo a migliaia di migranti di varcare lo Stretto, concentrando tutto in un solo territorio”. Sulla stessa lunghezza d’onda il sindaco di Caltagirone, Francesco Pignataro (centro-sinistra). “Il problema dell’immigrazione non è della Sicilia, ma dell’Italia e dell’Europa, altrimenti diventa un problema difficilmente gestibile se non con interventi di ordine pubblico”, dichiara Pignataro. “Il potenziale arrivo di migliaia di migranti a Mineo è una bomba a orologeria che rischia di essere un esempio di ulteriore marginalizzazione e un attentato alla dignità delle persone. Di fronte all’emergenza Lampedusa, il Comune di Caltagirore è stato tra i primi a dichiararsi disponibile. Stiamo costruendo col Viminale un centro di accoglienza per 88 minorenni immigrati, un progetto è in corso per accogliere decine di rifugiati politici. L’accoglienza funziona se è diffusa, non se si concentrano immigrati in una zona avulsa dal contesto territoriale”. Contrario pure il sindaco Pd di Mineo, Giuseppe Castania. Per quest’ultimo, però, la preoccupazione maggiore va alla “sicurezza nelle campagne” e al rischio furto ad abitazioni e centri agrituristici. Anche qui nessuno è immune dal falso sillogismo migrazione - clandestinità – criminalità.
Il colpo più riuscito a Berlusconi e Maroni è però quello di aver imposto l’idea-immagine che il “villaggio della solidarietà” di Mineo sorgerà nelle “case di proprietà degli Stati Uniti” o nell’“ex base USA e NATO”, secondo quanto riportato dai maggiori organi di stampa nazionali e locali. Eppure il residence non è assolutamente di proprietà delle forze armate italiane o statunitensi, ma bensì di una grande impresa di Parma, la Pizzarotti S.p .A., che lo ha affittato per dieci anni, dietro canoni milionari, al Dipartimento della Marina Militare USA. Quando il 26 gennaio 2010 Washington ha deciso di revocare il contratto, la Pizzarotti si è lanciata nella ricerca di nuovi possibili locatari del villaggio. Inizialmente si è provata la carta del “sociale”, proponendo l’utilizzo di “alcuni spazi per le ex detenute”, la riconversione “a luoghi di detenzione alternativi al carcere per le detenute madri”, a “centro accoglienza per immigrati e tossicodipendenti”, finanche a polo di ricerca dell’Università di Catania. Poi si è tentato il business immobiliare proponendo alla Regione Siciliana e ai comuni del comprensorio un progetto di “nucleo sociale polifunzionale”, mettendo cioè a disposizione “case in affitto a canone agevolato nonché spazi per le attività sociali di enti pubblici e cooperative”. I tentativi non devono però essere andati a buon fine e un paio di mesi fa la società ha lanciato una campagna pubblicitaria con tanto di cartelloni in lingua inglese invitando le famiglie dei militari USA a non abbandonare Mineo. “A sbloccare l’empasse ci pensa adesso la nuova emergenza sbarchi”, commentano i rappresentanti della Rete Antirazzista e della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella. “Ancora una volta le “emergenze” umanitarie servono a favorire gli interessi dei privati. Come mai non si è pensato di utilizzare in Sicilia altre infrastrutture di proprietà pubblica, a partire ad esempio dalle centinaia di villette che gli statunitensi realizzarono a Comiso alla vigilia dell’installazione dei missili nucleari Cruise e che dopo il ritiro dei contingenti USA sono state abbandonate alla mercè di vandali e occupanti abusivi?”
Dopo i flop di Mineo e Quinto Vicentino, il 19 gennaio 2011 i manager di Pizzarotti hanno affidato i loro affari con il Pentagono nel settore del Military Housing ad uno dei principali gruppi-lobby di Washington, la Fabiani & Co.. Fondato nel 2002, Fabiani & Co. ha come obiettivo primario quello di “fornire a un gruppo ristretto di clienti strategie innovative e creative per rappresentarli concretamente di fronte al Governo federale degli Stati Uniti d’America, creando in particolare partnership per programmi con i Dipartimenti della difesa, degli Affari dei veterani e della Sicurezza interna, nel campo dei servizi e delle tecnologie avanzate che rispondono alle necessità belliche del 21° secolo e alle priorità della difesa nazionale”, come riportato nella brochure della lobby-compagnia. “I nostri clienti hanno fornito al governo USA tecnologie nel settore d’intelligence e sistemi d’arma in Afghanistan, Alaska, California e Florida, ottenendo contratti per più di sei miliardi di dollari”. I profili e le biografie dei membri dello staff della Fabiani & Co. consentono di comprenderne la portata persuasive su segretari, sottosegretari e congressisti USA. Il suo fondatore è Jim Fabiani, già direttore repubblicano del sottocomitato per il bilancio della Camera dei Rappresentanti ed ex governatore USO, l’organizzazione del Dipartimento della difesa che sostiene i familiari del personale militare. Importanti soci-manager di Fabiani sono pure Stephen R. Conafay (già vicepresidente di due colossi farmaceutici, “Pfizer” e “Glaxo Inc.” ed ex marine pluridecorato per la guerra in Vietnam) e i tre lobbisti chiamati a rappresentare Pizzarotti S.p.A., Bradford Foley, Bruce Navarro e Jeffrey Wiener. Foley, in particolare, vanta un’esperienza di tre lustri con il Pentagono: ex pilota dell’U.S. Air Force Special Operations Command (AFSOC) con “114 missioni di combattimento in Afghanistan ed Iraq”, è stato poi il responsabile del Pentagono nel campo dell’intelligence e dell’anti-terrorismo. Bruce Navarro, già consulente dei presidenti Ronald Reagan e George H.W. Bush, è stato rappresentante di numerose società produttrici o fornitrici di applicazioni militari nell’“area delle nanotecnologie, dell’intelligenza artificiale e dei sensori”. Jeffrey Wiener vanta invece una lunga esperienza come consulente dei senatori del partito democratico all’interno del Comitato per le forze armate, lavorando per “far crescere il budget riservato alla costruzione di navi da guerra e all’acquisto di sistemi d’arma destinati ai Comandi operativi speciali, alla Guardia nazionale e alle forze della riserva”. A Roma come a Washington, di meglio la Pizzarotti non poteva certo trovare.
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