Gli artigli di Africom nelle guerre del Congo

Lo spettro del Comando per le operazioni USA in Africa, Africom, si aggira nel sanguinoso teatro di guerra della Repubblica Democratica del Congo. Un lungo articolo apparso il 6 febbraio sul New York Times, ha rivelato che l’offensiva scatenata a metà dicembre nel nord del paese dalle forze armate ugandesi contro i ribelli dell’Esercito di Resistenza del Signore (ERS), è stata pianificata e finanziata dal Comando Africom di Stoccarda (Germania). L’intervento contro le basi realizzate all’interno del parco nazionale di Garamba, sarebbe stato del tutto fallimentare: le milizie, uscite illese dai bombardamenti, si sarebbero poi vendicate contro la popolazione civile, massacrando più di 900 persone, in buona parte donne e bambini.

Stando al New York Times, la richiesta di appoggio al blitz contro le bande controllate da Joseph Kony, è stata fatta nell’autunno 2008 dal governo dell’Uganda all’ambasciata USA di Kampala. Il mese successivo sarebbe giunta l’autorizzazione personale del presidente George W. Bush. Diciassette consiglieri ed analisti militari sono stati così inviati in Uganda dal Comando di Africom “per lavorare a stretto contatto con gli ufficiali locali, fornendo un milione di dollari di rifornimenti, intelligence e riprese satellitari” sui luoghi in cui si nascondevano i miliziani dell’ERS. I consiglieri statunitensi avrebbero pure contribuito a pianificare le operazioni di bombardamento degli accampamenti in Congo, e il contemporaneo intervento via terra di oltre 6.000 militari delle forze armate di Uganda e Repubblica Democratica del Congo.
 
Secondo quanto dichiarato al New York Times da un anonimo ufficiale USA, il 13 dicembre, giorno prima dell’attacco, alcuni militari statunitensi si sarebbero trasferiti in un sito protetto al confine tra Uganda e Congo per un “meeting finale di coordinamento” con il comando delle forze armate ugandesi, “senza tuttavia partecipare direttamente alle operazioni di combattimento”. “Una densa nebbia ritardò l’attacco di alcune ore, e si perse l’effetto sorpresa”, ha aggiunto l’ufficiale. “Quando gli elicotteri ugandesi bombardarono il rifugio di Mr. Kony, questo era vuoto. Le forze terrestri penetrarono diverse miglia nella foresta, ma arrivarono parecchi giorni e trovarono solo un paio di telefoni satellitari e alcuni fucili”.
 
Il governo di Kampala ha tuttavia presentato l’offensiva di dicembre come un grande successo, attribuendosi la distruzione del centro di controllo e dei magazzini dell’ERS, la morte di parecchi ribelli e finanche il riscatto di un centinaio di bambini soldato. Una versione che oggi si scopre del tutto falsa ma soprattutto omissiva delle gravissime negligenze delle truppe ugandesi e congolesi, che avrebbero così abbandonato la popolazione ad una feroce rappresaglia degli uomini di Joseph Kony. “I militari hanno fatto assai poco per proteggere i villaggi vicini”, hanno denunciato i rappresentanti di alcune organizzazioni non governative congolesi. “Le truppe hanno fallito nell’isolare le vie di fuga e non hanno inviato soldati in molte cittadine vicine dove i ribelli massacravano gli abitanti. Intanto i leader ribelli sono fuggiti mentre i loro combattenti, divisisi in piccoli gruppi, hanno continuato a saccheggiare villaggio dopo villaggio nel nord-est del Congo, facendo a pezzi, bruciando e bastonando a morte chiunque incontrassero”. Testimoni oculari raccontano che i miliziani hanno sequestrato centinaia di bambini. Nell’area compresa tra le città di Doruma, Tomati e Faradje sono stati denunciati casi di stupri su bambine di 10 anni d’età e l’incendio di centinaia di abitazioni. Stime ufficiali parlano di oltre 900 vittime.
 
Mostrando un certo cinismo, gli ufficiali statunitensi intervistati dal New York Times, hanno ammesso che l’operazione militare è stata “poco pianificata e poveramente realizzata”. “Noi avevamo detto ai nostri partner di prendere in considerazione una serie di suggerimenti ed alternative – hanno aggiunto - ma le loro scelte erano le loro scelte. Alla fine, questa non era una nostra operazione”. Una dichiarazione di auto-assoluzione analoga a quella utilizzata dal Comando di MONUC, la missione delle Nazioni Unite in Congo, anch’essa incapace di difendere la popolazione dai massacri degli uomini al soldo di Joseph Kony. Solo che nel caso di MONUC, la condivisione dell’operazione non è stata rinnegata.

Il 15 ottobre 2008, quando le forze terrestri dell’Uganda si stavano concentrando alla frontiera con il Congo, il capo della missione internazionale di paecekeeping, colonnello Jean-Paul Dietrich, aveva pubblicamente offerto il “supporto logistico” della missione ONU per “questa operazione di contenimento dei ribelli dell’ERS”.
I militari USA sono presenti in Uganda da più di un decennio, contribuendo all’addestramento, alla fornitura di armamenti e all’equipaggiamento pesante delle forze armate nazionali. Nel 1996, uno squadrone VP-16 dell’US Navy di stanza a Sigonella aveva dislocato a Kampala i suoi aerei di riconoscimento P3C-Orion per raccogliere e smistare informazioni al Tactical Support Center della base siciliana, relative ai “profughi e ai rifugiati presenti al confine con lo Zaire”, come al tempo si chiamava la Repubblica Democratica del Congo. Qualche anno più tardi fu inviato in Uganda anche un contingente della 35^ Brigata di Artiglieria Aerea USA che operava presso la base di Suwon, Corea del Sud.
 
Dopo l’11 settembre 2001, le forze armate ugandesi hanno partecipato a numerose esercitazioni “anti-terrorismo” in Corno d’Africa e nella regione dei Grandi Laghi, sotto il comando della Combined Joint Task Force-Horn of Africa, la task force che gli Stati Uniti hanno attivato presso la base di Camp Lemonier, Gibuti. A partire dal gennaio 2007, alcuni reparti d’elite si sono insediati nella regione settentrionale dell’Uganda, operando congiuntamente con i militari locali contro l’Esercito di Resistenza del Signore. È stata accertata la presenza di uomini dell’US Army Corps of Engineers e dell’US Air Force di stanza a Ramstein, Germania ed Aviano, Pordenone.
 
Il 9 aprile 2008, il generale William “Kip” Ward, comandante in capo di Africom, giungeva all’aeroporto di Entebbe, una delle maggiori basi operative USA in Africa, per una visita di tre giorni ai reparti militari dislocati in Uganda. Il 10 aprile, Ward si trasferiva nel distretto settentrionale di Gulu per incontrare il personale militare della Combined Joint Task Force-Horn of Africa in un accampamento utilizzato anche dal personale dell’Agenzia per lo Sviluppo statunitense USAID. Il giorno successivo il Comandante di Africom partecipava ad un incontro con 200 cadetti del college ugandese di Jinja. Tra gli istruttori di questo istituto di formazione alla guerra, alcuni ufficiali della task force che gli USA hanno installato a Gibuti e i professori del Naval War College (NWC) di Newport, Rhode Island.

Articolo pubblicato in Agoravox.it il 10 febbraio 2010

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