Strage di Uvalde (Texas). Bambini, vi chiediamo perdono

 


Uvalde, Texas, Stati Uniti d’America, un giorno di metà settembre 2022. Mi piacerebbe immaginarvi tutti in classe, emozionati ma sorridenti, il primo giorno di scuola, in prima media, sì, perché ho visto che avete dieci anni e da noi, dopo le vacanze estive, a questa età si cambia ciclo di studi. Con voi, solo per oggi, ci sono le due maestre che vi hanno accompagnato alle elementari, Eva e Irma, un lungo abbraccio collettivo e poi in cerchio, mano nella mano, per presentarci, uno alla volta. Alexandria, Alithia, Amerie, Annabell, Eliahana, Eliana, Jackie, Jailah, Jayce, José, Layla, Makenna, Maite, Miranda, Nevaeh, Rojelio, Tess Marie, Uziyah, Xavier.

So già che timidamente una di voi alzerà il braccio e chiederà Perché? Perché ci avete impedito di crescere, andare in discoteca a ballare, innamorarci, fare il medico, il calciatore o la pilota, essere papà e mamma e sognare un paese più giusto e migliore? E Salvador, quel ragazzo del liceo accanto che ci urlava “state per morire”, è davvero pazzo e cattivo? E voi maestri, perché non eravate con il fucile a proteggerci?

Che parole posso utilizzare di fronte ad una tragedia così ingiusta, così immorale, la tragedia di un popolo intero che si alimenta e vive di guerre, in guerra e per la guerra? E come faccio a spiegarvi, miei cari, che di armi in questo maledetto paese ce ne sono già tante, troppe e che al supermarket a sedici anni è più facile acquistare un mitra che una birra? Dopo avervi negato il diritto di godere della luce del sole e di sentire i mille profumi di questa primavera, i sono fatti mille discorsi e politici, sociologici e psichiatri hanno fatto a gara per trovare il colpevole e una ragione. Quello che vi impedisce di essere qui, oggi, con me, con i vostri piccoli corpi, ha un nome e cognome, lo chiamiamo complesso militare-industriale e determina le scelte di politica interna, economica ed estera della nostra sempre più fragile democrazia armata. Mi chiedete di indossare da prof, casco e giubbotto antiproiettile, e di girare per le classi con la fondina alla cintura. No, miei cari. Non sono d’accordo, davvero.

Negli Stati Uniti vivono 329 milioni di persone ma ci sono 393 milioni di armi da fuoco, cioè ne abbiamo più di una a testa, neonati compresi. Un affare per svariati miliardi di dollari ma che ha trasformato le nostre scuole in poligoni e campi di morte. C’è un istituto di ricerca che ogni anno fa il conto delle stragi causate dalle armi nelle nostre città. Si chiama Gun Violence Archive e nei primi cinque mesi del 2022 ha già documentato 212 sparatorie di massa, cioè quelle con almeno quattro morti per volta. Erano state 693 nel 2021. E sapete pure una cosa? Che tantissime sono le vittime di età inferiore ai 18 anni, cioè adolescenti e bambini proprio come voi, più di 1.500 lo scorso anno e 1.380 nel 2020. E sappiamo pure che la percentuale dei morti per armi da fuoco tra i bambini è aumentata di circa il 50% tra il 2019 e il 2020. Le nostre scuole sono ormai veri e propri target strategici della guerra globale planetaria, così come in Ucraina, Siria, Afghanistan, Palestina, Yemen e Kurdistan. Il dramma che avete vissuto voi tutti e diciannove con le vostre due giovani maestre è la 27^ sparatoria in un edificio scolastico dall’inizio dell’anno, la 119^ dal 2018. No, io la penso così: i principali responsabili di tutto questo orrore sono la potente lobby delle armi (a partire della National Rifle Association), ma soprattutto l’intera classe politica che si è opposta ad ogni legge che impedisca o perlomeno limiti la “libertà” di compravendita di strumenti di morte. E ciononostante gli Stati Uniti d’America rischiano di diventare un paese-modello, in negativo, per tante altre fragile democrazie occidentali. Sparatorie a scuola con innocenti vittime si verificano in diversi paesi europei e, in nome della sicurezza e dell’autodifesa si moltiplicano ovunque le campagne per rendere sempre più “libero” il mercato delle armi. In Italia è fortissimo il pressing delle industrie di armi “leggere” su forze politiche e parlamentari; del resto sono “italiani” molti dei fucili e delle pistole impiegati per le stragi negli USA e in America latina.

Il ricercatore Giorgio Beretta dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal) è il più autorevole esperto in materia e da decenni si batte contro la proliferazione delle licenze per il possesso e l’uso di armi. “Il fucile semiautomatico AR-15 utilizzato per la strage nella Robb Elementary School di Uvalde e nella maggior parte delle stragi americane è stato pensato per il mercato civile, ma deriva dal fucile d’assalto di tipo militare M16”, spiega Beretta. “Gli AR-15 sono venduti anche nel nostro Paese dove sono annoverati come armi per il tiro sportivo, ma possono acquistarli non solo coloro che effettivamente praticano questa disciplina, bensì chiunque sia in possesso di una licenza di tiro al volo, per la caccia o di un semplice nulla osta per detenere armi”.

Giorgio Beretta ha rilevato l’assoluta “incongruenza” dei dati relativi al numero delle licenze per tiro sportivo esistenti (più di 550.000) e degli iscritti effettivi alla federazione “sportiva” di categoria (circa 100.000). Anche aggiungendo le licenze dei poligoni privati si arriva a 200.000 persone. “Abbiamo quindi 350.000 persone che hanno la licenza ma che non praticano alcuna disciplina sportiva: la chiedono e la ottengono, solo per poter avere armi in casa”, aggiunge il ricercatore. Le armi circolanti in Italia, secondo una stima Opal, sarebbero tra gli 8 e i 10 milioni. Non è ancora il Far West USA ma siamo purtroppo sulla cattiva strada. Per le leggi italiane una persona può avere in casa fino a tre pistole con caricatori fino a venti colpi, dodici fucili semiautomatici (tipo AR-15) con un numero illimitato di caricatori con capacità fino a dieci colpi e di fucili da caccia”, spiega Giorgio Beretta. “Inoltre si possono detenere 200 munizioni per armi da difesa o sportive e 1.500 cartucce da caccia o cinque chili di polvere da sparo. Dobbiamo tutto ciò soprattutto a una legge emanata nel 2018 da Lega e Movimento 5 Stelle, che con la scusa della difesa personale hanno raddoppiato da sei a dodici il numero di armi sportive detenibili ed anche la capacità dei caricatori, da cinque a dieci colpi”.

Mi chiedevate di Salvador Ramos, il “folle mostro”, facile target del tiro al bersaglio mediatico, utile soprattutto a farci sentire, tutti, sconcertati ma non responsabili. No, care ragazze e cari ragazzi. Perlomeno questa scuola e noi insegnanti non possiamo partecipare alla cerimonia di auto-assoluzione collettiva. Perché non abbiamo avuto la capacità o forse non l’abbiamo cercata di comprendere fino in fondo quanto dolore, quanta rabbia, quanta solitudine, quanta rassegnazione, quanta cieca sottomissione ai modelli dominanti del dio guerriero-giustiziere si nascondessero nel cuore e nella mente di Salvador. Quante volte ci siamo accorti invece di come fosse deriso, evitato, stigmatizzato dai suoi compagni e magari ci siamo voltati dall’altra parte o abbiamo condiviso scherni e bullizzazioni? Ma soprattutto, mi chiedo, cosa abbiamo fatto perché l’istituzione scolastica non fosse permeabile alle narrazioni che esaltano la guerra come mezzo di risoluzione di crisi e conflitti e legittimano i rapporti di forza e violenza tra le persone, i gruppi e gli stati?

Il 25 maggio sul Corriere della Sera, Guido Olimpio ci descrive molti aspetti biografici e psicologici del diciottenne autore della strage. “Salvador Ramos ha mostrato comportamenti che forse rappresentavano il tentativo di indicare i demoni che lo agitavano. Scelta non rara, messaggi indiretti non sempre facili da cogliere”, scrive il giornalista. Poi un passaggio su cui dovrebbero riflettere tanti adulti, genitori ed insegnanti: “Di lui non hanno un buon ricordo: indisponente, aggressivo, poco rispettoso verso le ragazze. E poi — di nuovo una costante — la passione per le armi. Una volta aveva espresso il desiderio di arruolarsi nei Marines così avrebbe potuto uccidere. Una frase emersa in altri gesti di sparatori: vogliono imparare a maneggiare fucili e pistole”.

“È un aspetto, quello della preparazione, ormai ricorrente nel profilo degli assassini”, conclude Olimpio. “Le bocche da fuoco sono lo strumento per eseguire la loro vendetta, per portare avanti la rivoluzione, come dicevano i due di Columbine o Elliot Rodger, il misogino estremista autore della strage di Santa Barbara. Chi attacca si veste da militare o in nero, indossa corpetti tattici o giubbetti anti-proiettile, l’abbigliamento adatto ad un’uscita di scena sanguinosa”.

Vi chiediamo perdono bambine e bambini del mondo intero. Perché non siamo riusciti a costruirvi e donarvi un mondo di giochi di pace.

 

Articolo pubblicato in Adista Segni Nuovi, n. 21 dell’11 giugno 2022

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