L’Italia e il Niger. A scuola di guerra…

Quando la Cooperazione si veste di mimetica. L’Italia collabora con le attività di formazione militare nei paesi del G5 in Sahel.

Il sistema Italia prova a conquistarsi un posto al sole nell’Africa sub-sahariana. L’8 ottobre scorso, il Comando Operativo Interforze della Difesa ha firmato a Niamey una convenzione quadro con il Segretariato Permanente del “G5 Sahel”, l’organizzazione che dal 2014 vede gli Stati africani di Mauritania, Niger, Burkina Faso, Mali e Ciad cooperare congiuntamente in ambito strategico-militare nella regione del Sahel.
Grazie al nuovo accordo, l’Italia sosterrà le attività formative promosse dal “Collège de Défense du G5 Sahel”, la scuola di guerra con sede in Mauritania che ha il compito di formare i quadri militari delle forze armate saheliane. Primo step della partnership l’assegnazione al College di due ufficiali-docenti inquadrati nella MISIN, la Missione Bilaterale di Supporto in Niger che ha preso il via il 15 settembre 2018 e che, nelle dichiarazioni del Ministero della difesa, è “finalizzata a supportare l’apparato militare nigerino, concorrere alle attività di sorveglianza delle frontiere e rafforzare le capacità di controllo del territorio dei Paesi del G5 Sahel”.
Alla missione in terra africana sono assegnati attualmente 470 militari, 130 mezzi terrestri e due aerei. MISIN opera in stretto collegamento operativo e strategico con le unità da guerra degli Stati Uniti d’America dislocate in Niger e poste sotto il controllo di US Africom, il comando per le operazioni USA nel continente africano. I team addestrativi MISIN, costituiti con personale specializzato proveniente dall’Arma dei Carabinieri, Esercito, Aeronautica militare e Reparti Speciali Interforze, hanno già addestrato circa 1.800 militari delle forze di sicurezza del Niger. Articolati e complessi i war games italo-nigerini: si va dagli interventi di pronto intervento “anti-terrorismo” ai veri e propri combattimenti aerei e terrestri in aree desertiche, sino alle operazioni di “polizia” nei centri urbani, al “controllo delle folle” e alle modalità di contrasto-repressione manu militari delle proteste di massa anti-governative.
Notevole l’impegno italiano anche sul fronte della “formazione” delle unità nigerine nel primo soccorso durante i combattimenti. Un comunicato emesso il 21 ottobre dal ministero della Difesa riferisce che gli ufficiali medici di MISIN, con l’ausilio del personale del Policlinico Militare “Celio” di Roma, hanno già effettuato centinaia di ore di corsi a favore delle forze di difesa e sicurezza della Repubblica del Niger sulle tecniche di intervento sanitario sul campo di battaglia per “far acquisire le abilità per gestire emorragie massive, ostruzioni delle vie aeree e pneumotorace iperteso, responsabili della maggior parte delle morti evitabili”. Aldilà della discutibile conversione a fini bellici della medicina e della chirurgia, il programma “formativo” conferma come la missione italiana in Niger sia tutt’altro che un’operazione di peacekeeping e che, proprio per questo, sarebbe stato necessario da parte del Parlamento e delle forze politiche e sociali un approfondito dibattito sui reali fini e pericoli del coinvolgimento italiano nello scenario geostrategico dell’Africa sub-sahariana.
Così come ormai standardizzato dai manuali di guerra NATO, la missione internazionale in Niger mescola insieme addestramenti bellici e interventi “umanitari” a favore della popolazione. Gli aiuti e i progetti pro-civili hanno assunto tuttavia contorni sempre più ambigui e contraddittori. “Con la Missione in Niger sono stati raggiunti considerevoli risultati nel campo della Sanità civile e militare attraverso la donazione di oltre 70 tonnellate tra farmaci e presidi medici”, ha spiegato un mese fa lo Stato maggiore della Difesa. A ciò si aggiungono la consegna al governo nigerino di attrezzature mediche e sanitarie per il valore di 167 mila euro e la decina di voli umanitari effettuati dall’Italia a partire del 24 aprile 2018 per trasportare medicinali e apparecchiature “resi disponibili grazie alla collaborazione tra il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, le Nazioni Unite ed altre agenzie intergovernative”.
Il 27 marzo 2019 l’Ambasciata d’Italia a Niamey e la Missione Bilaterale in Niger hanno consegnato un lotto di farmaci  raccolti dalla Fondazione Banco Farmaceutico Onlus nell’ambito di un accordo di collaborazione con il Comando Operativo di vertice Interforze (COI) e l’Ordinariato Militare, “finalizzato allo sviluppo di attività di supporto umanitario-sanitario a favore di persone in condizioni di svantaggio socio-economico nei Teatri Operativi”. Chi siano i reali beneficiari del dono lo rivelano le stesse forze armate: “i medicinali sono stati consegnati presso l’aeroporto militare di Niamey ai rappresentanti dei Ministeri della Salute Pubblica e della Difesa nigerini…”.
Ancora più evidenti le finalità militari della “donazione” effettuata a Niamey il 15 ottobre 2019: nello specifico, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione, il IV Reparto dello Stato maggiore della Difesa e il contingente MISIN hanno consegnato alle forze armate del Niger tredici mezzi militari, dieci ambulanze e tre autobotti. Inoltre è stata avviata la “formazione del personale nigerino all’uso e alla tenuta in efficienza dei mezzi (…) che si inserisce nell’ambito di una serie di iniziative di cooperazione tra l’Italia ed il Paese africano in più settori d’intervento al fine di fornire un contributo concreto alla risoluzione di particolari criticità nel campo della Difesa, costituendo una chiara dimostrazione di come le missioni svolte dalle nostre Forze Armate all’estero si caratterizzino sempre più marcatamente come interministeriali e interagenzia, nonché come espressione dell’impegno dell’intero sistema Paese”.
Il crescente impegno italiano nel Sahel è stato più volte giustificato dalle autorità di governo in chiave anti-migrazione illegale. Nel corso della sua visita in Niger a fine aprile 2019, la viceministra degli esteri Emanuela Del Re ha incontrato il Presidente Issoufou, il Primo Ministro Rafini e le massime autorità politiche e militari del Paese per “approfondire il partenariato bilaterale in tutti i settori, compresi quello della sicurezza, della gestione dei flussi migratori e della cooperazione allo sviluppo”, come ha spiegato la stessa Del Re. Simbolicamente la rappresentante della Farnesina ha “consegnato beni di primo soccorso e aiuti umanitari per la popolazione coinvolta nei recenti scontri a Diffa, nel sud del paese” e ha concluso il suo tour in Niger ad Agadez, “città di traffico fondamentale dei flussi migratori diretti a nord del Niger, dove è stata ricevuta dalle autorità locali e dalla missione europea EUCAP – Sahel, che sostiene i nigerini nel contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata”. Ad Agadez Emanuela Del Re ha avuto modo di visitare i centri di accoglienza realizzati dal Commissariato ONU per i rifugiati (UNHCR) e dall’Organizzazione Internazionale della Migrazioni (OIM) con finanziamenti del Ministero Affari Esteri e del cosiddetto Fondo Africa. Ulteriori risorse finanziarie (tre milioni di euro circa) sono state impegnate per il 2019 a favore di OIM “per migliorare la gestione dei flussi migratori e il contrasto al traffico di esseri umani ai confini del Niger con la Nigeria e con l’Algeria, tramite la fornitura di equipaggiamenti e del sistema informatico di gestione dei confini”. Persino la stessa donazione di ambulanze e autobotti alle forze armate nigerine del 15 ottobre scorso è stata presentata ufficialmente dal governo italiano come un’occasione “per rafforzare le capacità delle autorità nel soccorso dei migranti e nel contrasto al traffico di esseri umani”. Anche in questo caso le spese per l’acquisizione e il trasporto dei mezzi sono state coperte con le risorse del Fondo Africa del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
A spiegare come proprio la guerra ai migranti e alle migrazioni sia uno degli obiettivi prioritari della Missione militare italiana in Niger era stata proprio l’(ex) ministra della Difesa, Elisabetta Trenta. “Lo scopo di MISIN è quello di incrementare le capacità volte al contrasto del fenomeno dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza, nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo e statunitense per la stabilizzazione dell’area del Sahel”, aveva dichiarato la pentastellata in occasione della sua visita ufficiale a Niamey nel febbraio 2019. “Quella in Niger è una missione importantissima per l’Italia poiché, nel sostenere le richieste del Governo nigerino, punta anche a frenare e ridurre il flusso incontrollato dei migranti verso il nostro Paese. Una missione perfettamente in linea con l’interesse nazionale perché in questa fase è fondamentale il supporto al Niger nella lotta al terrorismo e ai traffici illeciti”. Per le politiche di contrasto all’emigrazione clandestina e di protezione delle frontiere. l’Unione europea ha stanziato a favore del Niger 190 milioni di euro, una cinquantina dei quali provengono dai fondi autorizzati nel maggio 2018 dal Ministero degli Affari esteri. “In questo modo il governo nigerino potrà istituire unità speciali di controllo delle frontiere, costruire e ristrutturare posti di frontiera e realizzare un nuovo centro di accoglienza per i migranti”, ha spiegato la Farnesina. L’aiuto anti-migranti è stato diviso in tranche e condizionato alla “diminuzione dei flussi migratori verso la Libia e un aumento rimpatri dal Niger verso i Paesi di origine”.
Se guerra globale al terrorismo e alle migrazioni è il leit motiv di tutte le dichiarazioni ufficiali del Governo, è un dato di fatto che la penetrazione militare-civile italiana nel Sahel risponde agli interessi delle grandi aziende a capitale pubblico e privato impegnate nella ricerca-sfruttamento degli idrocarburi e dei minerali strategici. Tra gli ultimi paesi al mondo nella classifica dell’Indice di sviluppo umano (nel continente nero solo il Centrafrica vanta una performance peggiore), il Niger possiede un immenso patrimonio di risorse naturali e materie prime: oro, diamanti, petrolio, gas naturale ma soprattutto uranio, minerale fondamentale nella produzione di testate atomiche ed energia nucleare (il Niger è il terzo produttore al mondo di uranio dopo Canada e Australia, ma la sua estrazione è molto meno costosa e dunque più remunerativa di quanto accade nei due paesi concorrenti). Per l’accaparramento di uranio, gas e idrocarburi è in atto in Niger una dura competizione politico-militare-economica tra le superpotenze mondiali (Stati Uniti, Cina, india, ecc.) e i paesi leader dell’Unione europea: innanzitutto la Francia che importa dal Niger buona parte dell’uranio utilizzato per alimentare le sue numerosissime centrali nucleari e, da qualche tempo, anche la Germania. L’ENI e le aziende partner non intendono replicare la figuraccia fatta in Libia a partire del 2011: ecco allora che in nome del Sistema paese, sempre più militari e fondi allo sviluppo vengono destinati dall’Italia agli autoritari governi dei poverissimi paesi del Sahel e dell’Africa occidentale.

Articolo pubblicato in Mosaico di pace, n. 11. dicembre 2019

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