Trident Juncture 2015. Il più grande spettacolo dopo il big bang…


La Sicilia laboratorio sperimentale della NATO. L’aeroporto di Trapani Birgi trampolino di lancio delle forze NATO del Terzo Millennio, per un’alleanza militare sempre più aggressiva, flessibile e globale. Tra lo Stretto di Gibilterra e il Mediterraneo centrale e i grandi poligoni di guerra di Spagna, Portogallo e Italia 30.000 militari, 200 velivoli e 50 unità navali di 33 nazioni per la più grande esercitazione NATO dalla fine della guerra fredda. Ospiti d’eccezione, i manager delle industrie militari di 15 Paesi. Molto interessati. I frequenti decolli e atterraggi comportano rischi elevatissimi per il traffico passeggeri di Birgi e per le migliaia di abitanti delle città di Trapani e Marsala e delle Isole Egadi? Poco interessa!  

“La prevista esercitazione internazionale Trident Juncture 2015, inizialmente pianificata per il prossimo autunno e che avrebbe portato oltre 80 velivoli e circa 5.000 militari di varie nazionalità a operare sull’aeroporto sardo di Decimomannu e a permanere nei territori circostanti per quattro settimane, è stata da tempo riprogrammata sull’aeroporto di Trapani”. L’annuncio, ai primi di giugno, è dell’ufficio stampa dello Stato maggiore dell’Aeronautica militare italiana. Trident Juncture 2015, la “più grande esercitazione NATO dalla fine della guerra fredda”, come è stata definita dal Comando generale dell’Alleanza Atlantica, avrà come centro nodale lo scalo aereo siciliano: dal 28 settembre al 6 novembre, cacciabombardieri, grandi velivoli da trasporto e aerei spia decolleranno dalle piste di Birgi per simulare attacchi contro unità navali, sottomarini e target terrestri e testare i nuovi sistemi di distruzione di massa. Al ministero della Difesa, a Roma, si smentisce che il trasferimento dei war games in Sicilia sia stato determinato dalle azioni di lotta dei comitati locali sardi che si oppongono all’asfissiante processo di militarizzazione della Sardegna. Eppure, in un primo momento, una nota del comando militare aveva riportato testualmente che nell’Isola “erano venute a mancare le condizioni per operare con la serenità necessaria per un’attività di tale portata e complessità, che coinvolgerà tutte le aeronautiche dei Paesi NATO”. Poi, invece, hanno spiegato che dietro il dirottamento a Trapani di uomini e mezzi alleati c’erano solo ragioni di tipo tattico o geografiche. “In relazione allo svolgimento dell’esercitazione Trident Juncture 2015 – spiega lo Stato maggiore dell’Aeronautica - la scelta della base di Trapani, unitamente ad altre aree operative nazionali utilizzate dalle altre componenti, è stata presa in considerazione per motivi eminentemente logistici, operativi e di distanze percorribili per ottimizzare le risorse a disposizione e per la pregressa esperienza maturata nel corso di altre operazioni condotte sulla base”.

Trident Juncture interesserà lo spazio aereo e marittimo compreso tra lo Stretto di Gibilterra e il Mediterraneo centrale e i grandi poligoni di guerra di Spagna, Portogallo e Italia. Sotto la supervisione del JFC - Joint Force Command Neaples (JFC), il comando alleato con quartier generale a Lago Patria (Napoli), prenderanno parte alla maxi esercitazione oltre 30.000 militari, 200 velivoli e 50 unità navali di 33 nazioni (i 28 membri NATO più 5 partner internazionali). Ospiti d’eccezione, i manager delle industrie militari di 15 Paesi, onde consentire una “conoscenza più amplia e più profonda tra il settore produttivo e il regime addestrativo dell’Alleanza”, come dichiarato dal Comando NATO di Bruxelles. “Trident Juncture è finalizzata all’addestramento e alla verifica delle capacità dei suoi assetti aerei, terrestri, navali e delle forze speciali, nell’ambito di una forza ad elevata prontezza d’impiego e tecnologicamente avanzata, da utilizzare rapidamente ovunque sia necessario”, spiegano i vertici militari. “L’esercitazione simulerà uno scenario adattato alle nuove minacce, come la cyberwar e la guerra asimmetrica e rappresenterà, inoltre, per gli alleati ed i partner, l’occasione per migliorare l’interoperabilità della NATO in un ambiente complesso ad alta conflittualità”.

All’ultimo vertice dell’Alleanza tenutosi in Galles nel settembre dello scorso anno, è stato approvato il cosiddetto Readiness Action Plan (RAP) che prevede l’implementazione di una serie di strumenti militari per consentire alla NATO di “rispondere velocemente e con fermezza” alle minacce che intende affrontare nell’immediato futuro nell’area compresa tra il Medio Oriente e il Nord Africa e nell’Europa centrale ed orientale, specie alla luce della recente crisi in Ucraina. “Il nuovo Piano di pronto intervento prevede anche un cambiamento della postura delle forze armate alleate di fronte alla minaccia rappresentata dalla guerra ibrida (sovversione, uso dei social network per diffondere foto false, intimidazione con la presenza massiccia di truppe ai confini, disinformazione, propaganda, ecc.), in aggiunta alla guerra convenzionale”, spiegano gli strateghi NATO. Tra le adaption measures più rilevanti adottate in Galles, quella di triplicare il numero dei militari assegnati alla NATO Response Force (NRF), la forza di pronto intervento in grado di essere schierata in tempi rapidissimi in qualsiasi parte del pianeta e che proprio Trident Juncture 2015 dovrà certificarne centri di comando e controllo e capacità di risposta. “La Forza di risposta della NATO è un composto multinazionale tecnologicamente avanzato, rapidamente dispiegabile in operazioni speciali per fornire una risposta militare ad una crisi emergente”, ricorda l’analista Andrea Manciulli, autore di un recente saggio su L’evoluzione della Nato.Discussa per la prima volta nel vertice di Praga del 2002 e raggiunta la piena capacità operativa nell’ottobre 2006, la Forza di reazione rapida è aperta ai paesi partner, una volta approvati dal Consiglio del Nord Atlantico, e si basa su un sistema a rotazione, inizialmente di 6 ed ora di 12 mesi, delle forze speciali terrestri, aeree e marittime degli alleati”. Alla NRF sono stati assegnati pure funzioni di polizia e gestione dell’“ordine pubblico” e d’intervento in caso di disastri. Così, alcune unità speciali sono state dispiegate in Grecia in occasione dei Giochi Olimpici del 2004 e a supporto delle lezioni presidenziali in Afghanistan nel settembre dello stesso anno; tra il settembre e l’ottobre del 2005 la NRF ha distribuito aiuti umanitari alle popolazioni colpite negli Stati Uniti dall’uragano “Katrina” e, poi, in Pakistan (dall’ottobre 2005 al febbraio 2006), dopo il violento terremoto che ha distrutto parte del paese. In attesa d’incorporare sino a 30.000 effettivi, la NRF già dispone di una brigata multinazionale (supportata da altre due brigate pre-designate all’impiego), due gruppi navali (lo Standing Nato Maritime Group SNMG e lo Standing Nato Mine Countermeasures Group SNMCG), una componente aerea, un’unità CBRN (Chemical, Biological, Radiological, Nuclear). Attori chiave della NRF sono i Rapid Deployable Corps (NRDC) che si esercitano con attività addestrative di durata anche semestrale nella conduzione di un’ampia gamma di missioni (dalla guerra ad alta intensità alla lotta contro il terrorismo o l’assistenza umanitaria in caso di disastri, ecc.). Gran Bretagna, Francia, Danimarca, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Polonia, Norvegia, Romania, Spagna e Turchia sono i paesi europei che più contribuiscono finanziariamente e operativamente ai Corpi di Rapido Intervento NATO.

A battesimo la nuova task force dell’Alleanza

Il fondamento strategico per potenziare l’interoperabilità e le capacità di rischiaramento avanzato della Forze di pronto intervento è stato fissato nel 2013 dalla Connected Forces Initiative (CFI), l’iniziativa dell’Allied Command Transformation (ACT), il Comando alleato per la trasformazione con sede a Norfolk, Virginia, da cui dipendono una ventina di centri d’eccellenza NATO, due dei quali presenti in Italia (il Modelling & Simulation di Roma e lo Stability Policing COE di Vicenza). I documenti alleati prevedono a breve il rafforzamento della NRF con una brigata da combattimento di 2.500-3.000 uomini (con tre battaglioni di fanteria leggera, motorizzata o aeromobile, più alcuni battaglioni pesanti dotati di artiglieria, del genio, per la “difesa” NBC nucleare, batteriologica e chimica); un gruppo aereo composto da una quarantina tra velivoli da combattimento, di trasporto ed elicotteri, in grado di realizzare sino a 200 sortite al giorno; una task force navale formata da un gruppo guidato da una portaerei, un gruppo anfibio e un gruppo d’azione di superficie, per un totale di 10–12 navi. Fondamentale sarà il ruolo dei nuovi sistemi di telerilevamento ed intelligence, primo fra tutti l’AGS (Alliance Ground Surveillance) che a partire dal prossimo anno sarà attivato nella base siciliana di Sigonella grazie all’acquisizione di alcuni velivoli senza pilota Global Hawk di ultima generazione.

L’esercitazione Trident Juncture 2015 consentirà di sperimentare per la prima volta in scala continentale quella che è destinata a fare da corpo d’élite della NRF, la Very High Readiness Joint Task Force (VJTF), la forza congiunta di pronto intervento opportunamente denominata Spearhead (punta di lancia). Prevista dal Readiness Action Plan, la VJTF sarà pienamente operativa a partire dal prossimo anno e verterà su una brigata di terra di 5.000 militari, supportata da forze aeree e navali speciali e, in caso di crisi maggiori, da due altre brigate con capacità di dispiegamento rapido, fornite a rotazione e su base annuale da alcuni paesi dell’Alleanza. La leadership sarà assunta alternativamente da Germania, Italia, Francia, Gran Bretagna, Polonia e Spagna. “La Spearhead force sarà in grado di essere schierata in meno di 48 ore”, afferma il Comando Nato. “In particolare, essa potrà essere di grande aiuto nel contrastare operazioni irregolari ibride come ad esempio lo schieramento di truppe senza le insegne nazionali o regolari e contro gruppi d’agitatori. Se saranno individuati infiltrati o pericoli di attacchi terroristici, la VJTC potrà essere inviata in un paese per operare a fianco della polizia nazionale e delle autorità di frontiera per bloccare le attività prima che si sviluppi una crisi”. Con la creazione della task force, la NATO ha riorganizzato quartier generali e comandi operativi: la Forza di pronto intervento NRF, nello specifico, è stata posta gerarchicamente sotto il controllo dei JFC - Joint Force Command di Brunssum (Olanda) e Napoli e di alcuni sottocomandi: per la componente terrestre (First German-Netherland Corps) quello di Münster, Germania; per la componente aerea (Joint Force Air Component HQ) Lione, Francia; per la componente navale (Spanish Maritime Force Command) Rota, Spagna; per le Forze Speciali (Polish Special Operations Command) Cracovia; per i Supporti logistici (Joint Logistic Support Group) Napoli.

Un aeroporto ostaggio dei signori della guerra

Il transito e il dispiegamento nello scalo siciliano di Trapani Birgi di decine di cacciabombardieri, aerei radar, velivoli cargo e rifornitori in volo non potrà che avere effetti pesantissimi sulla sicurezza e la regolarità del traffico aereo civile (grazie ai low cost questo aeroporto è uno dei più trafficati di tutto il sud Italia, ben 1.598.571 passeggeri in transito lo scorso anno). Nel trapanese è ancora vivo il ricordo di quanto avvenne nella primavera-estate del 2011, quando Birgi fu utilizzata dalla coalizione internazionale a guida USA-NATO per le operazioni di guerra contro la Libia di Gheddafi. In particolare, dal 21 al 31 marzo furono interdetti tutti i voli civili mentre successivamente, sino alla fine del mese di agosto, lo Stato Maggiore dell’Aeronautica impose un tetto massimo di 40 movimenti giornalieri che causò una drastica flessione del flusso estivo di turisti nelle province occidentali della Sicilia. Le operazioni di guerra in Libia proseguirono sino al 31 ottobre 2011, con grande dispiegamento a Birgi di uomini e mezzi dell’Aeronautica italiana e di alcuni partner NATO. I cacciabombardieri F-16 in dotazione allora al 37° Stormo dell’Aeronautica di Trapani Birgi operarono prima sotto il comando delle forze armate USA per il continente africano (US Africom) con compiti di “protezione e scorta delle missioni di soppressione delle difese aeree nemiche” ed “offensiva contro-aerea” e, successivamente, nell’ambito della missione NATO Unified Protector, per la “protezione di aerei rifornitori e radar AWACS, ricerca ed intercettazione di elicotteri ed aerei, implementazione della No Fly Zone”. A partire dal 1° aprile nello scalo siciliano fu costituito il T.G.A. - Task Group Air Birgi per coordinare le operazioni dei velivoli rischierati dall’Aeronautica (gli Eurofighter del 4° Stormo di Grosseto e del 36° Stormo di Gioia del Colle, i Tornado IDS del 6° Stormo di Ghedi-Brescia ed ECR del 50° Stormo di Piacenza, gli AMX del 32° Stormo di Amendola-Foggia e del 51° Stormo di Istrana-Treviso). In sette mesi di attività, i caccia italiani eseguirono da Trapani quasi 1.700 missioni per un totale di oltre 6.700 ore di volo, sganciando in Libia più di 500 tra bombe e missili da crociera a lunga gittata. Dal Task Group Air Birgi dipese pure l’utilizzo degli aerei senza pilota Predator B, in dotazione al 32° Stormo. A Trapani furono trasferiti infine sette caccia F-18 Hornet, due velivoli tanker C-150T e due CP-140 Aurora per la guerra elettronica delle forze armate canadesi, tre velivoli E-3A AWACS della NATO e due AWACS e due aerei da trasporto VC-10 Vickers britannici. Dallo scalo siciliano transitarono pure 300 aerei cargo e circa 2.000 tonnellate di materiale a disposizione della coalizione alleata. Stando alle stime ufficiali, la NATO avrebbe lanciato da Trapani quasi il 14% dei blitz aerei contro obiettivi libici.

L’aeroporto di Birgi è classificato ancora come “scalo militare destinato al ruolo di Deployement Operating Base (DOB)”: sostiene cioè i rischieramenti di velivoli da guerra italiani e NATO, ma le sue due piste lunghe rispettivamente 2.695 e 2.620 metri, possono essere aperte al traffico aereo civile “a determinate condizioni”. Attualmente lo scalo ospita il Comando del 37° Stormo dell’Aeronautica, il 18° Gruppo di volo dotato di otto caccia multiruolo di ultima generazione Eurofighter Typhoon e l’82° Centro CSAR (Combat Search and Rescue), equipaggiato con gli elicotteri HH-3F, con compiti di ricerca e soccorso degli equipaggi dispersi e il trasporto sanitario d’urgenza. Dalla seconda metà degli anni Ottanta, Trapani Birgi è pure la base operativa avanzata (FOB) degli aerei-radar E-3A AWACS nell’ambito del programma multinazionale NATO Airborne Early Warning Force per la sorveglianza integrata dello spazio aereo, il cui comando generale è ospitato a Geilenkirchen (Germania). Da due anni a questa parte, l’aeroporto è utilizzato infine dall’industria Piaggio Aerospace (interamente controllata da un fondo degli Emirati Arabi Uniti) per testare i nuovi velivoli senza pilota P.1HH “HammerHead” (Squalo martello), prodotti negli stabilimenti di Villanova d’Albenga (Savona). Lo Squalo martello si posiziona nella fascia alta dei velivoli a pilotaggio remoto MALE (Medium Altitude Long Endurance); con un’apertura alare di 15,5 metri, il drone può raggiungere la quota di 13.700 metri e permanere in volo per più di 16 ore. Le torrette elettro-ottiche, i visori a raggi infrarossi e i radar di cui è dotato gli consentono d’individuare l’obiettivo, fornire ai caccia “amici” le coordinate per l’attacco aereo o terrestre, oppure colpire direttamente con missili e bombe a guida di precisione (lo Squalo martello può trasportare sino a 500 kg di armamenti). I frequenti decolli e atterraggi del drone militare comportano rischi elevatissimi per il traffico passeggeri di Birgi e per le migliaia di abitanti delle città di Trapani e Marsala e delle isole Egadi. Il 19 marzo scorso si è pure sfiorata la tragedia: alle ore 13 circa, lo Squalo martello è uscito fuori pista durante le prove di rullaggio, terminando la sua corsa nel prato circostante. Per motivi di sicurezza, lo scalo aereo è stato temporaneamente chiuso al traffico civile e i voli dirottati a Palermo Punta Raisi.

Inchiesta pubblicata su Casablanca. Le Siciliane, n. 40, giugno - luglio 2015.

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