Si ricomincia, con l’alternanza scuola-caserma
Come la scuola diventa laboratorio sperimentale dei processi di militarizzazione
Crescita
dei giovani cittadini, del cluster marittimo, della cultura del mare, dello
sport, della sicurezza marittima, della tutela dell’ambiente, della
biodiversità e della salvaguardia del patrimonio marino. Sono gli obiettivi di
«carattere educativo e formativo» del protocollo d’intesa firmato il 7 agosto
dal Ministero dell’Istruzione e del merito e dallo Stato Maggiore della Marina
Militare.
«La
Marina si impegna ad offrire agli studenti opportunità formative di alto e
qualificato profilo, per l’acquisizione di competenze trasversali e titoli di
studio spendibili nel mercato del lavoro in continua evoluzione», riporta il
protocollo. «La Marina si impegna inoltre a promuovere la formazione del
personale docente e amministrativo, favorendo forme di partenariato con enti
pubblici e imprese, anche con l’apporto di esperti esterni per l’acquisizione
di competenze specialistiche».
La
Scuola diventa laboratorio sperimentale dei dirompenti e dilaganti processi di
militarizzazione, privatizzazione e precarizzazione della società,
dell’economia e della ricerca. La cultura della guerra globale e permanente che
pervade le coscienze individuali e collettive, le inter-relazioni didattiche,
la pedagogia, gli istituti scolastici di ogni ordine e grado.
In
Italia accade da tanto tempo, ma pochi ne hanno colto le dimensioni e la
pericolosità: la progressiva trasformazione delle scuole in caserme per formare
lo studente-soldato votato all’obbedienza e alla difesa del modello imperante
di iniqua distribuzione delle risorse e della ricchezza.
Dal
Sud Tirolo alla Sicilia non c’è giorno che gli studenti non vengano chiamati ad
assistere a cerimonie e parate militari, alzabandiera, conferimenti di
onorificenze a presunti eroi di guerra. Si moltiplicano le visite guidate agli
aeroporti e ai porti militari, alle installazioni radar, alle industrie
belliche e alle basi Usa e Nato «ospitate» in barba alla Costituzione.
Generali
e ammiragli salgono in cattedra per molteplici attività didattico-culturali,
dalla lettura e interpretazione della Storia e della Costituzione,
all’educazione ambientale e alla salute, alla lotta alla droga e alla
prevenzione dei comportamenti classificati come «devianti». Proliferano gli
stage e i progetti di alternanza scuola-lavoro a fianco dei reparti d’élite delle
forze armate o nelle aziende produttrici di armi.
Contemporaneamente
si assiste alla conversione delle stesse strutture scolastiche a fini
securitari con l’installazione di videocamere e dispositivi elettronici
identificativi e di controllo sociale. In un vero e proprio clima di caccia
alle streghe, questori e prefetti ordinano le incursioni delle forze di polizia
all’interno delle aule con perquisizioni a tappeto e cani antidroga; si
impongono i divieti di riunione e delle attività autogestite degli studenti e i
locali scolastici vengono dichiarati off-limits in orario pomeridiano, mentre
viene minacciata l’azione penale e civile contro ogni forma di occupazione.
Leggi e decreti hanno conferito poteri illimitati ai presidi, hanno
istituzionalizzato gerarchizzazioni e discriminazioni tra gli insegnanti ed
esautorato progressivamente gli organi collegiali.
Al
processo di militarizzazione della sfera educativa-scolastica hanno concorso
tutti i governi alternatisi alla guida del paese negli ultimi vent’anni.
Innumerevoli
sono state le intese tra il Ministero dell’Istruzione e la Difesa, come ad
esempio l’Accordo quadro del settembre 2014 per favorire l’approfondimento
della Costituzione italiana, o quello del dicembre 2017 per la promozione dei
Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (la nuova
denominazione dell’alternanza scuola-industria-caserma).
Con il
governo Meloni-Crosetto-Valditara si punta ad approvare la legge che istituisce
la Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate per il 4 novembre (la
data della «vittoria» delle truppe italiane nella Prima guerra mondiale).
«Per
celebrare la Giornata, gli organi competenti possono promuovere e organizzare
cerimonie, eventi, incontri, conferenze storiche e mostre fotografiche, nonché
testimonianze sull’importanza dell’Unità nazionale, delle identità culturali e
storiche, della tradizione e dei valori etici di solidarietà e di
partecipazione civile incarnati dalle Forze armate», recita l’art. 2 della
proposta di legge.
E
saranno proprio gli istituti scolastici di ogni ordine e grado ad essere
chiamati a promuovere le iniziative chiave della rinata festa nazionale, «in
considerazione dell’alto valore educativo, sociale e culturale della Giornata»
(art. 3). Una macabra riproposizione della cultura bellico-nazionalista e dei
disvalori dell’istruzione del Ventennio fascista (Patria, bandiera, eroismo,
sacrificio, ecc.) e l’imposizione alle nuove generazioni dell’omaggio al
tricolore e della difesa dell’identità nazionale dopo aver negato lo ius soli e
i diritti di cittadinanza a decine di migliaia di studenti in Italia.
L’economia
di guerra necessita di giovani votati alla precarietà e alla rinuncia ai
diritti individuali e sociali, imprenditori-competitori in lotta l’uno contro
l’altro per la mera sopravvivenza. Ma l’educazione militare è anche essenziale
per poter creare e alimentare la carne da cannone delle offensive e
controffensive nei prossimi conflitti mondiali.
Anche
per questo si è fatto sempre più asfissiante il pressing dell’apparato
militare sul mondo scolastico e accademico: forze armate moderne,
ipertecnologizzate e informatizzate, necessitano di quadri istruiti, cinici e
rapidissimi nell’assumere decisioni vitali, meglio ancora se esenti da dubbi e
ripensamenti morali. C’è sempre più bisogno di giovani e forti per i reparti di
pronto intervento o deputati al controllo dei sistemi di guerra automatizzati,
digitalizzati e disumanizzati.
Fortunatamente
sta crescendo tra gli insegnanti la consapevolezza sull’occupazione armata
dell’istruzione e dell’educazione. Grazie all’iniziativa di Cesp, Cobas scuola
e Mosaico di Pace è stato lanciato un appello per la costituzione
dell’Osservatorio nazionale contro la militarizzazione delle scuole e delle
università.
Obiettivo
centrale dell’Osservatorio è la smilitarizzazione del sistema scolastico, delle
metodologie, delle narrazioni interpretative e dei modelli comunicativi
utilizzati nelle attività didattiche. «Smilitarizzare le scuole e l’educazione
vuol dire rendere gli spazi scolastici veri luoghi di pace e di accoglienza,
opporsi al razzismo e al sessismo di cui sono portatori i linguaggi e le
pratiche belliche, allontanare dai processi educativi le derive nazionaliste, i
modelli di forza e di violenza, l’irrazionale paura di un nemico (interno ed
esterno ai confini nazionali) creato ad hoc come capro
espiatorio», spiega l’Osservatorio.
Flashmob,
sit-in e volantinaggi sono stati organizzati in occasione di meeting
scuole-forze armate mentre a inizio anno scolastico è già stato diffuso un vademecum
che raccoglie proposte di mozioni di boicottaggio del processo di
militarizzazione, diffide ai dirigenti contro l’alternanza nelle basi militari
e nelle industrie belliche, ecc.
Studenti,
genitori e insegnanti sono chiamati a scegliere da che parte stare e per chi
operare: a fianco dei signori della guerra e dei mercanti di morte, come
chiedono con sempre più forza generali e ministri; ripudiando la guerra come
strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione
delle controversie internazionali, nel rispetto dell’art. 11 della
Costituzione, rivendicando le libertà di espressione e insegnamento (artt. 21 e
33), a difesa della scuola pubblica e dei valori fondamentali di uguaglianza
formale e sostanziale e di giustizia sociale.
Articolo pubblicato in Alias, supplemento de Il Manifesto, 16 settembre 2023
Commenti
Posta un commento