La Cultura della Difesa? No, non è cosa di Crosetto. E’ bipartisan!

 


Quattordici superconsulenti del ministro Guido Crosetto “a titolo gratuito”, giornalisti, docenti universitari e manager industriali, per dar vita al Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della cultura della Difesa. Diverse testate nazionali hanno rilanciato la notizia dell’istituzione, lo scorso 21 febbraio, di quello che è già stato definito – erroneamente – il think tank personale di Crosetto. “Un gruppo di pensiero personale del ministro della difesa”, riporta Il Fatto Quotidiano, affinché le tematiche militari siano note, discusse e condivise dalla società italiana. “Ma a cosa servirà questo nuovo Comitato?”, domanda il Fatto. “Ci spiega una fonte della Difesa: Spesso si pensa che la Difesa sia solo forze armate, ma non è così. L’idea è che il mondo della Difesa riguarda tecnologia, industria, cultura, geopolitica. Si organizzeranno seminari, incontri, si elaboreranno documenti, direttive e proposte che verranno comunicate al ministro. E sia chiaro, i membri del Comitato lo fanno tutti gratis e con un approccio totalmente indipendente”.

La scarsissima attenzione dei media e dell’opinione pubblica sul dilagante processo di penetrazione delle forze armate e delle industrie del comparto militare nel tessuto sociale, culturale ed economico del paese, particolarmente nel mondo dell’istruzione di ogni ordine e grado e della ricerca accademica, conduce oggi all’errore di “personalizzare” (nella figura di Guido Crosetto) il neo-comitato che “dovrà sottrarre il tema all’esclusivo dibattito sulle armi e la guerra”, per spostare l’attenzione “anche sull’impatto che la difesa nel suo complesso ha sulla vita di tutti i giorni”. Il decreto istitutivo è già stato firmato e a giorni sarà pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale. In attesa di poter conoscerne contenuti e finalità nella loro interezza, è opportuno riportare il suo lungo processo gestionale che, come si vedrà, ha visto promotori e sponsor, tutte le forze politiche alla guida dei governi degli ultimi quindici anni.   

Per poter comprendere il significato della cosiddetta Cultura della difesa bisogna andare al testo della legge n.124 del 2007 con cui sono stati “riformati” i servizi segreti. Tra gli obiettivi della nuova architettura d’intelligence nazionale viene specificato quello di “far crescere la consapevolezza per i temi dell’interesse nazionale, e della sua difesa, in tutte le declinazioni che esso assume di fronte alle sfide della globalizzazione e alle minacce transnazionali che arrivano dentro il sistema Paese mettendo a rischio la sua integrità patrimoniale e industriale, la sua competitività, la sicurezza delle sue infrastrutture e dei sistemi informativi”. In verità i riferimenti della legge sono alla Cultura della Sicurezza e l’organo preposto alla sua definizione è il nuovo Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS), che sovrintende alle attività delle due agenzie d’intelligence, l’AISE per la “sicurezza esterna” e l’AISI per quella “interna”. “Il DIS deve essere in continuo contatto con il sistema educativo nazionale, dalle scuole superiori alle università, e con tutti coloro che si occupano a vario titolo di intelligence e contribuiscono alla creazione di una via nazionale per la diffusione della cultura della sicurezza”, specifica la legge n.124/2007. Nei fatti viene sancita la cooptazione del sistema scolastico e accademico all’interno degli apparati sicuritari e militari riproducendo il modello implementato in quei paesi che hanno fatto della guerra l’essenza stessa della propria esistenza (Israele, petromonarchie, ecc.).

Nel settembre 2014 la partnership tra istituzioni scolastiche e apparato militare veniva formalizzata dal Protocollo d’Intesa tra le ministre del tempo all’Istruzione, l’università e la ricerca, Stefania Giannini (Scelta Civica, poi Pd) e alla Difesa Roberta Pinotti (Pd). Nello specifico i due dicasteri s’impegnavano a favorire “l’approfondimento della Costituzione italiana e dei principi della Dichiarazione universale dei diritti umani” e ad attivare nelle scuole “un focus sulla funzione centrale che la Cultura della Difesa ha svolto e continua a svolgere a favore della crescita sociale, politica, economica e democratica del Paese”. Docenti protagonisti delle “lezioni” in classe con gli studenti, gli ufficiali dell’esercito, della marina e dell’aeronautica militare. Con una circolare del 15 dicembre 2015, il MIUR elencava i percorsi progettuali da affidare alle forze armate contemplando quasi tutti i campi didattico-disciplinari: dalla storia alle scienze, dalle nuove tecnologie al diritto, dallo sport alla geografia politica, ecc..

Da allora è stato un moltiplicarsi di eventi pubblici, incontri, dibattiti, concorsi, stage di formazione, progetti di alternanza scuola-lavoro-caserma in cui si è socializzato ed enfatizzato tra le nuove generazioni il concetto di Cultura della Difesa. Con il secondo governo Conte (settembre 2019-febbraio 2021) per la diffusione della Cultura della Difesa e della Sicurezza fu perfino delegato un sottosegretario di Stato, l’onorevole pentastellato Angelo Tofalo, ingegnere progettista nei settori delle telecomunicazioni strategiche e della videosorveglianza e un master in Intelligence e Security alla Link Campus University di Roma. Congiuntamente allo Stato maggiore della Difesa e al Segretariato generale della Direzione nazionale armamenti, l’allora ministro della difesa Lorenzo Guerini (Pd) e il sottosegretario Tofalo avviarono un ciclo di conferenze itineranti per spiegare la Cultura della Difesa all’interno di università e centri di ricerca. “L’obiettivo è quello di facilitare i cittadini a comprendere i temi di interesse strategico per la Difesa, acquisire sistemi ed equipaggiamenti per le forze armate, valorizzare le capacità dell’industria nazionale e sostenere la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica”, spiegava il Ministero. Il fine tutt’altro che occulto era quello di estendere a tutte le fasce sociali e generazionali l’incondizionato consenso per le forze armate, le missioni di guerra internazionali e il complesso militare-industriale affinché i cittadini si rendessero disponibili a sempre maggiori sacrifici in termini di tagli salariali e accesso ai servizi sociali pur di indirizzare sempre più risorse finanziarie pubbliche alla produzione e all’acquisto di armi tecnologicamente avanzate. “Invito tutti ad essere attori di uno sforzo comune per far crescere la Cultura della Difesa e la consapevolezza del ruolo che riveste per il Sistema Paese”, dichiarava il ministro Guerini ad un convegno promosso dalle maggiori aziende aerospaziali e dal Centro Alti Studi della Difesa. “Dobbiamo intraprendere tutti gli sforzi necessari per avviare un percorso teso ad incrementare gli investimenti e allineare, progressivamente, il rapporto budget Difesa–PIL alla media degli altri Alleati europei. Le risorse destinate alla Difesa devono essere viste come uno straordinario volano economico”.

Per i vertici delle forze armate e del dicastero, la Cultura della Difesa assolve anche la funzione di sensibilizzare i cittadini sulle “minacce” onnicomprensive alla sicurezza, anche perché essi possano assolvere a compiti di controllo e vigilanza. Su chi e cosa l’ha spiegato lo Stato Maggiore in un convegno del 23 gennaio 2020: “attori non militari (civili, operatori di agenzie governative e non, operatori dei mass media e combattenti regolari e irregolari); uso indiscriminato e terroristico di qualsiasi strumento di offesa da parte di soggetti non-statuali; sfruttamento della dimensione del cyberspazio; uso della propaganda tramite i new media per acquisire il controllo delle opinioni; possibile uso di armi CBRN (chimiche, biologiche, radiologiche, nucleari), ecc..

Il comitato – think thank istituito da Guido Crosetto è chiamato oggi a fornire ulteriori strumenti concettuali ed operativi per “acculturar-militarizzare” la società e il sistema scolastico-universitario. La sua composizione è ampiamente trasversale e pluridisciplinare. A fungere da segretario è stato chiamato Filippo Maria Grasso, dal settembre 2020 vicepresidente esecutivo per gli affari pubblici di Leonardo SpA, holding a capo del complesso militare industriale nazionale, nonché consigliere di amministrazione della Fondazione Med-Or presieduta dall’ex ministro Marco Minniti (Pd). Del comitato faranno parte l’economista Geminello Alvi (già assistente della Banca d’Italia ed editorialista de L’Espresso, Il Giornale, il Corriere della Sera e Repubblica); Giulio Enrico Anselmi (presidente dal 2009 dell’agenzia giornalistica Ansa ed ex presidente della FIEG – Federazione Italiana Editori Giornali); lo scrittore ed opinionista televisivo Pietrangelo Buttafuoco (già componente del Comitato centrale del MSI-Movimento Sociale Italiano e poi componente di Alleanza Nazionale fino al 2003); la storica dell’arte Anna Coliva (già direttrice della Galleria Borghese di Roma); Pier Domenico Garrone (fondatore de Il Comunicatore Italiano); la professoressa Michéle Roberta Lavagna (ordinaria al Politecnico di Milano, dipartimento di scienze e tecnologie aerospaziali, più numerose collaborazioni con l’Agenzia Spaziale Italiana ASI e quella europea ESA).

Membri del think tank del ministero della difesa saranno infine il giornalista Giancarlo Leone (presidente dell’Associazione produttori televisivi ed ex amministratore delegato di RAI Cinema, figlio dell’ex presidente della repubblica Giovanni Leone); il politologo Angelo Panebianco (già docente presso la Facoltà di Scienze politiche dell’ateneo di Bologna ed editorialista del Corriere); il professore Vittorio Emanuele Parsi (ex ufficiale della Marina militare, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ed editorialista de Il Messaggero); il professore Angelo Maria Petroni (ordinario presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, segretario generale dell’Aspen Institute Italia e membro della Mont Pelerin Socety, uno dei maggiori centri studi del liberalismo economico a livello mondiale, già consigliere di amministrazione RAI); il giornalista e conduttore televisivo italo-statunitense Gianni Riotta (già direttore del TG1 e de Il Sole 24 Ore, oggi editorialista di Repubblica); Fabio Tamburini (già professore di Storia economica presso le Università di Napoli “Federico II” e Parma, dal settembre 2018 direttore de Il Sole 24 Ore); Antonio Zoccoli (professore ordinario di Fisica sperimentale all’università di Bologna, dal 2019 presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare INFN e dell’Associazione Big Data).

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