Afghanistan. I fallimenti e le bugie della NATO (e dell’Italia)
No, non mi piace proprio il facile tiro al bersaglio contro il presidente Joe Biden, ritenuto da tutti i commentatori internazionali e dagli uomini di governo dei paesi NATO, l’unico (ir)responsabile della disfatta occidentale in Afghanistan. Mi sembra infatti che in ambito alleato, vertici militari in testa, abbiano trovato il capro espiatorio su cui focalizzare lo sconcerto generale per la ingloriosa fuga dal teatro afgano e la rioccupazione talebana. Un utile idiota (- sono “utili” alla narrazione comune le sue stesse idiote dichiarazioni pubbliche per giustificare la debacle USA - ) che consentono di occultare le altrettanto gravissime (ir)responsabilità dell’Alleanza Atlantica che esce del tutto sconfitta dalla ventennale disavventura in Medio oriente ben più dell’amministrazione Biden.
Anche se pochi, molti pochi, lo vogliono
ricordare, è la NATO che ha gestito in prima persona le missioni di “esportazione
della democrazia” e “pacificazione” dell’Afghanistan. Sono stati gli alleati
NATO ad assicurare il pieno sostegno al Pentagono in tutte le operazioni di
guerra (anche con l’ausilio dei famigerati droni), mettendogli a disposizione
le maggiori installazioni militari in Europa (Ramstein in Germania, Moròn e
Rota in Spagna, Aviano e Sigonella in Italia), le stesse oggi utilizzate per l’”ospitalità
transitoria” dei cittadini afgani evacuati dalle forze armate statunitensi con
la neo-operazione Allies refugee, avviata
senza alcun confronto con le organizzazioni internazionali preposte alla
protezione dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Ed è stato in abito NATO che
è stata decisa unanimemente la disastrosa exit
strategy dal conflitto afgano, oggi ipocritamente attribuita solo a Washington.
Le prove più evidenti delle gravi responsabilità
e della totale incapacità del Comando generale della North Atlantic Treaty Organitazion a interpretare politicamente e
militarmente quanto stava accadendo in queste settimane nel paese sono
contenute nei suoi più recenti documenti pubblici. Ore 16.33 del 3 agosto 2021. Da Bruxelles
viene emessa una nota stampa che annuncia che “la NATO sta aumentando le consegne
di equipaggiamento militare all’Afghanistan mentre l’Alleanza ritira le sue
forze dal paese”. “Quest’anno – prosegue la nota – la NATO ha già donato beni e
attrezzature del valore di circa 72 milioni di dollari alle Forze militari nazionali e di sicurezza dell’Afghanistan;
esse vanno dalle forniture mediche ai simulatori da combattimento high-tech, alle
apparecchiature ospedaliere per i raggi X e a quelle utilizzate per
disinnescare le bombe, ai camion antincendio e ai giubbotti antiproiettili”. L’ultima
consegna di materiali alle forze armate afgane, aggiunge il Comando NATO, è stata
effettuata il 2 agosto 2021, cioè 13 giorni prima dalla resa di Kabul.
“L’equipaggiamento è stato finanziato grazie all’Afghan National Army Trust Fund predisposto dalla NATO”, si legge ancora
nel comunicato. “Al maggio 2021, il totale dei contribuiti elargiti con il Trust Fund a partire del 2007 ammonta a
circa 3,5 miliardi di dollari, dei quali 440 milioni corrispondono a beni e
attrezzature”. Tragicamente patetici, specie alla luce di quanto accaduto in
queste ultime due settimane, i commenti finali della nota NATO del 3 agosto: “La
situazione della sicurezza in Afghanistan resta profondamente impegnativa, così
questi beni arrivano in un momento importante, spiega il portavoce della NATO, Dylan White. “Mentre ritiriamo le nostre forze dal paese,
continueremo a sostenere l’Afghanistan,
anche con l’equipaggiamento necessario ad aiutare nel miglior modo le forze
armate afghane alla propria difesa, ha aggiunto Dylan White. Il Segretario Generale della NATO Jens
Stoltenberg ha ribadito la continuazione del sostegno dell’Alleanza a favore dell’Afghanistan
nel corso di un colloquio telefonico con il Presidente Ashraf Ghani lo scorso
27 luglio, spiegando che esso includerà finanziamenti, la presenza di civili e l’addestramento
fuori dal paese”. Come dire che nel quartier generale interalleato di Mons e a
Kabul - perlomeno sino alla fine di luglio - nessuno aveva la pur minima accortezza
di quanto stesse accadendo in Afghanistan.
Non fanno certamente una migliore figura l’Italia e il suo ministro della
difesa Lorenzo Guerini (Pd). Quest’ultimo, il 24 giugno 2021, aveva
presentato in Senato un report ultratranquillizzante sulla conclusione
della missione italiana in Afghanistan. Utile ripercorrerne alcuni passaggi
chiave. Guerini aveva effettuato un paio di settimane prima una visita a Herat,
sede del comando d’area NATO a guida italiana, per presenziare all’ammaina bandiera e all’avvio del ritiro del
contingente nazionale. “La decisione di concludere la Resolute Support
Mission, assunta dal Consiglio Atlantico a Bruxelles lo scorso 15 aprile, non è stata di certo facile, ma ora
l’impegno prioritario è garantire il rientro ordinato e sicuro del nostro
contingente in patria”, spiegava in ministro.
“Le operazioni stanno procedendo secondo i piani
stabiliti, con il rientro del personale e l’afflusso dei materiali
dall’Afghanistan verso l’Italia”, aggiungeva Guerini. “Insieme agli Alleati ci
siamo posti anche l’obiettivo di continuare a supportare le istituzioni
repubblicane ed il popolo afgano, nelle forme e nelle modalità che saranno
definite sia in ambito NATO che in una possibile dimensione bilaterale. L’obiettivo dell’impegno alleato nel post-missione sarà
quello di preservare al meglio quanto sino ad ora conseguito, continuando a
contribuire allo sviluppo delle istituzione afgane di difesa e sicurezza
affinché il Paese non diventi nuovamente un paradiso
sicuro per il terrorismo”.
Tre le componenti elencate da
Lorenzo Guerini che avrebbero dovuto caratterizzare il “nuovo concetto di
supporto dell’Afghanistan” da parte NATO: la costituzione dell’Ufficio del Rappresentante Civile NATO (incarico
assegnato all’Ambasciatore italiano Stefano Pontecorvo); il “sostegno alla
funzionalità dell’ospedale e dell’aeroporto di Kabul, la cui sicurezza è
prerequisito essenziale per mantenere la presenza della componente diplomatica”;
la “formazione, intesa come addestramento e sviluppo capacitivo, fuori dal paese delle Forze afgane di
difesa e sicurezza, con particolare attenzione alle forze speciali, che si sono
dimostrate fondamentali per il contrasto ai Talebani ed alle formazioni
terroristiche”.
“Siamo di fronte ad una fase nuova, in cui tutti
gli Alleati, anche se con diverse sfumature, stanno dando segnali convergenti
circa la volontà di proseguire il loro impegno, con modalità coerenti con il
nuovo scenario”, aggiungeva Lorenzo Guerini in Senato. “Essenziale, da parte dei paesi framework NATO, focalizzare l’azione sul piano politico–diplomatico
e della cooperazione civile, per sostenere il governo repubblicano e la
popolazione afgana. Spetta invece alla forze di sicurezza locali - alle quali
era rivolto l’addestramento, la consulenza e l’assistenza della RSM -
il compito di prendere in mano la sicurezza del Paese. Si tratta di 186.000 militari e di 121.000 appartenenti alle forze di
sicurezza del Ministero dell’Interno, che sono stati, in larga parte,
addestrati ed equipaggiati dalle forze NATO e che, già in questi momenti,
stanno mettendo a frutto efficacemente ciò che hanno appreso”.
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