Colpo di Stato in Mali e i misteri che circondano la missione dei militari italiani
Chissà cosa racconterà il governo
Draghi in Parlamento per giustificare l’ennesima debacle della diplomazia
politico-militare italiana in terra africana: due missioni ufficiali di
altissimo livello in poco meno di 40 giorni a Bamako (la prima con il ministro
degli esteri Luigi Di Maio, poi quella del ministro della difesa Lorenzo
Guerini) e l’avvio in gran segreto dell’operazione
Takuba con i reparti d’élite delle forze armate italiane a fianco delle
truppe francesi e dei generali golpisti in Mali. Sì, perché, ancora una volta
(vedi Corno d’Africa e poi in Libia), riusciamo sempre a metterci nei guai o
dalla parte sbagliata.
Nel paese del Sahel dove si
assiste all’ennesimo confuso rovesciamento istituzionale da parte di una
fazione delle forze armate, l’Italia ha apertamente flirtato con gli ex
golpisti oggi spodestati, il presidente della giunta militare di transizione
Bah N’Daw (ex capo di Stato maggiore
dell’Aeronautica militare ed ex ministro della difesa, oggi agli arresti) e il vicepresidente
colonnello Assimi Goita, a capo dei militari che il 18 agosto 2020 hanno
deposto l’allora presidente Ibrahim Boubacar Keïta, sciolto il Parlamento e
rinviato sine die l’indizione di nuove elezioni.
Con Bah N’Daw e Assimi Goita, Luigi Maio si era incontrato a Bamako l’8 e 9
aprile 2021 in vista del “rafforzamento della collaborazione in materia
migratoria e di sicurezza” tra Italia e Mali, come riporta il comunicato stampa
emesso dalla Farnesina. In quell’occasione il pentastellato si era pure
intrattenuto a colloquio con il primo ministro Moctar Ouane, anch’egli agli
arrestato nel corso del nuovo putsch militare, il ministro degli esteri Zeini
Moulaye e il ministro dei Maliani all’estero e dell’integrazione africana
Alhamdou Ag Ilyene. “Partner strategico dell’Italia su molti dossier prioritari
come la Libia, la gestione dei flussi migratori e la stabilità del Sahel, la
missione in Mali del ministro Di Maio si colloca nel quadro della priorità che
tutta l'Africa riveste per il nostro Paese, come dimostrato anche dall’attenzione
speciale che sarà dedicata al Continente africano dalla Presidenza Italiana del
G20”, concludeva la nota degli Esteri.
Lo scorso 20 maggio era stato invece
il ministro Guerini a recarsi in visita in Mali, in compagnia del Capo di Stato maggiore
della difesa, generale Enzo
Vecciarelli e del Comandante del C.O.I. (Comando Operativo di
Vertice Interforze), generale Luciano Portolano. A Bamako la delegazione
italiana aveva incontrato ancora una volta il vicepresidente-colonnello Assimi Goïta e l’allora
segretario generale della Difesa, generale
Souleymane Doucoure, poi ministro per un giorno prima di essere
arrestato anch’egli nel golpe del 24 maggio e successivamente condotto nella base militare di Kati, nei pressi della
capitale, la stessa da cui era partita la sollevazione militare del 18 agosto
2020 contro il presidente Ibrahim Boubacar Keïta.
“L’Italia intende rafforzare la sua presenza in
Sahel, un’area caratterizzata dalla presenza di gruppi terroristici, che si sostengono
economicamente attraverso la gestione di traffici illeciti di ogni genere:
droga, armi, esseri umani, diretti soprattutto verso l’Europa”, aveva
dichiarato il ministro Guerini a conclusione della missione in Mali. “Un’azione
sinergica della Coalizione per il Sahel, dell’UE e dei Paesi, europei e non,
impegnati in questa regione è quanto mai indispensabile per raggiungere quegli
obiettivi di sicurezza necessari alla tutela dei nostri comuni interessi (…) L’Unione
Europea è uno dei principali promotori della stabilità e della sicurezza
dell’intero Sahel, ma il suo impegno può e deve fare un salto di qualità,
integrando lo sforzo nel settore della sicurezza con le proprie capacità di
supporto economico e sociale. La nostra strategia per questa parte del
Continente Africano si sta sviluppando all’interno di un immaginario triangolo,
i cui vertici congiungono quadranti tra loro distanti ma interconnessi: a
sud-ovest c’è il Golfo di Guinea, a sud-est il Corno d’Africa, e al vertice
nord, sulle sponde del Mediterraneo, la Libia”.
Proprio nell’ottica dell’accresciuta attenzione
politico-militare italiana per tutta la regione del nord Africa e della fascia
sub-sahariana, il ministro Guerini e i generali Vecciarelli e Portolano avevano concluso la loro missione
in Mali con una sosta a Gao per un faccia a faccia con le prime unità delle
forze armate italiane impegnate sul campo con la task force internazionale Takuba a “supporto delle forze di
sicurezza locali nel contrasto ai crescenti fenomeni di matrice jihadista nella
zona a cavallo tra i confini di Niger, Mali e Burkina Faso”. Ad accogliere la
delegazione italiana il comandante dell’operazione, il generale francese Philippe Landicheff.
La partecipazione delle nostre forze armate alla task force è stata decisa e
finanziata dal Parlamento il 16
luglio 2020 ma ha preso il via solo nei primi giorni di marzo 2021. Ad oggi
sono top secret le attività militari e le regole d’ingaggio autorizzate; le
uniche informazioni ufficiali sono quelle contenute nella scheda predisposta
dal Servizio Studi del Dipartimento Difesa alla vigilia del voto parlamentare. “La missione si inserisce nel nuovo quadro
politico, strategico e operativo ribattezzato Coalizione per il Sahel, che riunisce sotto comando congiunto la
forza dell’Opération Barkhane a guida
francese e la Force Conjointe
du G5 Sahel, al fine di coordinare meglio la loro azione concentrando gli sforzi
militari nelle tre aree di confine (Mali, Burkina Faso e Niger)”, riporta il Servizio Studi. Lanciata ufficialmente dal presidente
francese Emmanuel Macron nel gennaio del 2020 in occasione del vertice G5 Sahel
di Pau, la Task Force Takuba (Spada in lingua tuareg), oltre a Francia
e Italia vede la presenza militare di Belgio, Danimarca, Estonia, Germania, Grecia, Norvegia, Paesi Bassi,
Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Spagna e Svezia.
Lo schieramento militare italiano in Mali dovrebbe essere completato entro
la fine del 2021: è previsto un numero massimo di duecento soldati, venti mezzi
terrestri e otto elicotteri. Null’altro è specificato relativamente ai reparti
e ai sistemi d’arma che saranno impiegati e sulla loro destinazione operativa
finale, anche se è più che probabile che tra i veicoli terrestri ci saranno i
blindati multiruolo leggeri VTLM Lince prodotti da Iveco Defence di Bolzano e i
fuoristrada Flyer 4×4, mentre la componente aerea dovrebbe includere invece gli
elicotteri NH-90 in funzione di evacuazione medica e assalto dall’aria e A-129D
“Mangusta” per il combattimento aria-terra.
“L’Italia invia dunque in Mali alcuni
dei suoi assetti più pregiati, visto che gran parte del personale impiegato
proverrà dai reparti delle forze speciali delle nostre forze armate, uomini
addestratissimi e rigidamente selezionati”, spiega l’ufficiale dell’Esercito
italiano Matteo Mazziotti
di Celso, collaboratore di Geopolitica.info. “Gli otto
aeromobili che l’Italia metterà a disposizione delle forze francesi, tra
l’altro, rappresenteranno un vero e proprio gioiello nelle mani di Parigi, un
aumento pari a quasi la metà della flotta di elicotteri su cui può contare Barkhane”.
“Le forze speciali della Task Force
sono quotidianamente impegnate in attività di addestramento e assistenza delle
forze locali”, aggiunge Mazziotti di Celso. “L’addestramento si sostanzia nella condotta di
poligoni e di esercitazioni sull’impiego degli strumenti di primo soccorso,
sull’impiego dei principali veicoli militari e sulle tecniche di movimento sul
terreno. Le truppe della Task Force, tuttavia, non si limitano alla fornitura
di assistenza e di addestramento. La missione creata dai francesi, infatti, è
quella di consigliare, assistere ed accompagnare in combattimento le forze armate
maliane. Proprio quest’ultimo compito rappresenta l’attività più
rischiosa per le forze speciali di Takuba. Le forze che Roma ha inviato e
invierà in Mali proverranno prevalentemente dai reparti speciali dell’Esercito
(9° col Moschin, 4° reggimento alpini paracadutisti, 185° reggimento RAO),
della Marina Militare (GOI), dell’Aeronautica (17° stormo incursori) e, forse,
anche dei carabinieri (i paracadutisti del Tuscania)…”.
Una vera e propria missione di guerra
dunque, la cui estrema pericolosità è rilevata dallo stesso analista. “A
giudicare dall’elevato livello della minaccia – Parigi ha subito 55 morti dal
2013, anno in cui ha avuto inizio l’operazione Serval, mentre la Task Force Takuba, in circa un anno di
operazioni, ha subito almeno venti scontri a fuoco – i militari italiani
inviati in Mali potrebbero trovarsi coinvolti in violenti combattimenti con le
forze jihadiste”, ricorda Mazziotti di Celso. “L’impiego dei nostri nella condotta di operazioni
ad alto rischio potrebbe segnare un notevole cambio di passo per le nostre forze,
che da anni si dedicano a tutt’altro tipo di operazioni (…) La rimodulazione
attualmente in atto della nostra presenza militare in Africa, specialmente nel
Sahel, si inserisce infatti a pieno titolo in quello che sembra essere sempre
di più il nuovo focus di Roma verso la regione del Mediterraneo Allargato,
l’area dove si giocano le partite geopolitiche più importanti per il nostro
paese”.
Nessuna parola per chiarire
l’identità degli “interessi italiani” da difendere
con le nuove e pericolose operazioni militari in terre africane. Basta però
dare un’occhiata al quadrante geostrategico per rendersi conto che il bottino
conteso riguarda innanzitutto le immense risorse energetiche del continente
- petrolio e gas - ma anche (in Sahel)
l’uranio per le centrali e le testate nucleari. Per comprendere le cause e le
finalità degli innumerevoli golpe, delle guerre fratricide, delle stragi di
civili e delle missioni di “pace” internazionali in questa martoriata regione
del pianeta non bisogna purtroppo fare grandi sforzi di analisi…
Articolo pubblicato in Africa
ExPress il 25 maggio 2021, https://www.africa-express.info/2021/05/25/colpo-si-stato-a-bamako-i-misteri-che-circondano-la-missione-dei-miliari-italiani/
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