L’Italia si conferma il partner NATO con più bombe nucleari tattiche USA
Gli Stati Uniti d’America hanno ridotto a 100 le bombe nucleari tattiche B61 dislocate in Europa ma l’Italia continua ad essere il partner NATO che ospita il maggior numero di questi ordigni di distruzione di massa, ben 35, nelle basi aeree di Aviano (Pordenone) e Ghedi (Brescia). Lo rende noto l’Istituto di Ricerche Internazionali IRIAD – Archivio Disarmo di Roma dopo la pubblicazione da parte del Bulletin of the Atomic Scientists di una ricerca sulle “Armi nucleari statunitensi”, a cura degli studiosi Hans M. Kristensen e Matt Korda.
Secondo i due esperti, le bombe nucleari USA sono attualmente
presenti in sei basi europee: Kleine Brogel, Belgio (15 B-61); Büchel, Germania (15); Volkel, Olanda (15); Incirlik,
Turchia (20); Aviano (20) e Ghedi (15).
“Tali bombe nucleari tattiche, aviotrasportate e destinate ad
essere eventualmente usate per un conflitto limitato al Vecchio Continente,
erano state dislocate a centinaia nel 1979, in piena guerra fredda, e sono
rimaste a rappresentare l’impegno statunitense a difendere l’Europa dal potente
vicino russo”, commenta il professore Maurizio Simoncelli, vicepresidente IRIAD.
“Nel corso degli anni il loro numero si è ridotto ed anche le basi dove erano
dislocate sono diminuite, al punto che in Gran Bretagna e in Grecia non vi sono
più. Le testate rimangono più numerose però proprio nelle due basi italiane. Se
quella di Aviano è statunitense, quella di Ghedi è della nostra Aeronautica
militare, dotata di cacciabombardieri Tornado IDS del 6º Stormo, che verranno
prossimamente sostituiti dai nuovi F-35E Strike
Eagle preparati appositamente per il trasporto delle B61. Anzi queste
ultime verranno rimpiazzate entro un biennio dalle nuove B61-12, che saranno
dotate di un impennaggio di coda per colpire con precisione l’obiettivo e
potranno essere lanciate a distanza per evitare all’aereo il fuoco difensivo
dalla zona attaccata”.
Le nuove 61-12 sono state prefigurate sia per le esplosioni
al suolo sia in aria con una potenza predeterminabile fra 0,3 e 50 kiloton, consentendo
di colpire gli obiettivi con “minori danni collaterali e minore ricaduta
radioattiva”, come riferito dagli analisti del Pentagono. “La loro evoluzione
tecnologica le rende dunque più facilmente utilizzabili aumentando quindi i
rischi di un conflitto nucleare”, aggiunge il professore Simoncelli. “Appare
pertanto necessario che il governo italiano e le forze politiche affrontino la
scelta di avviarsi verso la rimozione di queste basi e delle relative bombe,
proprio per la sicurezza del nostro paese e dell’Europa, operando in sintonia
con le finalità non solo del Trattato di Non Proliferazione nucleare, ma anche
del recente TPNW Treaty on the
Prohibition of Nuclear Weapons, a cui l’Italia non ha purtroppo aderito e
appena entrato in vigore”.
Secondo quanto riferito l’8 giugno 2020 a Defence New dal responsabile dei programmi
di difesa National Nuclear Security Administration, Charles Verdon, le nuove testate B61-12
sono già state testate con successo dai cacciabombardieri F-15E Strike Eagle, durante l’esercitazione
NATO “Red Flag” tenutasi nel poligono Tonopah in Nevada, nel marzo 2020. “Una
testata non attiva è stata rilasciata da un caccia a circa 1.000 piedi dal
suolo, mentre è stato effettuato anche un test ad un’altitudine maggiore, a
circa 25.000 piedi; in entrambe le prove sono stati colpiti gli obiettivi
designati”, ha riferito l’ufficiale USA.
Per il programma di aggiornamento e
potenziamento delle bombe nucleari tattiche B-61, il Pentagono ha previsto una
spesa comprensiva tra gli 8 e i 9 miliardi d dollari. Esse potranno essere
impiegate oltre che dai cacciabombardieri F-35 ed F-15, anche dagli F-16 e dai
bombardieri strategici B-2 di US Air Force, nonché dai velivoli delle
aeronautiche militari dei partner NATO. Sempre secondo la National Nuclear
Security Administration, la produzione delle B61-12 sarà conclusa negli Stati
Uniti d’America entro la fine del 2022.
Ai test inaugurali in Nevada delle
nuove testate tattiche erano presenti, tra gli altri, i cacciabombardieri F-35A del 32° Stormo dell’Aeronautica italiana di
Amendola (Foggia) “La presenza in Nevada all’esercitazione multinazionale Red Flag ci ha consentito di accrescere e consolidare il ruolo del nuovo velivolo quale enabler fondamentale
in scenari complessi, che includono minacce aeree e terrestri
avanzate”, ha commentato enfaticamente l’ufficio stampa dell’Aeronautica
militare. Una conferma non tanto implicita dell’intenzione dei vertici della
Difesa italiana di assegnare ai costosissimi caccia di quinta generazioni anche
le funzioni di strike nucleare in ambito NATO.
Il 22 gennaio scorso, in occasione dell’entrate
in vigore del Trattato internazionale che proibisce le armi nucleari, il ministro
degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi Di Maio ha emesso
una nota stampa in cui è stata ribadita la totale subordinazione del nostro
paese alle strategie di guerra dei moderni dottor
Stranamore dell’Alleanza Atlantica. “Apprezziamo il ruolo della società
civile nel sensibilizzare sulle conseguenze catastrofiche dell’uso delle armi
nucleari”, ha dichiarato il ministro (uscente), ma “siamo convinti che
l’approccio migliore per conseguire un effettivo disarmo nucleare implichi un
pieno coinvolgimento dei paesi militarmente nucleari laddove invece - dal
momento in cui è stata lanciata l’iniziativa del Trattato per la Proibizione
delle Armi Nucleari - abbiamo assistito ad una crescente polarizzazione del
dibattito in seno alla comunità internazionale”.
“Pur nutrendo profondo rispetto per le
motivazioni dei promotori del Trattato e dei suoi sostenitori - ha concluso Di
Maio - riteniamo quindi che l’obiettivo di un mondo privo di armi nucleari
possa essere realisticamente raggiunto solo attraverso un articolato percorso a
tappe che tenga conto, oltre che delle considerazioni di carattere umanitario,
anche delle esigenze di sicurezza nazionale e stabilità internazionale”.
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