Hotspot di Messina. Il sindaco De Luca ne ordina la chiusura e apre la caccia all’untore nero
Chiudere l’hotspot di Bisconte
non perché è il non luogo – inferno dove privare ogni essere umano dei propri
diritti e della propria dignità, ma perché è “un pericolo per la salute della
cittadinanza” e “una concreta minaccia alla sicurezza e all’ordine pubblico”.
Sono queste le motivazioni dell’ordinanza “contingibile e urgente” che il
sindaco di Messina Cateno De Luca ha emesso oggi 18 luglio per imporre la
chiusura virtual del centro di segregazione dei richiedenti asilo presso l’ex
caserma “Gasparro” dell’Esercito italiano. Con l’atto, il primo cittadino ha anche
ordinato ai Dipartimenti Comunali di “procedere alle necessarie verifiche in
merito al carattere abusivo delle tendo strutture e dei moduli prefabbricati”
all’interno dell’infrastruttura e la “mancanza di conformità urbanistica
necessaria per l’opera”. Esattamente due anni fa Cateno De Luca aveva
“rivelato” l’abusivismo dell’hotspot, ma a ciò non erano seguiti interventi di
alcun genere, nonostante il netto peggioramento delle condizioni di vita dei
migranti “ospiti” a Bisconte e le denunce pubbliche delle associazioni in
difesa dei diritti umani. La solidarietà non è di casa a Palazzo Zanca e così
anche a Messina viene scatenata la caccia all’untore “nero”, fomentando paure e
xenofobia.
L’odierna narrazione del sindaco sull’affaire Bisconte prende avvio da quanto
accaduto la sera del 15 luglio, quando “la Centrale Operativa della Polizia
Municipale veniva allertata da una richiesta di intervento presso il centro Hot
Spot, in supporto delle Forze dell’Ordine, al fine di contenere una rivolta
degli immigrati che, nel tentativo di scappare dalla Caserma, avevano aggredito
le FF.OO. operanti”. Sempre secondo De Luca, “una ventina di migranti erano
riusciti a darsi alla fuga, causando anche il ferimento di un Agente della
Guardia di Finanza”. Mentre nulla viene specificato sulle cause e le ragioni
della “rivolta”, il sindaco scrive di “aver appreso che i migranti che sono
riusciti a darsi alla fuga si trovavano in stato di isolamento per la verifica
dell’eventuale contagio da COVID 19”.
“Quella verificatasi il 15 luglio
2020 non è stata la prima fuga dal centro hot spot e, per fuggire dal luogo di
accoglienza temporanea, i migranti sono ormai soliti scavalcare i muri
perimetrali e riversarsi all’interno delle civili abitazioni poste in
adiacenza, invadendo gli spazi privati ed esponendo i residenti a pericoli e
minacce”, aggiunge De Luca. “Questi ultimi hanno più volte denunciato alle
Forze dell’Ordine le plurime violazioni delle loro proprietà, perpetrate con
violenza e con danno alle cose, senza tuttavia ottenere mai alcuna misura a
tutela della loro incolumità”. Verissime le innumerevoli fughe di chi ha
rischiato di morire nei lager libici o tra i marosi del Mediterraneo non certo per
attendere il fine pena mai in orribili
letti a castello, attaccati uno agli altri. Aassolutamente non vere le
“invasioni” di proprietà private e le “minacce” e i “pericoli” a cui sarebbero
stati esposti i messinesi nei quasi sei anni di vita del casermone-lager di
Bisconte.
Ancora più terroristiche e incredibili
le esternazioni sul “pericolo Covid” che i migranti rappresenterebbero per la
città dello Stretto. “Il rischio di contagio da coronavirus da parte dei
soggetti che si allontanano con violenza dalla ex Caserma Gasparro appare
particolarmente elevato considerato che si tratta di soggetti provenienti da
zone di maggiore diffusione del contagio a causa della scarsa politica
sanitaria attuata nei Paesi di origine ( - Lombardia docet – NdA), della mancanza di controlli prima
dell’ingresso sul suolo italiano e dalla volontaria sottrazione, da parte dei
soggetti fuggiaschi, ai controlli che vengono eseguiti dalle Autorità Sanitarie
locali”, scrive Cateno De Luca. “Considerata altresì la non idoneità della
struttura ex Caserma Gasparro ad ospitare i soggetti migranti che vengono ivi
ricoverati (- sì proprio “ricoverati” si legge nell’ordinanza -); ritenuto
inoltre il pericolo derivante dalla contiguità delle civili abitazioni (…);
preso atto che nella relazione del Dirigente dell’Urbanistica venivano altresì sollevati
dubbi sui requisiti igienico-sanitari regolamentari in merito agli standard
relativi al rapporto mq/utente, per garantire la vivibilità e la permanenza di
persone, ciò anche in considerazione della collocazione dei moduli abitativi,
accostati gli uni a ridosso degli altri, e sprovvisti di idonee aperture per la
ventilazione e l’illuminazione naturale”; ritenuto che l’autorizzazione alla
istallazione dei moduli, richiesta nell’anno 2017 per la durata di anni 2, non
è mai stata rilasciata e che, in ogni caso, la detta autorizzazione, ove anche
fosse stata rilasciata sarebbe ormai scaduta (…), ricorrono pertanto i
presupposti per l’adozione di un provvedimento da parte del Sindaco nella sua
qualità di Massima Autorità Sanitaria Locale e quale Ufficiale di Governo, a
tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico”.
Bontà sua solo nelle ultime note
dell’ordinanza, il sindaco-sceriffo rileva le gravi violazioni con cui impunemente
gli amministratori e gli organi di governo hanno imposto il “confinamento” sicuritario
a centinaia di persone fuggite dalle guerre e dalle catastrofi sempre meno
“naturali”. Incomprensibile come il tutto sia già stato accertato due anni fa e
nessuno, De Luca in testa, abbia poi avvertito il dovere di chiedere il ripristino
dei principi di legalità e il pieno rispetto dei diritti umani. Non importa.
L’allarme Covid-19 è il modo per legittimare colpi di stato bianchi, reprimere
il dissenso e cacciare le vecchie e nuove “streghe”: prima erano i precari
siciliani in fuga dal criminale modello sanitario lombardo, oggi tornano ad
essere i “neri”, malati perché neri, pericolosi perché neri, criminali perché neri. E grazie a super
Cateno, noi bianchi possiamo tornare al mare felici e contenti…
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