Hotspot di Messina-Bisconte. Migranti vittime di un progetto fuorilegge
Ok, prepariamoci ad assistere
all’ennesima sceneggiata ruba-consensi da parte del sindaco di Messina Cateno
De Luca. L’annuncio di voler chiudere il lager-hotspot per migranti realizzato
all’interno dell’ex complesso militare “Gasparro” di Bisconte giunge fuori
tempo massimo e - guarda caso - solo dopo la campagna di terrore (“i
migranti-untori di Covid”), orchestrata da altri politici concorrenti nel
ruba-consenso popolari. Il primo cittadino aveva nelle proprie mani da ben due
anni tutte le carte per far scoppiare il caso hotspot in tutte le sedi
istituzionali, comprese forse anche quelle penali-giudiziarie. Appena eletto,
Cateno De Luca aveva trovato negli uffici comunali i documenti che
evidenziavano presunti “abusi” nelle opere di trasformazione dell’ex caserma in
una vera e propria zinco-baraccopoli per implementare le nuove politiche di
controllo e detenzione di migranti e richiedenti asilo avviate prima con il
ministro Marco Minniti (Pd) e successivamente da Matteo Salvini (Lega). Un
costosissimo intervento infrastrutturale che ha ulteriormente peggiorato le
condizioni di esistenza all’interno del “centro d’accoglienza”, trasformandolo
in un inferno da cui l’unica possibilità di sopravvivere è fuggire.
L’atto che
proverebbe l’abusivismo di baracche e tendostrutture all’interno del
lager-hotspot è stato redatto dal Dipartimento di Edilizia del Comune il 10
maggio 2017 (due mesi prima cioè dell’avvio dei lavori di ampliamento del
centro); reca in calce la firma della direttrice (l’architetta Antonella
Cutroneo) ed è indirizzato alla “Tomasino Metalzinco Srl” di Cammarata,
Agrigento, la ditta vincitrice dell’appalto (con un ribasso di circa il 35,3% rispetto al
valore a base d’asta di 1.932.000 euro) per la
“realizzazione di una struttura temporanea per l’accoglienza dei migranti”
all’interno dell’ex infrastruttura militare. “Sulla scorta della documentazione
prodotta, risulta che l’intervento, proposto ai sensi dell’art. 7 del D.P.R. n.
380/01 lett. b), contrasta con le prescrizioni urbanistiche ed edilizie del
P.R.G. (Piano Regolatore Generale) e del P.P.R. (Piano Paesaggistico Regionale)
Bisconte, ricadendo l’area in
questione in zona V.p.u. – Verde pubblico
e parco urbano”, annota la dirigente Cutroneo, pur dichiarandosi
disponibile ad incontrare i responsabili del progetto congiuntamente
all’architetto Salvatore Parlato, altro funzionario del Dipartimento di
Edilizia del Comune.
A
supporto delle gravi considerazioni espresse, la dirigente allegava una
relazione a firma del tecnico comunale Ignazio Collura, consegnata al
Dipartimento il 9 maggio 2017. “Dall’esame della documentazione trasmessa
emerge che l’area interessata dall’intervento occupa una superficie di circa
3.800 mq all’interno della caserma “Gasparro”, e ricade nel P.R.G. e nel P.P.R.
attrezzature e servizi pubblici o di uso
pubblico, in zona V.p.u Verde
pubblico e parco urbano, art. 22”, riporta il geometra Collura. “L’area
sarà suddivisa in quattro zone, mediante l’utilizzo di recinzioni metalliche
alte metri 2, distinguendosi così una zona destinata agli addetti del cento e
promiscui; una zona alloggi; una zona mensa; un’area tecnologica. Sono previste
opere che riguardano: la sistemazione interna dell’area compresa la recinzione
e la rimozione di un albero del quale si prevede il trapianto in un’altra area
da determinare; lo spostamento del cancello d’ingresso; la collocazione di
prefabbricati per ospitare i migranti costituiti da 22 moduli abitativi; la
collocazione di prefabbricati per servizi (polizia, infermeria, vigilanza portineria,
spogliatoi, docce, w.c….) a singola e doppia elevazione; una tendo-struttura da
adibire a mensa”.
Assolutamente
negativa la valutazione complessiva del progetto. “Si rileva che la
documentazione non risulta adeguatamente supportata da un grafico progettuale
dettagliato”, spiegava il tecnico del Dipartimento di Edilizia. “Si rileva una
incompatibilità del tipo di intervento con la zona di ricadenza del P.R.G., che
comunque prevede il mantenimento delle alberature. Resta da valutare se il tipo
di insediamento rispetta, oltre ai requisiti igienico-sanitari regolamentari,
gli standard relativi al rapporto mq/utente, tale da garantire la vivibilità e
la permanenza di persone”.
Ed è
proprio sul tema “vivibilità” del centro migranti di Bisconte che la relazione
tecnica del Comune esprimeva le sue riserve maggiori. “I moduli previsti in
progetto sono collocati in linea ed accostati uno all’altro, posti lungo il
perimetro dell’area di sedime, adiacenti al muro di confine alto circa 4/5
metri e a distanza di circa metri 1; tale collocazione oltre a non essere
regolamentare, non permette l’areazione dei locali”, spiegava Collura. “I
moduli abitativi sono composti da un monoblocco delle dimensioni di metri 5x6
da 12 posti letto, sprovvisti di idonee aperture per la ventilazione e
l’illuminazione naturale...”.
Opere
dunque in contrasto con le normative urbanistiche e del tutto invivibili per
ogni essere umano. Abbiamo posto, inutilmente, per anni, alcune domande: Chi e
che in modo ha poi autorizzato l’avvio dei lavori? Come mai l’allora sindaco
Renato Accorinti e l’assessore competente ingegnere Sergio De Cola non impedirono
la realizzazione della nuova baraccopoli rilevando l’eventuale abusivismo e la
comprovata violazione degli standard minimi di abitabilità ed accoglienza? Perché
la politica dell’intera amministrazione del tempo si è caratterizzata per
l’assoluta indisponibilità ad ascoltare le denunce degli operatori antirazzisti
sull’insostenibilità e le incompatibilità del progetto di ampliamento del
centro-lager di Bisconte? Perché solo oggi Cateno De Luca riapre la querelle
dell’“abusivismo”, quando la sua amministrazione non è stata in grado di
effettuare alcun intervento di verifica e/o controllo delle reali condizioni di
vita all’interno del centro per migranti?
Un’ispezione nel novembre 2017 da parte di un’equipe di
Borderline Sicilia aveva ampiamente
descritto gli effetti dei nuovi lavori di ampliamento sulla vivibilità e l’agibilità
dei migranti all’interno del Centro di Bsconte. “L’inefficienza
dei lavori risulta ancora più evidente ascoltando i racconti di molti ospiti
del CAS: a causa di forti allagamenti degli spazi in seguito alle recenti
piogge, molti di loro sono stati costretti a dormire su brandine collocate
all’interno di grandi tendoni”, scriveva l’organizzazione non governativa. “La
precarietà organizzativa della struttura è facilmente percepibile sin dal primo
impatto visivo esterno: gli spazi sociali sono nulli, i migranti sono obbligati
a stendere i panni sulla rete divisoria, alcuni dei bagni sono chimici; l’acqua
calda è disponibile solo in pochi momenti della giornata. Inoltre i vestiti e
le calzature vengono distribuiti solamente al momento dell’ingresso e rimangono
i medesimi per l’intero arco dell’accoglienza”.
“Gli
ospiti dell’ex caserma sono, dunque, costretti a sopravvivere quotidianamente
in un limbo di attesa senza data di fine che ha il risultato, se non
l’obiettivo, di incentivare la maggior parte degli ospiti a scappare da
quest’apatia allontanandosi dal centro, complicando sempre di più il percorso
del riconoscimento della protezione e il conseguente percorso di inclusione”,
concludeva l’organizzazione non governativa. “Siamo di fronte ad un circolo che
si autoalimenta e che non fa altro che produrre da un lato irregolarità e
dall’altro odio, xenofobia e pregiudizio. Specchio di questa realtà sono
le diversificate proteste portate avanti sia dai dei residenti del Rione
Bisconte sia dai migranti, che in numerose occasioni hanno provato a far
sentire il proprio malcontento”. Tre anni dopo, quel report di Borderline Sicilia è un macigno contro
l’assoluta ignavia xenofoba dell’intera classe dirigente peloritana.
Articolo pubblicato in Messina Today il 17 luglio
2020, http://www.messinatoday.it/blog/editoriale/centro-migranti-bisconte-hotspot-fuorilegge-abusivo.html
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