Tra “Quelli di Comiso”. Buon compleanno Riccardo…
Caro Riccardo, ci conosciamo da una vita, ma sono quasi
sicuro che se ti chiedessi quando e dove ci siamo incontrati la prima volta, tu
non sapresti cosa dirmi. Eravamo fisicamente tanto diversi e il luogo e il
contesto troppo lontani. Beh, per il tuo compleanno, voglio farti un regalo e
spiegarti come quel giorno ha segnato profondamente la mia vita di giornalista di parte, antimilitarista e
antimafioso.
Comiso, primi di settembre del 1982. Dai primi giorni
d’estate, fresco di semilaurea di Educazione fisica, mi ero trasferito nella
cittadina prescelta dai dottor Stranamore della NATO per fare da base operativa
di 112 missili nucleari Cruise puntati contro i governi “nemici” di Africa e Medio
oriente. Siamo al Campo per la Pace, tante tende e bandiere colorate animate da
giovani pacifisti No Nuke arrivati da
mezzo mondo. “Antonio, c’è un tipo strano all’ingresso che sostiene essere un
giornalista di Messina. Vuole intervistarci. Vedi se lo conosci e ci parli tu”.
Porta occhialini minuti e veste abiti che sarebbero andati bene solo d’inverno in
ben altre latitudini. Nonostante non appaia anziano, si regge su un bastone e porta
un vistoso anello ad un dito. Di certo a Messina non l’ho mai conosciuto. Si
presenta: “Sono Riccardo Orioles e
scrivo per un giornale che ancora non
c’è ma che uscirà il prossimo anno”. Inutile dire che il tizio proprio non mi
piace. Dopo che gli dico essere un’attivista messinese, mi recita un elenco di
volti più o meno noti della sinistra extraparlamentare, tutti miei
concittadini. Poi si corregge, spiega di essere di Milazzo, ma la cosa mi
sembra detta solo per vincere la mia diffidenza. In verità ho pochi dubbi. “I
Siciliani” non li ho mai sentiti nominare e del suo presunto direttore Giuseppe
Fava mi pare averne sentito parlare qualche volta a Catania, ma alla guida di
un giornale locale che sinceramente non avevo mai gradito, preferendogli le
quotidiane letture del Manifesto e Lotta Continua.
Quel Riccardo dal
cognome ignoto sa proprio di sbirro, spia o provocatore, mi dico. E quando
inizia a condurre una sbilenca intervista sul nostro Peace Camp, le mie
risposte sono brevi ed evasive, il tono pungente, finanche arrogante. Sì, lo
trattammo proprio male quell’ometto ficcanaso venuto a farci perdere tempo
proprio alla vigilia dell’avvio dei lavori di costruzione di quella che sarebbe
divenuta la più grande base atomica del Mediterraneo.
Alla fine della marcia internazionale che ci portò da Catania
a Comiso, via Sigonella, Augusta e le basi radar della Sicilia orientale,
qualche giorno dopo la Befana 1983, I
Siciliani di Giuseppe Fava uscirono davvero nelle edicole dell’Isola. Sul
secondo numero, accanto ad una straordinaria inchiesta del suo direttore sui Cavalieri dell’apocalisse mafiosa di Catania,
un bellissimo servizio del Riccardo cuor di leone sui giovani in lotta contro
il delirio nucleare di Reagan e alleati nostrani. “Quelli di Comiso”, mi pare
s’intitolasse. Immortalava perfettamente lo spirito, i sogni, i desideri, le
contraddizioni di quel gruppo variopinto di figlie e figli dei figli di fiori
che avevano invaso la sonnolenta e conservatrice cittadina del ragusano. E che
tanto maleducati e irriverenti erano stati nei tuoi confronti.
Quel mensile mi avrebbe fatto da la scuola di formazione ed
inchiesta sul binomio di morte mafia-militarizzazione, l’interpretazione
maledettamente profetica della Sicilia di fine secolo XX e inizio XXI di Pippo
Fava e dei suoi giornalisti-ragazzi. Inutilmente ho provato a imitarne lo stile
e il racconto. Impossibile. Unico. unico proprio come te Riccardo, maestro di
quasi tutti i veri puntigliosi cronisti di
parte che in questi decenni hanno umilmente provato a dare dignità e senso
ad un mestiere sin troppo spesso servo e complice della borghesia mafiosa e
bellicista siciliana.
Cento di questi giorni, Riccardo. Ti voglio un sacco di bene.
Antonio Mazzeo
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