Scajola, Dell’Utri e lo Stato Parallelo. Quella cena a casa Billè…
Un sistema economico-finanziario-criminale
complesso che opera nell’ombra e sostiene interessi imprenditoriali illeciti coinvolgenti
svariati settori, in cui ciascuno è parte di un tutto e al quale
contribuisce fornendo i propri canali e le proprie conoscenze per ottenere
vantaggi enormi. Poteri forti, fortissimi, una supercupola ove opererebbero in contiguità
ex
uomini di governo, parlamentari, faccendieri, industriali, appartenenti delle forze
dell’ordine, affiliati di mafia e ‘ndrangheta, massoni (alcuni dei quali con un
passato nella P2 di Licio Gelli), dirigenti di punta del complesso militare-industriale,
finanche qualche giornalista professionista. Uno Stato parallelo che secondo la Direzione Investigativa Antimafia di
Reggio Calabria avrebbe dato il proprio sostegno per garantire le fughe e latitanze
dorate all’estero di due ex parlamentari di primo piano del partito azienda di
Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e Amedeo
Gennaro Matacena, “pacificamente vicini ad associazioni mafiose,
rispettivamente siciliane e calabresi”.
“L’intensità e la caratura
degli enunciati rapporti, esaminati soprattutto alla luce delle risultanze
investigative romane, postulano necessariamente una stretta correlazione tra le
due vicende che hanno visto quali protagonisti i due politici, vale a dire quella
della fuga in Libano dell’ex senatore Dell’Utri,
ed il trasferimento a Dubai dell’ex deputato Matacena, ove tuttora - da latitante - risulta dimorare”, riporta
la DIA nella sua informativa sullo Stato
parallelo, redatta il 19 aprile 2018. “Le acquisizioni investigative hanno documentato la sicura esistenza di una
rete di rapporti e basi logistiche in grado di supportare la condizione di
latitanza di soggetti la cui notorietà, per il contesto politico di
provenienza, è tale da richiedere entrature e condivisione di interessi ad alti
livelli. Si è disvelata la piena operatività di un vasto e qualificato numero
di soggetti dedito alla commissione di condotte delittuose di particolare
gravità, alcune contro il patrimonio, finalizzate a schermare la reale
titolarità di imponenti cespiti patrimoniali in capo ad Amedeo Gennaro Matacena, indi volte ad aiutare il predetto a
sottrarsi alla esecuzione della pena a lui applicata…”.
L’informativa
della Direzione Investigativa Antimafia è frutto di un’attività
d’indagine avviata nell’ottobre 2014 e oggi è agli atti del processo che vede
imputato al Tribunale di Reggio Calabria l’odierno sindaco di Imperia, Claudio
Scaloja (pluriministro di Forza Italia negli esecutivi di Silvio Berlusconi tra
il 2001 e il 2010), con l’accusa, appunto, di aver favorito la latitanza di Amedeo Gennaro Matacena, condannato
a tre anni per
concorso esterno in associazione
mafiosa.
“Nell’ambito del presente
procedimento, apprezzabile rilevanza investigativa hanno assunto le complesse
attività tecniche ritualmente autorizzate sia nei confronti di Chiara Rizzo, moglie di Matacena, sia nei riguardi dell’ex
parlamentare Claudio Scajola,
entrambi implicati nelle condotte finalizzate, preliminarmente, a favorire la
sottrazione del Matacena all’esecuzione
della pena disposta dalla Procura Generale presso la Corte di Appello di Reggio
Calabria e, successivamente, ad agevolare il tentativo di trasferimento del
medesimo dall’Emirato di Dubai alla Repubblica del Libano, con lo scopo di
proteggerlo da una possibile estradizione in favore dello Stato italiano”,
riportano gli inquirenti calabresi. “L’apporto concorsuale di Claudio Scajola nel proposito
criminoso di condurre a buon fine le operazioni in favore del Matacena, si è sostanziato nel
contributo logistico e nella consistente e fitta rete di relazioni personali e
fiduciarie posta funzionalmente nella disponibilità dei coniugi Matacena, al fine di tutelare i comuni
interessi di natura economica ed imprenditoriale. Per tale ragione Scajola ha mantenuto frequenti
contatti con Chiara Rizzo,
informandola costantemente in merito agli esiti delle attività dal condotte (…)
che avevano come finalità quella di condurre il citato armatore in un paese sicuro, individuato nella capitale della
Repubblica del Libano”.
L’intermediario
Mister Esse
Un ruolo di particolare rilievo nel progetto
funzionale al trasferimento di Matacena
da Dubai al Libano è stato svolto da Vincenzo Speziali, imprenditore
originario di Melito di Porto Salvo (Rc), domiciliato di fatto a Beirut.
Speziali, in particolare, avrebbe fatto da intermediario tra l’ex ministro Scaloja
ed il referente libanese, l’ex
Presidente Amin Gemayel (a capo della Repubblica del paese dei cedri dal
settembre 1982 al settembre 1988, nonché figlio di Pierre Gemayel, il fondatore
del partito delle Falangi), che “aveva asseritamente offerto le
necessarie garanzie in ordine al rigetto della richiesta di estradizione del Matacena da quel territorio”. Il 29
gennaio 2018 l’imprenditore ha patteggiato davanti al Gup del Tribunale reggino
la pena di 12 mesi di reclusione per aver favorito la latitanza dell’ex
parlamentare forzista.
“Speziali è stato uno degli artefici di tale
trasferimento, assumendo consapevoli condotte finalizzate alla protezione
economica di uno dei più potenti ed influenti concorrenti esterni della
‘ndrangheta reggina”, scrive il GIP del Tribunale di Reggio
Calabria Olga Tarzia, nell’ordinanza di applicazione della misura cautelare
emessa il 2 marzo 2015. “Claudio Scajola, Vincenzo Speziali e altre persone sottoposte ad
indagine divengono funzionali pedine del complessivo sistema criminale, in
quanto in grado di garantire interlocuzioni costanti con apparati istituzionali
e professionali ridondanti in favore del Matacena, schermato dietro persone
giuridiche riconducibili indirettamente alla di lui coniuge Chiara Rizzo (…) È
di tutta evidenza che Vincenzo Speziali
sia al centro di una rete di collegamenti e di interessi fortemente
orientati a garantire l’impunità…”.
Alla base della particolare influenza di Vincenzo
Speziali in quello che la DIA chiama lo Stato
parallelo, la sua appartenenza ad una delle famiglie imprenditrici più
potenti in Calabria; in particolare egli è il nipote, omonimo, di Vincenzo Speziale, il noto
imprenditore originario di Bovalino deceduto nel 2016, già al vertice di un importante
gruppo industriale ed ex dirigente dell’ENI, già alla guida di Confindustria
Calabria e dal 2001 al 2006 presidente della Sacal, la società di gestione
dell’aeroporto di Lamezia Terme. Vincenzo Speziali senior ha pure ricoperto gli
incarichi di membro del consiglio di reggenza della Banca d’Italia e di vicepresidente
della Banca Popolare di Crotone e nel
2008, dopo aver fatto ingresso nella vita politica attiva con il Popolo della
Libertà, era riuscito a farsi eleggere al Senato nella XVI Legislatura.
Determinanti
poi le relazioni privilegiate intrattenute da Vincenzo Speziali junior con gli apparati
istituzionali della Repubblica del Libano, anche grazie al fatto di essere coniugato
con la cittadina libanese Rizk Joumana,
nipote dell’ex presidente Amin Gemayel.
“Lo Speziali ha messo a frutto
compositi ed accreditati rapporti che gli hanno permesso di estendere la sua
rete in Italia con importanti politici nazionali, con appartenenti delle forze
dell’ordine e rappresentanti dell’imprenditoria e con soggetti iscritti alla
vecchia Loggia P2 come Emo Danesi, già
parlamentare Dc, tessera 1916 della loggia massonica diretta da Licio
Gelli, e il faccendiere ed ex giornalista Luigi Bisignani (tessera P2 n. 1689)”, scrive la DIA.
L’imprenditore è stato pure ritenuto artefice
del trasferimento dell’ex senatore Marcello
Dell’Utri a Beirut alla vigilia del pronunciamento della Corte di Cassazione
sulla sua condanna a sette anni di reclusione per associazione mafiosa emessa
dalla Corte d’appello di Palermo. Nella capitale libanese, il 12 aprile 2014
Dell’Utri veniva individuato e catturato grazie alle attività d’indagine
del Centro Operativo DIA di Palermo. “Il rapporto tra Vincenzo Speziali e Marcello
Dell’Utri è consolidato, tanto
da aver generato in un periodo di 18 mesi un intenso flusso telefonico pari a
circa 400 contatti, sintomatico di una buona conoscenza e di rapporti anche nel
lasso temporale immediatamente precedente lo spostamento del politico in Libano”,
annotano gli inquirenti. E come per la latitanza di Amedeo Matacena, anche per
quella di Marcello Dell’Utri avrebbe giocato un ruolo chiave l’ex premier
libanese Amin Gemayel, così come del resto ammesso pubblicamente dal padre-padrone
di Forza Italia, Silvio Berlusconi.
“A seguito delle parole
pronunciate agli organi di stampa dall’ex parlamentare Berlusconi che aveva coinvolto Gemayel nella vicenda della latitanza di Dell’Utri in Libano, la paura e l’irritazione si impadronivano
dell’indagato Speziali che, nel tentativo di affrancarsi da tali
sospetti, si rendeva meno disponibile
a portare a termine l’impegno assunto con Scajola in favore di Amedeo
Gennaro Matacena, ancorché confermerà, attraverso le sue stesse
parole, l’interessamento concreto e reale verso le sorti del citato catturando”,
aggiunge la DIA di Reggio Calabria. Allo scopo di professare la sua totale
estraneità alla vicenda, nel mese di aprile 2014, “ovverosia nel breve
intervallo temporale trascorso tra l’emissione della condanna definitiva, il
susseguente provvedimento di cattura e l’arresto a Beirut del precitato
Marcello Dell’Utri”, Vincenzo Speziali si adopera per chiedere l’intervento del
maresciallo della Guardia di Finanza Ercole
D’Alessandro, in servizio presso il G.O.A. di Catanzaro, affinché interceda presso i suoi colleghi.
“Non è inutile in proposito evidenziare – aggiunge la DIA - che Speziali ha da tempo posto in essere
una campagna stampa intimidatoria, grazie anche al supporto di una
professionista messagli a disposizione dal medesimo apparato cui è riconducibile tale Marcello Trento (soggetto che ufficialmente si occupa di
progettazioni nel campo dell’energia alternativa), sottesa a denigrare e
stigmatizzare in ogni forma l’operato dei Magistrati ed Ufficiali di polizia
giudiziaria che lo hanno sottoposto alla presente indagine ed ai quali non
risparmia invettive ed insulti”.
L’apparato
dell’accoglienza latitanti & C.
Nonostante
il disperato tentativo di Speziali di
allontanare i sospetti su un suo diretto coinvolgimento con la fuga di Dell’Utri, alcune delle conversazioni intercettate
dagli inquirenti hanno confermato “l’interessamento concreto e reale verso le
sorti di Matacena che dal mondo
dorato degli Emirati continua ad usufruire dell’opera di soggetti che in
qualunque modo si impegnavano per trovare soluzioni favorevoli, ivi compresa
l’attivissima moglie, Chiara Rizzo e
l’ex ministro, Claudio Scajola,
che della causa del latitante (Matacena)
ne aveva fatto una questione del tutto personale”. Nelle
intercettazioni telefoniche tra Vincenzo Speziali e Claudio Scajola, annotano gli inquirenti, “il primo non solo si affretta a comunicargli la
fattibilità del piano e l’interesse specifico e diretto di Gemayel nei confronti del Matacena, ma spiega pure tutte le cautele
per rendere impossibile l’individuazione da parte di terzi dell’importante uomo
politico, facendo chiaramente
comprendere che per lo spostamento sono coinvolte più persone a Dubai,
dato, questo, evocativo di una partecipazione che trascende la singola persona
ed è lontana dall’idea che trattasi di un favore personale…”.
“Nei
rapporti tra Speziali e Scajola si coglie l’esistenza di un
patto illecito vissuto in modo del tutto normale fino al momento della vicenda Dell’Utri, anzi si può ben rilevare
come vi sia uno sbilanciamento del primo verso prospettive di favore per il Matacena, ritenuto una figura e un personaggio
meno ingombrante dell’altro politico”, ha scritto il GIP del
Tribunale di Reggio Calabria nel provvedimento cautelare a carico dell’imprenditore
calabrese. “La tesi è che l’idea dell’accoglienza
fosse nelle corde dello Speziali e
che tanto poteva avvenire perché intorno a lui c’era tutto un apparato idoneo a
recepire e preparare situazioni come quelle auspicate dallo Scajola (…) Quello che emerge, per quanto di
interesse, è la certezza di una attività dedicata e specifica in cui lo
Speziali ha un ruolo professionale di accoglienza all’estero di personaggi
discussi cui garantisce la latitanza. Personaggi, che a loro volta
godono di guarentigie e di appoggi qualificati in elevati ambienti
istituzionali e paraistituzionali….”.
La Direzione Investigativa
Antimafia di Reggio Calabria ha ricostruito nella sua informativa del 19 aprile 2018 gli scenari e i contatti che sarebbero
all’origine della Libano connection
poi utilizzata dallo Stato parallelo
per favorire le latitanze dei due ex parlamentari berluscononiani.
Particolarmente utile alle indagini la conversazione intercettata l’8 novembre 2013 nel corso di un procedimento
penale pendente presso la Procura Distrettuale di Roma all’interno del
ristorante capitolino “Assunta madre”,
tra Alberto Dell’Utri, fratello
gemello di Marcello, e l’imprenditore
catanese Vincenzo Mancuso, fratello
dell’ex deputato regionale Pdl Fabio
Mancuso, già maresciallo della Guardia di finanza ed ex sindaco di Adrano,
tratto in arresto nel 2012 nell’ambito di un’inchiesta su presunte frodi
fiscali. “Marcello dieci giorni fa ha cenato a Roma con
un politico importante del Libano, che è stato presidente”, spiegava Alberto
Dell’Utri all’interlocutore. “Il 14 prossimo dovrebbe andare a Beirut. Gennaro conosce questo
personaggio e gli ha detto non ti fidare”.
Gli inquirenti identificarono presto il Gennaro citato nella conversazione con il noto faccendiere Gennaro Mokbel.
“Costui, pseudo imprenditore e pregiudicato dal consistente spessore criminale,
risulta da tempo nelle mire degli investigatori del ROS Carabinieri e della
Squadra Mobile romana”, scrive la DIA. “Protagonista della truffa milionaria Telecom-Sparkle
(Operazione Broker dove ha
riportato la condanna in appello a 10 anni e mezzo), unitamente al consulente milanese di Finmeccanica, Lorenzo Cola ed il commercialista di quest’ultimo, Marco Iannilli, è stato coinvolto
nell’affare Digint, ovvero la
società di cui Lorenzo Cola gli
fece acquistare il 51% per circa 8 milioni di euro, promettendogli affari
milionari una volta che Finmeccanica avesse
riacquistato detta compagine che doveva, nei loro intenti, gestire la sicurezza
del gruppo. In realtà la Digint,
partecipata nel restante 49% da Finmeccanica,
era una scatola vuota finalizzata alla costituzione di fondi neri
esteri. Il progetto criminoso non si è mai realizzato poiché i predetti,
coinvolti nella megafrode da due miliardi di euro ai danni dell’Erario,
verranno poi tratti in arresto nel luglio 2010 dai Carabinieri del ROS. Nello specifico contesto
dell’indagine, al consulente personale del presidente ed amministratore
delegato di Finmeccanica, Pierfrancesco
Guarguaglini, ed alla di lui moglie, amministratore delegato di Selex Sistemi Integrati S.p.A., Marina Grossi,
viene contestato il reato di riciclaggio del danaro (8 milioni di euro circa)
versato da Gennaro Mokbel per
l’acquisto del 51% della Digint S.r.l….”.
All’ombra dell’holding delle
armi Finmeccanica-Leonardo
Gli
inquirenti rilevano altresì come l’inchiesta Broker, coordinata dalla Procura della Repubblica di
Roma, aveva evidenziato il ruolo di Gennaro Mokbel, sostenitore dell’allora senatore del Pdl Nicola Paolo Di Gerolamo (poi condannato a 5
anni di reclusione per l’inchiesta Digint), quale trait-d’union tra la ‘ndrangheta e le società di telecomunicazioni.
“L’attività investigativa ha appurato come il sodalizio criminale abbia
sostenuto la candidatura del citato parlamentare alle elezioni politiche
dell’aprile 2008, in qualità di rappresentante al Senato della Circoscrizione
Estero-Europa, attraverso operazioni di voto irregolari e raccolta di voti tra
emigrati calabresi in Germania, mediata da soggetti messi a disposizione dalla
cosca Arena di Isola Capo
Rizzuto”, scrive la DIA. “Più in dettaglio, si documentava la personale
collaborazione di Mokbel, Marco Iannilli,
Nicola Di Girolamo, Franco Pugliese e delI’avvocato Paolo Colosimo (già
legale di fiducia di alcuni affiliati del clan, in particolare di Fabrizio Arena, genero del Pugliese),
al fine di raccogliere le schede elettorali sulle quali apporre i falsi voti
per l’elezione del Di Girolamo,
in cambio di denaro ed altri beni da cedere al Pugliese, soggetto già sottoposto alla misura della sorveglianza
speciale di P.S., attraverso la fittizia intestazione di un natante di
rilevante valore”.
Il
commercialista Marco Iannilli fu nuovamente arrestato il 19 novembre 2011
dalla Procura della Repubblica di Roma in quanto ritenuto responsabile del
reato di procurata evasione fiscale commessa in favore della Selex Sistemi Integrati, azienda
dell’holding Finmeccanica. Il 10 luglio 2013, lo stesso Iannilli fu invece tratto
in arresto con l’accusa di bancarotta fraudolenta, riciclaggio e interposizione
fittizia a seguito del fallimento della Arc Trade S.r.l., società specializzata in sistemi informatici nel settore della meteorologia. “Dall’esame di siffatte vicende
giudiziarie si evince che Marco Iannilli
è stato tratto in arresto unitamente a Manlio Fiore, il direttore commerciale di Selex S.I., che ha introdotto in azienda ed ha sottoscritto, per
conto della stessa, un contratto di consulenza in favore di Vincenzo Speziali, dopo che quest’ultimo era
stato presentato al Fiore da Marco Forlani, già capo dell’ufficio relazioni internazionali di Finmeccanica”, osserva la DIA. Per la
cronaca, Marco Forlani è figlio dell’ex segretario Dc Arnaldo Forlani, già
presidente del consiglio e più volte ministro in dicasteri chiave quali Difesa,
Esteri, ecc.. Sentito dalla polizia giudiziaria il 3 novembre 2015, l’ex
responsabile relazioni internazionali dell’holding militare-industriale ha
confermato i rapporti di conoscenza con lo Speziali. “Probabilmente
ad introdurlo nella sfera delle mie conoscenze è stato mio fratello Alessandro che conosceva lo Speziali perché appartenente alla
sfera degli ex democristiani”, ha dichiarato Forlani. “Abbiamo organizzato un viaggio in Libano perché,
in un periodo di generale crisi, come società Finmeccanica eravamo molto
interessati ad investire nel mondo arabo, ritenuto inizialmente più
interessante. In Libano ci accolse lo Speziali
che ci invitò a pranzo e poi ci portò a casa di Gemayel per dei saluti. Gemayel
lo vidi una seconda volta a Roma presso l’Hotel Minerva unitamente alla Grossi, Guarguaglini (all’epoca rispettivamente amministratori
delegati di Selex e Finmeccanica, ndr,) e lo Speziali.
L’ultima volta che vidi quest’ultimo è
stato nel mese di novembre 2013 in Finmeccanica
per prendere un caffè e mi rappresentò che Gianni De Gennaro intendeva sostituirmi, cosa
che però non avvenne”.
I mafioneri di Roma Capitale
Riprendendo l’esposizione su
Gennaro Mokbel, la DIA segnala
che nel 2014 questi era stato
sottoposto ad indagine da parte dei Carabinieri del ROS perché “al fine di procurarsi un ingiusto profitto
con altrui danno, mediante violenza e minacce - consistite nel prospettargli di
ucciderlo, nel terrorizzarlo e nel pigliarlo per il collo - poneva in
essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere Marco Iannilli a restituire l’ingente
somma di denaro (circa sette - otto milioni di euro), comprensiva dell’attesa
remunerazione, consegnatagli un anno prima per investirla nell’operazione Digint”. L’evento delittuoso non si
sarebbe poi verificato per l’intervento provvidenziale del boss della Banda
della Magliana Massimo Carminati,
“il quale, su richiesta della vittima, la proteggeva da Mokbel, affinché deflettesse dalle
condotte minatorie e vessatorie”. Dall’ordinanza di custodia cautelare emessa
nell’ambito del procedimento penale noto come Mafia Capitale si evince che Marco Iannilli sarebbe stato il prestanome di Massimo Carminati, tant’é che nel medesimo provvedimento
coercitivo gli viene contestato - in concorso con Carminati stesso – l’elusione delle disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione
patrimoniali. “Massimo Carminati attribuiva
fittiziamente a Marco Iannilli la
titolarità della villa in Sacrofano (Roma), con relativa pertinenza, ubicata in
via Monte Cappelletto”, scrivono gli inquirenti. “Di conseguenza si
deduce che l’alienazione dell’immobile rappresenti in buona sostanza il prezzo
che Iannilli ha dovuto pagare
per ottenere protezione dal Carminati, a
fronte delle minacce patite da parte di Gennaro
Mokbel. Vale nella circostanza precisare che il rapporto tra Carminati e Mokbel risale agli anni ’80, essendo risaputa e comprovata la loro
comune militanza nelle rispettive compagini eversive dell’estrema destra
romana, Nuclei Armati Rivoluzionari ed Ordine Nuovo, nonché la familiarità agli
ambienti criminali ai quali tali formazioni risultavano contigue”.
L’attività investigativa sviluppata
dai Carabinieri del ROS nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale ha pure documentato diversi incontri tra Gennaro Mokbel (in alcune circostanze
insieme alla moglie Giorgia Ricci)
ed i fratelli Marcello ed Alberto Dell’Utri, nel periodo che ha
immediatamente preceduto l’ordine di cattura emesso dalla Corte di Appello di
Palermo nei confronti dell’ex parlamentare di Forza Italia. Si tratta di ben
sette convivi in importanti ristoranti romani tra l’11 novembre 2013 e il 19
febbraio 2014. Nel primo di essi, all’interno della sala privè del ristorante “La Camilluccia” di via Mario Fani, i
ROS hanno segnalato pure la presenza di Gianluigi
Grassi “soggetto già emerso in contatto con Gennaro Mokbel nell’ambito del procedimento Broker”. Ex pilota
di linea, Gianluigi Grassi risulta coniugato con Doreen Ruyondo, sorella di Kwame
Ruyondo, figlio adottivo del generale Caleb Akanwanaho, fratello del Presidente dell’Uganda Yoweri Kaguta Museveni, ininterrottamente in
carica dal 1986. “Il Grassi,
in ragione di siffatta parentela avrebbe favorito l’acquisizione in quel paese
africano, in favore proprio del Mokbel,
di una concessione diamantifera al costo di 1 milione di euro”, spiegano gli
inquirenti.
Un mese prima dell’incontro
tra Morkel, Grassi e i fratelli Dell’Utri, nei giorni 13, 14 e 15 ottobre 2013 Amin Gemayel era in visita in Italia
accompagnato in ogni suo spostamento da Vincenzo Speziali. “Gemayel ha alloggiato presso l’albergo
Eden di Roma ove, nei coincidenti giorni 14 e 15 ottobre 2013, hanno pure soggiornato il noto Marcello Dell’Utri e il banchiere libanese Robert Sursock, residente a Parigi, Presidente
e amministratore delegato di GazPromBank Investment Sal e di Primecorp Finance
SA”, ha accertato la DIA. “La sera del 14
ottobre 2013 Vincenzo Speziali e Amin Gemayel si sono recati a cena
insieme a Marcello Dell’Utri presso l’abitazione romana della signora Constanta Raducanita, nata in Romania e deceduta
nel febbraio 2016, compagna dell’ex parlamentare Giuseppe Salvatore Pizza”.
Originario di Sant’Eufemia d’Aspromonte, già consulente delle società di
comunicazione Carat SpA e Aegis Media Italia SpA di Milano, a partire del 2003 Giuseppe
Salvatore Pizza ha ricoperto l’incarico di segretario nazionale della rinata
Democrazia Cristiana. In precedenza era stato componente della direzione
nazionale e della Giunta esecutiva con le segreterie politiche rette da Arnaldo
Forlani prima e Amintore Fanfani poi. Dopo essersi alleato alle elezioni
politiche del 13 e 14 aprile 2008 con il partito del Popolo della Libertà,
Pizza è stato nominato Sottosegretario di Stato all’Istruzione, Università e
Ricerca Scientifica (in carica dal 12 maggio 2008 al 16 novembre 2011).
Indovina
chi viene a cena a casa Billè…
“A seguito del sopra
riportato incontro del 14 ottobre 2013,
avvenuto presso l’abitazione dell’ex parlamentare Pizza, è stato preliminarmente accertato dall’analisi del traffico
telefonico che l’ex onorevole Claudio
Scajola, nei giorni 16 e 17
ottobre 2013, ha avuto tre colloqui telefonici con l’utenza cellulare in
uso a Vincenzo Speziali”, aggiunge la
Direzione Investigativa Antimafia. “Sicché appare probabile ipotizzare
che lo Scajola si sia incontrato
con lo Speziali, e
verosimilmente con Amin Gemayel,
avendo l’ex onorevole raggiunto la Capitale, con il volo AZ1384 proveniente da Genova, proprio il giorno 15 ottobre 2013, per fare rientro nel
capoluogo ligure, con le medesime modalità, il successivo giorno 16 (…) Appare quindi ragionevole
sostenere che, a seguito dell’avvenuto incontro con Speziali e, ripetiamo, verosimilmente con Amin Gemayel, lo Scajola abbia
nella circostanza ricevuto assicurazioni in merito al possibile trasferimento
del Matacena da Dubai a Beirut,
entrambe definite dall’interlocutore delle grandi Montecarlo. Si
arguisce anche dalle conversazioni captate, che Scajola dovrà nuovamente incontrare i suoi amici libanesi per definire, verosimilmente a cena, i dettagli
dell’operazione”.
L’appuntamento verrà fissato
per il 17 dicembre 2013 presso l’abitazione romana di Sergio Billè, noto pasticcere messinese già presidente della Confcommercio, condannato due anni e mezzo prima in
primo grado a tre anni di reclusione dal Tribunale di Roma per corruzione a
seguito dell’assegnazione del patrimonio immobiliare dell’Enasarco alla Magiste
Real Estate S.p.A. dell’immobiliarista Stefano Ricucci. “È
parere di questo Ufficio che a quest’ultimo appuntamento cui fa riferimento lo Scajola, l’ex Ministro non abbia preso
parte, ancorché un dato significativo, in assenza di un riscontro certo e
documentale del prospettato incontro, viene direttamente fornito dall’agenda
informatica personale dell’ex parlamentare Scajola, gestita dalla sua segretaria Roberta Sacco ed oggetto di sequestro”, riportano gli inquirenti. “In
concreto, tra le numerose mail elettroniche cancellate dalla donna,
tecnicamente e ritualmente recuperate, di apprezzabile interesse investigativo
si era da subito rivelata quella oggetto di cancellazione alle ore 13.45
dell’11 dicembre 2013 in quanto, nell’allegata agenda mensile, in
corrispondenza della giornata di martedì 17 dicembre è riportato: 20.30-Roma Cena Vincenzo/Dell’Utri”.
Agli
atti d’indagine è allegata la testimonianza di Stefano Ricucci, tra i partecipanti alla cena in casa Billè. “Si, conosco Vincenzo Speziali, mi è stato presentato nel 2013, non ricordo il
mese esatto ma ricordo che faceva caldo (presumo settembre/ottobre), da Sergio Billè qui a Roma dopo che
questi erano stati ad un appuntamento con Claudio Scajola”, ha riferito l’immobiliarista nell’interrogatorio
del 25 giugno 2015. “Alla cena fatta il 17 dicembre 2013 c’eravamo io, Sergio Billè con la moglie, Robert Sursock con una donna che lo accompagnava, Giuseppe Pizza. Eravamo circa sei/sette persone. Non ricordo se vi
era anche Emo Danesi. La cena
era stata organizzata da Sergio Billè in
onore di Sursock, che in passato
a me e Billè ci aveva invitato a
cena a Beirut (…) No, non ho mai conosciuto e incontrato Claudio Scajola”.
Dieci giorni dopo il
convivio, gli inquirenti intercettarono una telefonata tra Claudio Scajola e l’amica Chiara Rizzo. “Deve andare dentro un posto dove c’è
Antonio, perché se va lì dentro allora loro direttamente se lo prendono da lì…
Antonio di Montecarlo… Si tiene infatti… il gemello di Antonio…”, diceva
cripticamente la moglie di Matacena al suo interlocutore. “È di tutta
evidenza – conclude la DIA - che i dettagli dell’operazione finalizzata al
trasferimento del latitante, i riferimenti alla sede diplomatica, il gemello di Antonio di Montecarlo (l’ambasciatore
del Principato di Monaco Antonio
Morabito, ndr.) e l’acquisita disponibilità alla realizzazione del piano
di fuga, rappresentino elementi informativi di assoluta rilevanza,
verosimilmente ottenuti dal medesimo Scajola
in occasione di un incontro realizzato con i suoi amici libanesi (Vincenzo
Speziali ndr.), pochi giorni prima rispetto alla riportata conversazione
telefonica…”.
Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 25 febbraio 2019, https://www.stampalibera.it/2019/02/25/dia-scajola-dellutri-e-lo-stato-parallelo-quella-cena-a-casa-bille/?fbclid=IwAR31YZZG8wDmtK2HYQ8U_r6zJt7tVY0EGsVfHXohDJkaaLutOyTd5CUMfY4
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