L'Italia base della Nato flessibile e globale
L’Italia,
ancora una volta, al centro dell’evoluzione strategica dell’Alleanza Atlantica.
Dal prossimo anno il Joint Forces Command (JFC) di Napoli, il comando
strategico alleato interforze in Sud Europa, guiderà la Nato Response Force (NRF), la forza di
pronto intervento di 25.000 militari in grado d’intervenire in poche ore in qualsiasi
area di crisi del pianeta. Una task force iper-specializzata che ha a
disposizione basi, depositi di munizioni e infrastrutture di supporto principalmente
nei paesi Nato prossimi alla frontiera con la Russia, potenza contro cui
Bruxelles intende scatenare altre crociate per la supremazia mondiale. Due anni
fa il quartier generale del JFC Nato è stato trasferito da Bagnoli a Lago
Patria, in una modernissima megainfrastruttura di 85mila metri quadri costata
165 milioni di euro. Vi operano 2.100 militari e 350 civili di 22 paesi
dell’Alleanza: Belgio, Bulgaria, Canada, Danimarca, Estonia, Francia, Germania,
Gran Bretagna, Grecia, Italia, Norvegia, Olanda, Polonia, Portogallo,
Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Turchia, Ungheria e
Stati Uniti d’America. A Lago Patria è stato pure trasferito il distaccamento
dell’Unione europea che sovrintende alle operazioni militari in Bosnia-Erzegovina,
a conferma dell’ormai inestricabile legame tra l’Alleanza Atlantica e l’Ue.
La “nuova” Nato flessibile e
globale ha bisogno di armi sempre più potenti e sofisticate, droni-killer e
sistemi missilistici innanzitutto, ma anche di testate nucleari moderne e pronte
ad ogni uso. Per questo è stato avviato in Europa un programma di
ammodernamento delle testate a caduta libera del tipo B61, novanta delle quali
sono ospitate oggi nelle basi di Ghedi di Torre (Brescia) e Aviano (Pordenone).
Nello scalo bresciano le aree di stoccaggio delle testate sono custodite dal 704th Munitions Maintenance Squadron
(MUNS) dell’US Air Force che in caso di conflitto può armare i velivoli delle
forze aeree italiane e di altri paesi Nato. Le unità nucleari operano alle
dipendenze del 16th Air Force, il comando delle forze aeree Usa in Europa di
stanza ad Aviano con due squadroni con cacciabombardieri F-16 in grado d’intervenire
regionalmente ed extra-area su richiesta del Comando supremo alleato in Europa
(Saceur). La base friulana, dove operano stabilmente oltre 4.000 militari e 594
civili statunitensi, è oggetto di un articolato programma infrastrutturale per un
importo complessivo superiore ai 610 milioni di dollari (“Aviano 2000”). Oltre
alle unità dell’US Air Force, ad Aviano ci sono pure un centinaia tra militari
e contractor nella custodia dei depositi di US Army Africa (USARAF), il comando
per le operazioni terrestri in territorio africano che il Pentagono ha attivato
sei anni fa a Vicenza.
Proprio questa città veneta,
patrimonio Unesco, è stata promossa dal Dipartimento della difesa nella “capitale
dell’esercito statunitense di stanza in Sud Europa”. Con un investimento di 465
milioni di dollari sono stati realizzati nuove, caserme, depositi, centri di
telecomunicazione, ecc.. Il progetto più costoso e devastante dal punto di
vista territoriale ed ambientale ha visto la trasformazione dell’ex aeroporto
civile “Dal Molin” in hub operativo del 173rd Airborne Brigade Combat Team, il
reparto di pronto intervento aviotrasportato dell’esercito Usa, impiegato nei maggiori
scacchieri di guerra mediorientali (Iraq e Afghanistan) e più recentemente in
Africa ed Ucraina. Oggi la nuova infrastruttura di Vicenza ospita i comandi
della brigata e quattro battaglioni, due provenienti dalla Germania e due dalla
storica base militare di Camp Ederle. Anche a Vicenza
il numero dei militari Usa supera le 4.000 unità.
Altri 5.000 militari
statunitensi operano a Sigonella, la maggiore installazione aeronavale Usa e
Nato per gli interventi in Europa orientale, Africa, Medio Oriente e Sud-est
asiatico. Entro un paio d’anni, la base siciliana opererà da vera e propria capitale mondiale dei droni. Da un
lustro i velivoli senza pilota “Global Hawk” di US Air Force decollano da
Sigonella per “sorvegliare” e individuare gli obiettivi da colpire in un’area geografica
che dal Mediterraneo si estende sino all’intero continente africano. Nella base
aeronavale è entrato in funzione un grande centro di manutenzione e riparazione
dei droni di US Air Force e US Navy, compresi i famigerati velivoli killer tipo
“Predator” e “Reaper” utilizzati per bombardare in Medio oriente, Libia, Somalia,
Mali e Congo. Entro il 2017, a Sigonella sarà pienamente operativo pure il
programma Alliance Ground Surveillance
(AGS) della Nato. Il nuovo sistema alleato di “sorveglianza e
riconoscimento” si articolerà su un centro di coordinamento e controllo (con 800
militari provenienti dai paesi dell’Alleanza) e cinque velivoli senza pilota
RQ-4 “Global Hawk” Block 40, versione
più avanzata dei droni Usa.
Sempre in Sicilia, 70 km più
a sud di Sigonella, nel cuore della riserva naturale di Niscemi (Caltanissetta)
è stata completata una delle quattro stazioni mondiali del MUOS (Mobile User Objetive System), il nuovo
sistema di telecomunicazioni satellitari in altissima frequenza della Marina
militare statunitense. Il MUOS metterà in rete centri di comando, controllo e
intelligence, infrastrutture logistiche, le migliaia di utenti mobili come cacciabombardieri, unità navali, sommergibili,
reparti operativi, missili Cruise, aerei senza pilota, ecc., decuplicando la
velocità e la quantità delle informazioni trasmesse nell’unità di tempo. Uno
strumento di guerra e domimino planetario di proprietà ed uso esclusivo del
Pentagono che genererà potenti fasci elettromagnetici con gravissimi effetti
per l’ambiente e la salute degli abitanti di un’ampia area della Sicilia e
pesanti limitazioni perfino sul traffico aereo civile negli scali e nei cieli dell’Isola.
Pubblicato in La città futura il 27 novembre 2014, http://www.lacittafutura.it/italia/l-italia-base-della-nato-flessibile-e-globale.html
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