Il CARA di Mineo vergogna italiana

Il villaggio degli aranci di Mineo (Ct), il mega-centro di semidetenzione per richiedenti asilo e migranti, a quasi un anno dalla sua istituzione, testimonia il completo fallimento del modello di “solidarietà” securitaria del governo Berlusconi-Maroni. È il “non luogo” dove si consuma la spersonalizzazione, dove l’ospite-recluso si “sente atopos, fuori posto, né cittadino né straniero, collocato in un luogo bastardo al confine tra l’essere e il non-essere sociale”. Il CARA di Mineo, isolato ed isolante, è “l’antitesi dell’integrazione e mina la sicurezza del territorio animando scontri e tensioni fra comunità”. A sancire l’ennesima bocciatura del centro di “accoglienza” in cui sono stati deportati manu militari quasi duemila cittadini stranieri presenti in Italia da tempi remotissimi, è il rapporto del Comitato territoriale dell’ARCI di Catania consegnato ad una delegazione di europarlamentari in visita ai lager per migranti della Sicilia.

“Gli ospiti presenti all’interno del centro di Mineo non hanno alcun rapporto con il territorio sia per la conformazione del luogo, ma soprattutto perché non sono stati predisposti gli strumenti necessari a favorire l’integrazione”, denuncia l’avvocato Francesco Auricchiella, responsabile immigrazione dell’ARCI di Catania. “Essi continuano a vivere ai margini, in uno stato di assoluto isolamento culturale e sociale in aperto dispregio di quanto previsto dall’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo”.

Dalla sua costituzione, il 18 marzo 2011, il CARA ha offerto condizioni di vita “prive di contesto e coesione sociale, scollate dalla propria cultura, disorientate nella selva di leggi e di prassi amministrative del tutto ignote agli ospiti per l’assoluta mancanza di qualsiasi forma di mediazione sociale, culturale e di assistenza legale”, scrive l’ARCI. E quasi nulla è cambiato con l’insediamento dell’ente attuatore, la Provincia di Catania (nominata con ordinanza del Presidente del consiglio il 28 giugno scorso), retta da quel Giuseppe Castiglione che è contestualmente coordinatore regionale del Polo delle libertà e uomo di fiducia dell’ex guardasigilli Angelino Alfano.

A Mineo sono state innumerevoli le violazioni dei diritti dei soggetti più vulnerabili, come i minori non accompagnati, le donne vittime di violenza e i nuclei familiari di eritrei, etiopi e somali provenienti dalla Libia, dove sono stati sottoposti a pene inumane e degradanti in diversi centri di detenzione. “Tra queste famiglie c’erano minori nati o vissuti per mesi nelle prigioni libiche”, aggiunge Auricchiella. “Giunti in Italia ed inviati a Mineo, questi soggetti portatori di esigenze particolari, tra cui donne abusate e persone vittime di tortura, non hanno avuto accesso ai servizi di riabilitazione necessari per la rimozione e la rielaborazione dei traumi e delle violenze subiti, quando, invece le direttive dell’Unione europea dispongono che ogni Stato membro deve adoperarsi per attivarli”.

Il rapporto ricostruisce alcuni gravi episodi verificatisi nel centro. Come ad esempio il “trasferimento arbitrario”, nei primi quattro giorni di vita della struttura, di circa 500 richiedenti asilo già ospitati in altri CARA del territorio nazionale. “Persone dalle provenienze più diverse, come nigeriani, pakistani, afghani, che avevano già da mesi fatto istanza per la protezione internazionale e che attendevano l’audizione e la decisione sulla loro richiesta, si sono ritrovati, improvvisamente deportati a migliaia di chilometri di distanza, senza la notifica del provvedimento dalle Questure, con la conseguente impossibilità di ricorrere avverso il trasferimento”. Di contro, al CARA di Mineo non sono state inviate le pratiche dei richiedenti asilo affetti da patologie anche gravi o da disturbi psichici, e ciò ha determinato l’interruzione del ciclo di cure avviato nei centri d’origine.

In piena violazione del diritto di difesa, i cittadini stranieri sono stati trasferiti in Sicilia senza che venissero previamente informati i loro legali. Alcuni di essi, come ad esempio quelli provenienti dal CARA di Bari-Palese, attendevano il pronunciamento del TAR sui ricorsi avversi la decisione di trasferimento dell’Unità Dublino; altri avevano già presentato opposizione ai dinieghi dello status di rifugiato; altri ancora dovevano essere sentiti in commissione nei giorni in cui subivano il trasferimento coatto. “In molti casi – spiega l’avvocato Auricchiella - i richiedenti sono stati dichiarati assenti ed è stato emesso nei loro confronti il provvedimento di diniego”.

È accaduto pure che i documenti relativi alle procedure di riconoscimento della protezione internazionale, avviate in altri CARA italiani, non siano mai arrivati alla nuova Commissione Territoriale competente, con la conseguenza che molti richiedenti che attendevano il colloquio o la decisione finale sin dall’ottobre 2010, si sono visti precedere da chi era giunto in Italia successivamente. A Mineo la Commissione si è insediata solo due mesi dopo l’apertura del centro, e ancora oggi prosegue i propri lavori con eccessiva lentezza. E gli ospiti continuano a lamentare il non rispetto, a parità di status e condizioni di fatto, di alcun criterio logico e cronologico nella disamina delle istanze e nella convocazione per l’audizione. “Essa non si è avvalsa di interpreti competenti, né è stata garantita trasparenza alle procedure per la loro selezione e nomina”, afferma l’ARCI. “Alcuni provvedimenti di rigetto della domanda di asilo (peraltro, resi in italiano e non tradotti) non hanno specificato il foro competente, ma hanno erroneamente indicato, quale Tribunale ove ricorrere, quello del luogo di provenienza, quando, invece, nel caso di Mineo, è competente Catania”.

“Fino all’insediamento dell’ente gestore non risulta che sia stata garantita assistenza legale ai richiedenti asilo e, attualmente, l’assistenza offerta non risulta essere adeguata allo standard richiesto dalla Direttiva 2003/9/CE”, aggiunge il rapporto. Le uniche consulenze in campo legale sono state così quelle fornite da tre operatori dall’UNHCR (l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e da alcune associazioni non governative (ARCI, ASGI e Rete antirazzista catanese) grazie l’allestimento di banchetti informativi all’esterno del campo. “L’ingresso nel centro da parte dei legali è stato molto difficoltoso e alcuni professionisti si sono visti costretti a prestare la propria assistenza fuori su un prato”, scrive l’avvocato Auricchiella. “Non è stata dedicata un’ala ai minori non accompagnati, in attesa dello svolgimento delle procedure di legge, e la nomina dei rappresentanti legali si è protratta per troppo lungo tempo e ha fatto sì che molti minori giunti a Mineo divenissero maggiorenni senza che, nelle more, beneficiassero del percorso di integrazione e formazione che la stessa legge nazionale prevede”.

L’ARCI lamenta la non elaborazione a Mineo di un piano integrato per la programmazione e realizzazione dei servizi connessi con il territorio; né si è previsto di potenziare l’accesso al sistema scolastico o di assicurare risorse aggiuntive all’ASL per rendere efficiente la tutela sanitaria. I richiedenti asilo hanno fruito delle prestazioni sanitarie esattamente come i cittadini stranieri irregolarmente presenti in Italia e privi di tessera sanitaria, mentre al contrario spettava loro il diritto-dovere di accesso in condizioni di parità con i cittadini italiani, come sancito dal testo unico sull’immigrazione.

“La presenza stabile di quasi duemila persone di origine straniera avrebbe dovuto comportare la previsione ed organizzazione di servizi di mediazione linguistico-culturale per l’intera rete dei servizi locali”, conclude il rapporto. “Di questo a Mineo non v’è traccia. Ciò ha creato fra gli ospiti un forte disagio che in alcuni casi è sfociato in rivolte o in veri e propri scontri etnici, con grave rischio per le donne, i minori e gli operatori presenti all’interno del centro”. Quando poi la gestione dei servizi del CARA è stata affidata ad un associazione temporanea di cooperative e imprese e sono giunti i primi “interpreti” e “mediatori culturali”, è accaduto che uno di essi, un cittadino di origini bengalesi, assunto da una coop romana, venisse arrestato dalla squadra mobile di Catania con l’accusa di estorsione per essersi fatto consegnare 400 euro da un connazionale, per fargli ottenere dalla Commissione Territoriale il riconoscimento dello status di rifugiato.

“Le condizioni disumane in cui sono costretti a vivere i richiedenti asilo impongono l’immediata chiusura del CARA di Mineo”, afferma la Rete antirazzista catanese che ha convocato una grande manifestazione regionale, domenica 18 dicembre, davanti all’ingresso del centro. L’iniziativa, promossa congiuntamente con la Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella, LILA, Cobas, Collettivo Red Militant, Cobas antirazzista, Forum Antirazzista e GAPA, vedrà la partecipazione delle realtà di base che lottano contro il razzismo, le guerre e la militarizzazione in Sicilia.Vogliamo che i richiedenti asilo del CARA più grande d’Europa, siano riconosciuti come soggetti umani in cerca di un futuro migliore, non trattati come oggetti parcheggiati a tempo indefinito per favorire il business della pseudo accoglienza”, spiegano gli organizzatori. “Chiediamo che sia garantita la libera circolazione e la regolarizzazione di tutti i migranti, sostenendo la campagna contro la sanatoria truffa del settembre 2009. La Sicilia non deve essere un lager per gli immigrati, né una polveriera di ordigni di morte e di micidiali basi militari USA-NATO”.

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