Uruguay: scoppia uno scandalo per un progetto di cooperazione italiana
Un’inchiesta di un settimanale di Montevideo rivela gravi irregolarità nella gara per l’acquisto di attrezzature sanitarie, grazie a 15 milioni di euro “donati” dal nostro governo. Tra le vincitrici due società italiane di cui sono proprietarie banche e finanziarie. A 5 anni dall’avvio di un programma d’emergenza a favore della popolazione uruguayana, nulla è giunto agli ospedali locali. Di contro per monitorare “l’intervento” c’è chi ha già intascato un milione di euro.
Passa dall’Uruguay l’ultimo degli scandali della malacooperazione. A rivelare le numerose zone d’ombra di un progetto finanziato dal ministero degli Affari Esteri italiano, è un dettagliato rapporto pubblicato dal giornalista Daniel Feldman nell’ultimo numero del settimanale “Voces del Frente” di Montevideo. All’inchiesta è riservata la copertina del periodico dove fa mostra di sé il disegno grafico del noto film “Il Padrino”. Ancora più impattante il titolo, “Salute pubblica. Cosa nuestra o Cosa Nostra?”. Il lungo sommario chiarisce perfettamente di cosa si parli: “Cooperazione italiana di 15 milioni di euro nella mira. Licitazioni con gravi irregolarità. Informazioni filtrate. Lotti con nome e cognome. Violazione della Legge sulla Concorrenza. Accordo tra offerenti. Opinione di esperti ignorata. Chi comanda al Ministero della Sanità?”. Ma è la lettura delle cinque pagine che “Voces del Frente” dedica all’inchiesta, a definire il quadro per nulla edificante di certa “cooperazione in gestione diretta” del nostro paese, dove ingenti risorse pubbliche destinate allo sviluppo, si trasformano in profitti per multinazionali, gruppi finanziari, banche e consulting.
<<La sanità è un settore che implica il confronto tra i più diversi interessi economici; con l’obiettivo di potersi tenere in mano una parte della torta>>, esordisce Daniel Fredman. <<Il tema odierno è un programma di cooperazione del governo italiano per il rafforzamento del sistema sanitario uruguayano, dove secondo alcune delle imprese partecipanti alla licitazione, si starebbero commettendo gravi irregolarità, con il conseguente pregiudizio per lo Stato e in definitiva per gli utenti del sistema di salute pubblica>>. La vicenda prendeva il via il 5 maggio 2003, quando l’allora governo ultraconservatore di Jorge Battle presentava formale richiesta all’Italia con lettera protocollata n. 216/03, per la concessione di aiuti a favore della popolazione uruguayana vittima di una pesante congiuntura socioeconomica. Il successivo 6 ottobre il ministro degli Affari Esteri, Gianfranco Fini, firmava una delibera che disponeva una deroga in favore dell’Uruguay per la concessione di crediti di aiuto nel triennio 2003-2005 per la <<realizzazione di iniziative finalizzate alla lotta alla povertà e a sostegno delle fasce più deboli della popolazione>>. Il 21 novembre 2003, il governo uruguayano sottoscriveva un memorandum con l’Italia, relativo alle <<condizioni e modalità di concessione di un credito di aiuti per 15 milioni di euro a favore di un programma di appoggio al Sistema sanitario pubblico>>. Solo due giorni più tardi il tema era inserito all’ordine del giorno del Comitato direzionale per la cooperazione allo sviluppo (DCGS) della Farnesina, che si esprimeva favorevolmente sul programma. A questo punto l’iter che sino ad allora era stato rapidissimo avvertiva i primi rallentamenti. Solo il 5 luglio 2004 il memorandum veniva approvato con Legge n. 17.788 dalla Camera dei rappresentanti della Repubblica di Uruguay, dopo che il ministro Reinaldo Gargano aveva dichiarato trattarsi <<praticamente di una donazione del governo italiano>>. In realtà il ministero degli Affari Esteri si era limitato a prevedere <<anche componenti a dono, in gestione diretta e multibilaterale, per assistenza tecnica e monitoraggio>> attraverso <<vari esecutori>>. Sorge così, secondo “Voces del Frente”, il dubbio che non siano stati forniti elementi certi sulle condizioni del prestito. L’articolo 2 della legge di ratifica del memorandum afferma infatti che <<Il Ministero dell’Economia e Finanze definirà con la banca italiana Medio Credito Centrale Spa gli aspetti finanziari di esecuzione del Programma, nell’ambito dei termini e delle condizioni stipulati con l’Italia”. Secondo un rapporto interno del ministero della Sanità uruguayano del 7 dicembre 2007, le spese relative alla licitazione pubblica verrebbero coperte <<con finanziamento proveniente da indebitamento esterno, una volta che saranno aperti i crediti dell’anno 2008>>. Nessuna donazione dunque, solo un prestito bancario che accrescerà il debito statale della Repubblica Orientale d’Uruguay.
Una gara tra amici
Molto più allarmanti le modalità di svolgimento delle diverse licitazioni del programma. A partire dalla gara per l’acquisto di attrezzature sanitarie effettuata il 5 dicembre 2006. <<Il bando era stato pubblicato il mese di ottobre – denuncia Daniel Feldman - tuttavia le quantità delle apparecchiature da licitare così come le loro caratteristiche tecniche circolavano ampiamente in alcune imprese internazionali da diversi mesi prima. Ciò ha reso possibile che alcune società partecipassero con certi vantaggi, dato che hanno avuto tempi di preparazione maggiori di altre e incluso hanno potuto incidere con cambi nelle specificazioni a loro favore>>. Ad elaborare le specificazioni tecniche del bando di gara erano stati l’ingegnere Gonzalo Ambrois del ministero della Sanità uruguayano e l’ingegnere Valerio Di Virgilio, in rappresentanza dell’International Management Group (IMG), la consulting prescelta dal governo italiano come controparte del programma di “cooperazione”.
Più concretamente la gara prevedeva la fornitura di 11 lotti, 4 dei quali del tutto “vincolati”, cioè riservati obbligatoriamente all’acquisto di prodotti di origine italiana. Questo in ossequio al testo del memorandum che stabiliva come condizione per il prestito, che perlomeno il 50% dei beni o servizi da acquisire fossero italiani, riservando il resto all’acquisto a livello locale e regionale. Un’imposizione purtroppo sempre più comune nei progetti proposti dai cosiddetti “donatori” internazionali. Ebbene, stando al settimanale, <<gravi irregolarità>> sono state riscontrate in almeno 3 dei lotti attribuiti, quelli contraddistinti dai numeri 1, 2 e 10. Il primo di essi, per un valore massimo di euro 2.980.000, comprendeva la fornitura di 22 ecografi di alta complessità e 70 ecografi portatili. Il lotto 2 (valore 3.480.000 euro) corrispondeva a 46 apparecchiature di radiologia portatile, 12 attrezzature di radioscopia portatile, 8 unità di radiologia con intensificatori d’immagine e 3 unità di radiologia convenzionale. Il lotto 10 (valore 2.120.000 euro) comprendeva una unità di risonanza magnetica e una unità di tomografia. Di questi tre lotti, che insieme raggiungono la somma di 8.580.000 euro (il 57,2% del valore totale del prestito), l’1 e 2 rientrano tra quelli <<vincolati>> all’acquisto di prodotti italiani. E sono proprio questi i più contestati.
<<La questione centrale del lotto 1 – spiega “Voces del Frente” - è che in Italia esiste solo un fabbricante di ecografi, la società ESAOTE, la quale commercializza in forma diretta i suoi prodotti. Inoltre, in questo lotto la licitazione si converte in una farsa. Le “forme” vengono salvate con la presentazione di una seconda offerta da parte dell’impresa INSO, che però si limita a proporre gli stessi ecografi prodotti da ESAOTE. La società che aveva offerto la quotizzazione ad INSO è stata la stessa ESAOTE. INSO è cioè quella che in gergo viene definita una packager; non produce nulla, ciò che fa è di acquistare da differenti fornitori e presentarsi alle licitazioni>>. Se così fosse ci troveremmo di fronte ad un accordo tra due imprese per partecipare nella licitazione a beneficio di una di esse, in violazione delle norme sulla concorrenza prevista dai procedimenti dell’Unione Europea e dalla Legge n. 18.159 di “Promozione e Difesa della Concorrenza” vigente in Uruguay. In realtà più di un dubbio sorge analizzando alcune delle quotizzazioni delle due imprese. Ad esempio, in quella relativa alla fornitura di 14 sonde, le due offerte sembrano essere state elaborate dalla stessa persona: è del tutto identica la descrizione dei modelli e delle loro caratteristiche tecniche, uguale l’importo richiesto (66.000 euro), uguali perfino i caratteri utilizzati per la compilazione del modulo. Uniche differenze, ovviamente, la firma e il timbro delle due società e la data di presentazione: il 30 novembre 2006 quella di INSO e il 5 dicembre 2006 quella di ESAOTE.
Il valore complessivo delle attrezzature offerte da ESAOTE è stato di 2.899.800, 50 mila euro in meno di quanto offerto da INSO. Un margine maggiore si rileva invece relativamente alla voce “servizio tecnico”, la manutenzione annuale delle attrezzature; qui l’offerta di ESAOTE è stata di 275.478 euro e quella di INSO di 436.554. Ciò ha aperto la strada all’aggiudicazione del lotto ad ESAOTE. Stando tuttavia all’autore dell’inchiesta giornalistica, il costo di manutenzione dei 92 ecografi pattuito <<è totalmente sproporzionato e distante dai valori di mercato>>; inoltre non sarebbe coperto dal prestito italiano.
Un poco differente il caso del lotto numero 2, quello relativo alla fornitura di equipaggiamenti radiologici. Stavolta il soggetto aggiudicatario è la stessa INSO di cui sopra, che ha come impresa referente in Uruguay la Intermédica Ltda.. <<Un’impresa quest’ultima – scrive Feldman - senza alcun tipo di precedenti nell’area delle attrezzature radiologiche (i suoi precedenti si riferiscono all’ossigeno medico)>>. Di contro, la ditta esclusa, Tera Ingenerios Srl, rappresentante di Vila Sistemi, <<possiede 30 anni di presenza nel paese, con un ampio numero di attrezzature installate alle quali fornisce pure supporto tecnico>>. Tera Ingenerios aveva poi richiesto per le attrezzature e la loro manutenzione 3.438.140 euro, 670.314 euro in meno della concorrente. In questi casi l’offerta più cara è dichiarata vincitrice solo se ci sono caratteristiche qualitative superiori. Un rapporto della Scuola di Tecnologia Medica dell’Università uruguayana, prodotto su richiesta del ministero della Salute, avrebbe tuttavia dimostrato l’inesistenza di sostanziali differenze qualitative tra le due proposte. Inspiegabilmente però la Commissione aggiudicatrice ha attribuito la commessa alla società italiana che era uscita sconfitta dalla gara per il lotto numero 1.
Infine la gara relativa al lotto 10 che ha visto concorrenti due colossi internazionali, General Electric e Conatel S.A., quest’ultima in rappresentanza della tedesca Siemens. È a Conatel che è stato attribuito il punteggio più alto. General Electric ha però presentato un ricorso per violazione di una norma del bando che prevedeva che l’eventuale rappresentante nazionale di un’impresa straniera dovesse essere iscritta nell’albo delle fornitrici di attrezzature presso il Dipartimento di tecnologia medica del ministero della Sanità. Al momento dell’espletazione della gara, il 6 dicembre 2006, l’autorizzazione di Conatel era scaduta da un anno. Sembra tuttavia che le fu assegnato un termine di 15 giorni per regolarizzare la posizione, cosa che tuttavia non è avvenuto. Secondo “Voces del Frente”, la società si sarebbe limitata a presentare una propria dichiarazione giurata, in cui si faceva riferimento ad una mera richiesta di rinnovo risalente al febbraio 2006. Allegata all’inchiesta del settimanale compare copia della risoluzione a firma della ministra María Julia Muñoz che solo in data 22 agosto 2007, otto mesi cioè dopo l’apertura delle buste, rinnova l’abilitazione al funzionamento dell’impresa come importatrice e distributrice di attrezzature mediche. Ciononostante la commissione non ha escluso Conatel-Seamens, cosa che è stata fatta invece per le stesse ragioni ai danni una seconda società operante in Uruguay, Servimedic. L’intera vicenda appare ancora più intrigata alla luce di una nota emessa il 18 dicembre 2006 dalla direttrice del Dipartimento di tecnologia medica, Ana Pérez, in cui si affermava che Conatel <<s’incontrava abilitata sin dal precedente 5 dicembre>>. Grazie a questa dichiarazione la socia Siemens si è aggiudicata la commessa. Alla stessa Conatel è stato pure attribuito il lotto numero 8, relativo alle attrezzature di odontologia. In questa gara, l’azienda uruguayana era l’unica partecipante. Sì, perché diversamente da come è previsto dalle condizioni generali dei progetti dell’Unione europea affidati alle organizzazioni non governative dove per ogni acquisto superiore ai 5 mila euro sono necessari preventivi di tre fornitori, le licitazioni effettuate in Uruguay sono state considerate valide nonostante la partecipazione di due candidati o meno.
Un affare tra banche
Lo scoop di “Voces del Frente” ha già causato un terremoto all’interno del ministero della Sanità. Intervistata dal quotidiano “La República ”, la ministra María Julia Muñoz ha respinto ogni addebito, affermando che l’inchiesta giornalistica è frutto <<degli interessi privati delle imprese che non sono risultate vincitrici della licitazione>>. La Muñoz ha tuttavia ammesso che l’intero fascicolo sulle licitazioni è finito sotto esamina della Corte dei Conti: <<Se l’alta Corte dovesse esprimere dubbi sul procedimento, esso sarà annullato>>. Come se non bastasse, è stato pure convocato un comitato d’inchiesta parlamentare.
Ciò che sino ad oggi nessuno ha rilevato è l’intrigata rete di banche e finanziarie italiane beneficiatesi dal cosiddetto “progetto di cooperazione allo sviluppo” del Ministero degli Affari Esteri. Medio Credito Centrale, l’istituto inizialmente prescelto per definire gli aspetti finanziari del programma in Uruguay, è controllato in buona parte da Capitalia, holding bancaria fusasi recentemente in Unicredit. Ovviamente è sempre una banca il nuovo soggetto individuato dal MAE per la definizione delle modalità di gestione del credito. Si tratta di Artigiancassa che, nonostante il nome, dal 1994 è a tutti gli effetti una società per azioni che offre finanziamenti alle imprese e il cui controllo è in mano al gruppo francese BNP Paribas attraverso la Banca Nazionale del Lavoro. A risultati ben più sorprendenti si giunge invece analizzando le società italiane in lizza per aggiudicarsi buona parte delle forniture di apparecchiature mediche. ESAOTE, considerata come uno dei maggiori produttori mondiali di sistemi diagnostici e di risonanza magnetica, vanta un giro d’affari annuale di 240 milioni di euro ed opera da vera e propria transnazionale con due poli tecnologici a Genova e Firenze ed impianti in Francia, Germania, Spagna, Olanda, Russia, Cina e Stati Uniti. Fondata nei primi anni ’80 dall’Ansaldo per operare nel settore della produzione di attrezzature per la medicina, dopo il processo di privatizzazioni del gruppo IRI avviato nella seconda metà degli anni ’90, ESAOTE fu acquisita dal gruppo farmaceutico Bracco. Nel gennaio 2006 il 100% della società fu rilevato da un consorzio d’investitori guidato da Banca Intesa e composto da un gruppo di manager della stessa ESAOTE, Imi Investimenti (Gruppo SanPaolo-IMI), Mps Venture (Gruppo Monte dei Paschi di Siena), Banca Carige ed Equinox Investment Company. Quest’ultima ha sede nel paradiso fiscale del Lussemburgo ed opera nel mercato italiano dei fondi di private equity. Ancora una volta sono banche e finanzieri i soci della Company. Innanzitutto Salvatore Mancuso, odierno presidente del Banco di Sicilia, istituto controllato da Capitalia/Unicredit e dalla Regione Siciliana. A seguire, in Equinox ci sono pure Banca Intesa, Fininvest e Pirelli & C..
Presidente del consiglio d’amministrazione ed azionista di minoranza di ESAOTE è il professore Carlo Castellano, già dirigente di Italsider, Itaimpianti ed Ansaldo ed ex consulente degli uffici studi di Pirelli e Mediobanca. Carlo Castellano ricopre pure l’incarico di presidente di Genova High Tech Spa ed è membro del Cda della Camera di Commercio Italia-Russia e del Comitato di reggenza della Banca d’Italia (filiale di Genova), nonché membro della Società Italia-Argentina. Il manager, ex militante del Pci, oggi vicino ai leader liguri del Partito Democratico, nel novembre 1977 fu vittima di un grave attentato da parte delle Brigate Rosse che gli scaricarono addosso il caricatore di un’intera mitraglietta, lasciandolo esanime per strada.
Per quanto riguarda INSO, ci troviamo di fronte ad un’altra società per azioni che opera come prime contractor in progetti di edilizia abitativa o ad alto contenuto tecnologico (impianti industriali, commerciali, farmaceutici ed agroalimentari, ospedali e strutture sanitarie), scuole, porti turistici e ferrovie, e solo in seconda battuta nella fornitura e installazione di attrezzature mediche. INSO ha realizzato complessi ospedalieri in varie regioni italiane (Lombardia, Lazio, Toscana) e nell’area mediterranea e mediorientale (Algeria, Libia, Slovenia, Grecia, Arabia Saudita, Iraq, Cina, Russia e nei paesi dell’ex Unione Sovietica).
Singolarmente la storia di INSO presenta molte analogie con quella della “concorrente” ESAOTE. La società nacque infatti negli anni ’60 come “divisione prefabbricati” del Nuovo Pignone (Gruppo ENI), per operare a favore della rete di vendita di AGIP petroli. Solo successivamente si è passati al settore infrastrutturale. Nel 1994, sempre con il processo di smantellamento e svendita dell’industria a capitale pubblico, INSO e il Nuovo Pignone furono acquisite dalla multinazionale americana General Electric, la stessa che abbiamo incontrato in una delle conteste gare della cooperazione italiana in Uruguay. Poi, nel 2000, INSO passò nelle mani di una cordata guidata dal Gruppo Consorzio Etruria e di cui fanno parte la Cassa di Risparmio di San Miniato e il C.T.C. Consorzio Toscano Costruzioni. Azienda leader del Gruppo Consorzio Etruria è a sua volta la Cooperativa Consorzio Etruria (socia di LegaCoop) che opera prevalentemente in Toscana nel settore costruzioni. Del Consorzio Etruria fanno pure parte il Monte dei Paschi di Siena (già visto tra gli azionisti di ESAOTE), ancora la Cassa di Risparmio San Miniato e la Finec Holding S.p.A., la finanziaria a capo di società operanti nelle più svariate aree economico-commerciali che vede come maggiori azionisti il Gruppo Unipol Assicurazioni e ancora una volta il Monte dei Paschi di Siena. Presidente di INSO è l’ingegnere Massimo Pagnini, contestualmente amministratore delegato del Consorzio Etruria e presidente di Co.e.stra, altra società del gruppo Etruria operante nel settore delle costruzioni. INSO e Co.e.stra fanno parte, insieme alla controllante Consorzio Etruria, del Consorzio Stabile Ergon attivo nel settore delle grandi opere. Tra i più recenti lavori acquisiti tramite Ergon da segnalare la realizzazione del 2° maxilotto del contestatissimo sistema di collegamento viario denominato “Quadrilatero Umbria Marche”, il project financing per la costruzione della bretella autostradale Lastra a Signa-Prato ed alcune nuove stazioni della linea ferroviaria ad Alta Velocità in Toscana. Inutile ogni commento sulla vocazione solidale e internazionalista di ESAOTE, INSO, General Electric e Siemens…
I soliti noti
Qualche perplessità pure sulla scelta di International Mangement Group come fiduciaria del ministero Affari Esteri (MAE) per l’implementazione del programma sanitario in Uruguay. Nato nel 1993 sotto l’egida dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR) e il supporto dell’Ufficio Umanitario della Commissione Europea (ECHO) in vista del piano di ricostruzione post-bellica in Bosnia Herzegovina, IMG è oggi presente un po’ in tutto il mondo. Staff del gruppo operano in particolare in Kosovo, Serbia, Montenegro, Macedonia, Palestina, Libano, Sudan, Somalia, Tanzania, Laos, Afghanistan, Iraq ed Uruguay. Diversissimi i settori d’intervento della consulting: si va dalla valutazione dei danni in caso di conflitto alla ricostruzione delle infrastrutture; dalla fornitura di sistemi per l’energia e le telecomunicazioni al credito alle piccole e medie imprese, ecc.. Un contributo determinante all’espansione delle attività di IMG è stato determinato dall’accordo-quadro sottoscritto nel 2004 con la Direzione generale della cooperazione allo sviluppo del MAE, finalizzato al <<sostentamento e lo sviluppo dei Paesi meno avanzati, anche al fine di promuovere e consolidare i rapporti politici, economici, sociali e culturali tra l’Italia e detti Paesi>>. Grazie all’accordo, a favore di International Management Group sono stati erogati rilevanti fondi pubblici, spesso a discapito delle agenzie dell’Onu e delle organizzazioni non governative. Stando a quanto dichiarato dal gruppo, dal febbraio 2004 esso avrebbe gestito direttamente 470 contratti per un valore complessivo di 522 milioni di euro, fornendo inoltre un supporto tecnico ad altri 2.000 progetti per un totale di 3,9 miliardi di euro. Siamo di fronte cioè ad uno dei maggiori gestori dell’aiuto internazionale allo sviluppo.
Va tuttavia detto che il rapporto fiduciario con il breve governo di centrosinistra si è progressivamente raffreddato, anche a seguito della pubblicazione di contraddittorie notizie sul suo modus operandi. Hanno pesato particolarmente sull’immagine di IMG i “Libri bianchi 2006 e 2007” sulle politiche pubbliche di cooperazione pubblicati dalla “Campagna Sbilanciamoci!” a cui aderiscono decine di associazioni ed organizzazioni non governative italiane. Dopo aver rilevato come nel solo 2006, su un totale di 102 milioni di euro di progetti affidati ad IMG, ben 87 derivavano dal governo o dal Ministero degli Esteri, “Sbilanciamoci!” ha sottolineato come <<più volte in passato questo organismo internazionale ha conosciuto le luci della ribalta, per la verità assai poco edificanti, a causa della totale mancanza di trasparenza nella gestione delle risorse ad esso assegnate…>>. Di International Management Group è stata poi denunciata la spiccata visione “commerciale”: <<Grazie ai finanziamenti pubblici italiani, il gruppo apre a sua volta linee di credito agevolate per le piccole e medie imprese straniere che vogliono acquisire macchinari e tecnologie italiani>>, operando apertamente come <<efficace promozione del made in Italy in molti dei settori chiave dell’imprenditoria italiana>>.
Tra i progetti più controversi affidati dal DGCS-MAE ad IMG, quello relativo all’ampliamento del Policlinico Universitario di Tirana legato all’italiano Istituto Dermopatico dell’Immacolata. Si tratta di un contributo di 10 milioni di euro, <<finanziamento da più parti considerato addirittura illegittimo per diverse ragioni, a cominciare dal fatto che la quantificazione dei costi necessari alla realizzazione del progetto viene demandata all’IMG ad approvazione e finanziamento già avvenuti…>>. Alla stessa consulting, è stato pure affidato il monitoraggio e la valutazione del progetto da loro stessi realizzato.
Recentemente IMG è stato al centro di alcune polemiche per la gestione dell’ospedale pediatrico Avamposto 55 in Darfur, finanziato con fondi del festival di Sanremo e avviato nonostante l’insufficienza di fondi lo renda praticamente inutilizzabile. Incerto anche l’esito di un secondo intervento di International Management Group in Uruguay, realizzato quasi in contemporanea al progetto sanitario. Grazie ad un contributo MAE di quasi un milione di euro, IMG ha coordinato un programma a sostegno del credito a favore delle medie e piccole imprese uruguayane e italiane operanti nel paese sudamericano. La decisione fu formalizzata durante la riunione del Comitato direzionale del Ministero del 13 ottobre 2003. Con delibera n. 141,<<tenuto conto della critica situazione socioeconomica che attraversa attualmente la Repubblica dell’Uruguay, aggravata da una congiuntura che coinvolge le fasce meno favorite della popolazione e vista la richiesta del Governo della Repubblica dell’Uruguay del 5 maggio 2003, trasmessa dalla Rappresentanza italiana in loco il 16 maggio 2003>>, venne concesso ad IMG il finanziamento a dono di euro 400.000 quale componente in gestione diretta del programma per le piccole e medie imprese. In realtà la stessa delibera rimanda ad una successiva dello stesso direzionale, la n. 142, con la quale veniva approvato un secondo finanziamento di euro 592.904, sempre a favore di IMG, per il <<monitoraggio e verifica dell’iniziativa>>. Nella stesa seduta del 13 ottobre, il Comitato direzionale esprimeva parere favorevole alla concessione di un “credito di aiuto” per un importo di 20 milioni di euro a favore dello stesso programma pro-imprese in Uruguay, <<attraverso il sostegno a progetti ad elevato impatto sociale>> e in cui fino al 50% del finanziamento <<potrà essere utilizzato per l’acquisto di beni e servizi locali>>. Un mese più tardi, il 25 novembre 2003, venivano attribuiti ad IMG e all’Organizzazione Panamericana della Salute, le funzioni di assistenza tecnica e monitoraggio del programma sanitario in Uruguay, grazie ad un finanziamento di 934.000 euro. Nel dettaglio, 90.000 euro finivano al “fondo esperti”, 402.000 ad IMG e 442.000 all’OPS. Anche stavolta veniva specificata che la richiesta del programma era giunta dal governo uruguayano il precedente 5 maggio 2003.
Sommando il valore delle tre delibere, IMG intascava per il paese sudamericano 1.394.904 euro. Non poco. Dando però un’occhiata alla pagina Internet della consulting, i conti non tornano. Nella sezione sui progetti realizzati o in fase di realizzazione in Uruguay, dei due progetti a favore delle piccole e medie imprese ne compare uno solo, quello denominato “Credit Lines in support of the SME-s”, corrispondente ad un contributo MAE di 592,904 euro (esattamente quello previsto dalla delibera n. 142), che si dice realizzato in un periodo compreso tra l’1 dicembre 2004 e l’1 dicembre 2007. Compare invece il programma “Credit Lines in support of the Public Health”, (“linee di credito a favore della sanità Pubblica”), con relativo contributo MAE di 402.000 euro per un periodo compreso tra l’1 gennaio 2006 e il 31 dicembre 2007. Il progetto, cioè, che aveva goduto di una corsia preferenziale per le sue caratteristiche di urgenza onde alleviare gli effetti della critica situazione socioeconomica che aveva colpito la popolazione, è stato avviato solo 25 mesi dopo la delibera del MAE. Ammesso che servissero davvero, a quasi cinque anni dall’avvio del programma, nessuna delle attrezzature mediche è stata consegnata agli ospedali uruguayani. Con lo scandalo sui presunti accordi tra le imprese in gara, l’indigesto dono italiano forse non arriverà mai.
Articolo pubblicato in Antimafia Duemila, il 26 febbraio 2008
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