Una sfida avvincente per l’Italia: Nuke über alles

 


Il 22 gennaio 2021 è entrato in vigore il Trattato internazionale TPNW che proibisce il possesso e l’uso di armi nucleari. Una giornata storica che premia le innumerevoli iniziative di mobilitazione dell’International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (Ican) che nel 2017 si è aggiudicata il Premio Nobel per la pace. Il nuovo trattato vieta esplicitamente alle parti di sviluppare, testare, produrre, fabbricare, acquisire, possedere, immagazzinare, usare o minacciare di usare, testate nucleari.

I media e le forze politiche e sociali, specie nel nostro paese, non hanno offerto la necessaria e giusta attenzione all’evento. Anche diverse realtà impegnate contro le guerre e i processi di riarmo e militarizzazione hanno manifestato una certa freddezza per l’entrata in vigore del Trattato no nuke, anche perché ad oggi è stato sottoscritto solo da 86 Paesi e ratificato da 51, nessuno dei quali in possesso di armi nucleari. Di contro, i nove paesi nuclearizzati (Stati Uniti d’America, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Corea del Nord, India, Israele e Pakistan) hanno osteggiato in tutti i modi le conferenze internazionali che hanno condotto all’approvazione e all’entrata in vigore del TPNW.

Le criticità e la fragilità del Trattato che proibisce la produzione e l’uso di armi atomiche sono state indicate dal fisico dell’Università degli Studi di Padova, prof. Alessandro Pascolini, vicepresidente di ISODARCO (la Scuola Internazionale sul Disarmo e la Ricerca sui Conflitti). “Il nuovo trattato vuole essere considerato come punto di partenza morale e legale verso uno sforzo a lungo termine per raggiungere il disarmo nucleare, ma è ancora difficile prevedere l’impatto che il TPNW potrà concretamente avere sui temi cruciali per il controllo degli armamenti e il blocco dell’attuale corsa qualitativa alle armi nucleari”, scrive Pascolini sulla rivista scientifica on line dell’Ateneo padovano. “Il TPNW rappresenta una reazione politico-legale al mancato rispetto, da parte delle potenze nucleari, degli impegni a perseguire rapidamente il disarmo nucleare, come richiesto dall’articolo VI del Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari del 1970 (…) Tuttavia il TPNW pone minime condizioni alle parti che dichiarano il non possesso di armi nucleari e non prevede alcuna forma di verifica o controllo della dichiarazione stessa”.

“Per i paesi con armi nucleari che intendano aderire al trattato sono previste delle procedure che difficilmente potranno essere accettate anche dagli stati che intendano rinunciare ai propri armamenti nucleari, per cui il TPNW è praticamente privo di effetti reali come strumento per il disarmo nucleare, anche perché non mira a creare le precondizioni necessarie per un mondo privo di tali armi”, aggiunge il prof. Alessandro Pascolini. “ll TPNW appare tuttora debole nonostante la sua entrata in vigore: non ha costituito alcuna struttura né prevede forme di verifica e controllo”.

Differente la visione della Rete Italiana Pace e Disarmo, tra le organizzazioni non governative italiane che hanno sostenuto l’International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (Ican). “Il TPNW ha avuto il merito di riattivare percorsi di disarmo ormai da troppo tempo in stallo”, spiega la Rete nello stigmatizzare le politiche di smantellamento dei dispositivi legati al disarmo multilaterale derivate in buona parte “da scelte infauste dell’Amministrazione Trump, con la dissoluzione di Trattati fondamentali sulle armi nucleari come l’INF e il JCPOA e i ritardi sul New START”.

Il TPNW è considerato un passo incoraggiante verso il disarmo dall’Istituto di Ricerche Internazionali IRIAD – Archivio Disarmo di Roma, anche se “restano i rischi di una catastrofe nucleare in quanto sono oltre 14.000 le bombe atomiche dislocate in varie regioni nel mondo, il 90% delle quali negli arsenali di Stati Uniti e Russia, rispettivamente con circa 5.800 e 6.370 testate”.


Grafico sviluppato dalla FAS (Federation of American Scientists) e aggiornato nel maggio 2020:



Da fas.org. Con deployed si intendono le armi pronte all’uso; con stockpilled quelle nei depositi. Infine, con retired quelle in attesa di essere smantellate.


 

Testate nucleari nel mondo – Stime al settembre 2020

N.B.: Per la Russia e gli Stati Uniti nei depositi vi sono altre testate obsolete da smantellare (2.000 circa cadauno), computate nell’inventario totale.
Fonte:
https://fas.org/issues/nuclear-weapons/status-world-nuclear-forces/

 

Tra i più strenui oppositori del Trattato di proibizione delle armi nucleari c’è la NATO che ha formalmente dichiarato incompatibile l’adesione al TPNW con l’appartenenza all’organizzazione e ha ribadito con forza l’importanza e la centralità delle testate per le dottrine militari dell’Alleanza. Una posizione integralmente condivisa dal governo italiano che in occasione dell’entrata in vigore del Trattato, tramite un comunicato a firma del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ha inteso delegittimare i contenuti del TPNW. “Apprezziamo il ruolo della società civile nel sensibilizzare sulle conseguenze catastrofiche dell’uso delle armi nucleari - scrive il responsabile della Farnesina - ma siamo convinti che l’approccio migliore per conseguire un effettivo disarmo nucleare implichi un pieno coinvolgimento dei paesi militarmente nucleari laddove invece - dal momento in cui è stata lanciata l’iniziativa del Trattato per la loro Proibizione - abbiamo assistito ad una crescente polarizzazione del dibattito in seno alla comunità internazionale”.

“Pur nutrendo profondo rispetto per le motivazioni dei promotori del Trattato e dei suoi sostenitori - ha concluso Di Maio - riteniamo quindi che l’obiettivo di un mondo privo di armi nucleari possa essere realisticamente raggiunto solo attraverso un articolato percorso a tappe che tenga conto, oltre che delle considerazioni di carattere umanitario, anche delle esigenze di sicurezza nazionale e stabilità internazionale”.

L’Italia intanto si conferma come il partner NATO che ospita il maggior numero di bombe nucleari tattiche B-61 degli Stati Uniti d’America. Nonostante la dislocazione in Europa di questa tipologia di armi di distruzione di massa sarebbe stata ridotta a un centinaio di unità, trentacinque B-61 sono presenti ancora nelle basi aeree di Aviano (Pordenone) e Ghedi (Brescia). Lo ha reso noto l’IRIAD – Archivio Disarmo di Roma dopo la pubblicazione da parte del Bulletin of the Atomic Scientists di una ricerca sulle “Armi nucleari statunitensi”, a cura degli studiosi Hans M. Kristensen e Matt Korda. Secondo i due esperti, le bombe nucleari USA sono attualmente presenti in sei basi europee: Kleine Brogel, Belgio (15 B-61);  Büchel, Germania (15); Volkel, Olanda (15); Incirlik, Turchia (20); Aviano (20) e Ghedi (15).

“Tali bombe nucleari tattiche, aviotrasportate e destinate ad essere eventualmente usate per un conflitto limitato al Vecchio Continente, erano state dislocate a centinaia nel 1979, in piena guerra fredda, e sono rimaste a rappresentare l’impegno statunitense a difendere l’Europa dal potente vicino russo”, commenta il professore Maurizio Simoncelli, vicepresidente IRIAD. “Nel corso degli anni il loro numero si è ridotto ed anche le basi dove erano dislocate sono diminuite, ma le testate rimangono più numerose però proprio nelle due basi italiane. Se quella di Aviano è statunitense, quella di Ghedi è della nostra Aeronautica militare, dotata di cacciabombardieri Tornado IDS del 6º Stormo, che verranno prossimamente sostituiti dai nuovi F-35E Lighting II preparati appositamente per il trasporto delle B61. Anzi queste ultime verranno rimpiazzate entro un biennio dalle nuove B61-12, che saranno dotate di un impennaggio di coda per colpire con precisione l’obiettivo e potranno essere lanciate a distanza per evitare all’aereo il fuoco difensivo dalla zona attaccata”.

Le nuove 61-12 sono state prefigurate sia per le esplosioni al suolo sia in aria con una potenza predeterminabile fra 0,3 e 50 kiloton, consentendo di colpire gli obiettivi con “minori danni collaterali e minore ricaduta radioattiva”, come riferito dagli analisti del Pentagono. “La loro evoluzione tecnologica le rende dunque più facilmente utilizzabili aumentando quindi i rischi di un conflitto nucleare”, aggiunge il professore Simoncelli. “Appare pertanto necessario che il governo italiano e le forze politiche affrontino la scelta di avviarsi verso la rimozione di queste basi e delle relative bombe, proprio per la sicurezza del nostro paese e dell’Europa, operando in sintonia con le finalità non solo del Trattato di Non Proliferazione nucleare, ma anche del TPNW, a cui l’Italia non ha purtroppo aderito”.

Il programma di aggiornamento e potenziamento delle bombe nucleari tattiche B-61 comporterà una spesa comprensiva tra gli 8 e i 9 miliardi d dollari. Al loro impiego negli scenari di guerra internazionali concorreranno oltre ai nuovi cacciabombardieri F-35, gli F-15E Strike Eagle, F-16 Falcon e B-2 di US Air Force e delle forze armate dei partner.

Non è assolutamente causale che il 10 settembre 2020 sono iniziati proprio a Ghedi i lavori di realizzazione della principale base operativa degli F-35A a capacità nucleare dell’Aeronautica militare italiana. Nello specifico nello scalo bresciano sorgerà un grande hangar di 6.000 mq per la manutenzione dei velivoli e una palazzina (Ops building) che ospiterà il comando e i simulatori di volo. Secondo quanto riportato da Brescia Oggi, l’edificio avrà due corpi di fabbrica, uno convenzionale e l’altro per l’area classificata, ovvero segreta, “con un perfetto isolamento termoacustico al fine di evitare rivelazioni di conversazioni”. Saranno pure costruiti 30 shelter a coppie in 15 hangaretti per le linee di volo in grado di ospitare i cacciabombardieri pronti al decollo, affiancati da una palazzina direzionale e un magazzino. Nella base di Ghedi saranno pure rinnovati le centrali elettriche, i sistemi di trasmissione dati e di telecomunicazione e le infrastrutture di protezione e sicurezza.

Il programma è stato finanziato interamente dal Ministero della Difesa italiano. Un milione e duecentomila euro sono stati spesi per la progettazione (il contratto è stato assegnato alla Proger S.p.A. di Pescara in partnership con lo studio di ingegneria Manens-Tifs di Padova). L’appalto per la realizzazione delle opere è stato affidato invece alla Matarrese S.p.A. di Bari, valore 91 milioni 379 mila e 472 euro. Si tratta dell’azienda dell’omonima famiglia di imprenditori pugliesi fondata dell’ex presidente del Bari Calcio, Vincenzo Matarrese, fratello di Antonio Matarrese, già parlamentare democristiano ed ex presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio. “Noi imprenditori pugliesi non siamo secondi a nessuno e siamo orgogliosi di essere con i tecnici e gli operai dell’impresa in questa difficile ed avvincente sfida”, ha dichiarato l’ing. Salvatore Matarrese, direttore tecnico della SpA., all’avvio dei lavori nella base nucleare di Ghedi. Una sfida avvincente per l’Italia Nuke Uber Alles.

 

Articolo pubblicato in Le Siciliane – Casablanca, n. 67, gennaio-febbraio 2021

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