Falcone colonia di mafia fra Tindari e Barcellona Pozzo di Gotto
Nel
cuore di una delle zone nevralgiche della nuova mafia, una tranquilla cittadina
di provincia che tanto tranquilla non è…
Poteva essere il paradiso. Invece è cemento,
cemento, cemento. A destra ci sono la rocca con le rovine e il santuario di
Tindari e la straordinaria riserva naturale dei laghetti di Marinello. Dalla
parte opposta si scorgono il promontorio di Milazzo e i Peloritani. Di fronte
l’azzurro del Tirreno e nello sfondo, nitide, le sette isole Eolie. Falcone,
cittadina della provincia di Messina con meno di 3.000 abitanti, poteva essere
una delle perle turistiche, ambientali e paesaggistiche della Sicilia. Il
territorio, però, è irrimediabilmente deturpato da orribili complessi
abitativi, alverari-dormitori per i sempre più pochi turisti dei mesi estivi. Del
peggiore, risalente all’inizio degli anni ’80, nessuno ricorda più il nome
originale. Lo si conosce come il “Casermone”, una miriade di miniappartamenti
di appena 50 mq, a due passi dal mare. Vicine alle spiagge sempre più erose
dalle correnti e dalla moltiplicazione di porti e porticcioli sorgono altre
strutture soffocanti e impattanti. Ma alla furia di progettisti e costruttori
non sono scampate neppure le colline, sventrate da strutture talvolta simili a
vere e proprie prigioni per villeggianti.
A colpire ulteriormente il centro abitato e le
frazioni collinari ci hanno pensato pure un terremoto nel 1978 e, l’11 dicembre
2008, l’alluvione generata dallo straripamento del torrente Feliciotto. Gli interventi
post-emergenza hanno fatto il resto: ulteriori colate di asfalto e cemento
senza che mai si mettesse in sicurezza un territorio ad altissimo rischio
idrogeologico, fragilissimo e dissestato. E le speculazioni hanno richiamato la
mafia, quella potentissima e stragista di Barcellona Pozzo di Gotto e delle
“famiglie” affiliate di Terme Vigliatore, Mazzarrà Sant’Andrea e Tortorici. E
Falcone, sin troppo debole dal punto di vista sociale, è divenuta facile preda del
malaffare.
Sin dai primi anni ’70, l’economia agricola e il
vivaismo erano sotto l’assedio della cosca di Giuseppe “Pino” Chiofalo (poi
controverso collaboratore di giustizia). Fu proprio a causa di una tentata
estorsione ai vivaisti falconesi che egli venne arrestato per la prima volta
nel febbraio 1974, unitamente a Filippo Barresi, uno dei suoi più fedeli
affiliati del tempo. Poi l’ecomafia poté ingrassare con i lavori autostradali e
ferroviari, le megadiscariche di rifiuti di ogni genere, i piani di
urbanizzazione selvaggia, i complessi turistico-immobiliari che volevano scimmiottare
il disordinato residence di Portorosa della confinante Furnari. E come
Portorosa, ville e villini di Falcone sono stati utilizzati come rifugio per le
latitanze dorate di boss e gregari di mafia, palermitani e catanesi. Nel comune
hanno risieduto stabilmente criminali e killer efferati, come Gerlando Alberti
Junior, condannato in via definitiva per aver assassinato, nel dicembre del
1985, la diciassettenne Graziella Campagna di Saponara, testimone inconsapevole
degli affari di droga e armi della borghesia mafiosa peloritana.
Ovvio che il territorio
che non poteva restare indenne dalla guerra tra cosche che tra Barcellona e i
Nebrodi farà più di un centinaio di morti tra la fine degli anni ’80 e la prima
metà degli anni ’90. Un bagno di sangue per accaparrarsi appalti e sub-appalti di
opere pubbliche, gestire cave e discariche, cementificare la costa e i torrenti.
Omicidi efferati. Eccellenti. Il 14 dicembre 1987, ad esempio, a Falcone vennero
assassinati Saverio e Giuseppe Squadrito, rispettivamente padre e figlio,
entrambi pregiudicati e vicini alla criminalità barcellonese. Saverio svolgeva
la professione di pescatore, mentre Giuseppe risultava titolare di un’impresa
di bitumi. A giustiziare i due, un commando guidato da Pino Chiofalo, giunto
nel comune tirrenico qualche ora dopo aver consumato a Barcellona Pozzo di
Gotto un altro duplice omicidio, quello di Francesco Gitto, facoltoso
commerciante ai vertici della vecchia mafia del Longano, e Natale Lavorini, suo
dipendente.
Era originario di Falcone Vincenzo Sofia, inteso “Cattaino”,
ucciso il 7 novembre 1991 dopo essere stato sequestrato in un deposito di
materiale inerte di Mazzarrà Sant’Andrea. “L’omicidio fu deciso dal mio gruppo
per rispondere alla morte di Giuseppe Trifirò “Carrabedda””, ha raccontato il
neocollaboratore di giustizia Carmelo Bisognano, già a capo delle “famiglie” di
Terme e Mazzarrà. “Ci eravamo convinti che “Cattaino” fosse vicino ai
Chiofaliani ed avesse svolto la funzione di sorvegliare i movimenti di
“Carrabedda” nel periodo precedente la sua uccisione”. Sofia fu condotto in una
chiesa abbandonata nelle campagne di Novara di Sicilia, dove fu finito con un
colpo di pistola calibro 7.65 sparatogli in fronte. Il corpo fu poi occultato
nel greto del torrente Mazzarrà, in quello che per anni è stato il cimitero
della mafia locale. Il 21 maggio del 1992 fu la volta del falegname Angelo Squatrito
a cadere vittima di un agguato mafioso mentre si trovava al lavoro a Terme
Vigliatore. Domenico Tramontana (grande estortore- gestore di bar e ristoranti
a Portorosa, poi assassinato il 4 giugno 2001) e Filippo Barresi, al tempo
latitanti, lo avevano scambiato per errore per Nicolino Amante, un amico di
Lorenzo Chiofalo, il figlio di don Pino. Il destino di Amante era tuttavia
segnato: verrà assassinato in pieno centro a Falcone diciassette giorni dopo.
Il 5 marzo 1996, ad essere ucciso sul lungomare
cittadino, fu il barcellonese Felice Iannello, precedenti per truffa e
ricettazione e imputato in un procedimento per furto a un deposito di acque
minerali. E originari di Falcone furono pure due vittime di lupara bianca: Francesco
Micari, fatto sparire la notte del 12 febbraio 1991 e Vincenzo Bertilone,
scomparso il 16 maggio 1996.
Il conflitto modificherà l’organigramma delle cosche
locali sino a consacrare leader Santo Gullo. Fu Pino Chiofalo, nei primi anni
’90, a rivelare agli inquirenti l’importanza assunta dal malavitoso falconese. “C’era
la guerra di mafia con i barcellonesi e il nostro clan necessitava sempre più
di armi efficienti e di qualità. Fu quindi per tale ragione che ci portammo a
Lesa, in provincia di Novara, dove risiedeva Filippo Barresi. Costui era in
stretti rapporti con un tale che risiedendo in quelle zone, era ben introdotto
nel giro del grande traffico di armi dalla Svizzera e da altri paesi europei.
Costui è originario di Falcone ed è in stretti rapporti con Rosario Cattafi
personaggio tra i più influenti nel grande traffico di armi e di valuta, dedito
al riciclaggio di denaro a livello internazionale… Se mal non ricordo tale
persona si chiama Santino Gullo e nel suo paese d’origine espletava l’attività
di lattoniere. So che lo stesso mantiene frequenti contatti con personaggi
malavitosi del milanese ove per frequenti periodi ha anche abitato”.
Gullo era legato pure al boss Domenico Tramontana,
insieme a cui fu arrestato nel 1997 per una serie di atti estorsivi perpetrati
ai danni dei gestori del cantiere navale e della piscina di Portorosa. Condannato
in primo grado a 8 anni di reclusione al processo scaturito dall’operazione “Pozzo”
e poi assolto in appello, da qualche mese Santo Gullo ha scelto di collaborare
con la giustizia. “Ho militato nel gruppo dei mazzarroti e ho commesso una
lunga serie di estorsioni ed omicidi”, ha ammesso. “Io ero il responsabile di
Falcone e Oliveri e mi relazionavo con il mafioso barcellonese Carmelo D’Amico”.
Gullo ha pure parlato dei suoi rapporti criminali con il boss di Mazzarrà,
Tindaro Calabrese, e dell’appoggio di quest’ultimo alla latitanza a Portorosa
dei palermitani Salvatore e Alessandro Lo Piccolo, i luogotenenti di Bernardo Provenzano
poi finiti in manette nel novembre 2007.
A sostituire Gullo a capo delle cosche operanti tra
Patti, Montalbano, Falcone e Oliveri, secondo quanto raccontato da Carmelo
Bisognano, ci sarebbe oggi Salvatore Calcò Labruzzo, un allevatore originario
di Tortorici, ma residente – sino al suo arresto nel giugno 2011 - nella
frazione Belvedere di Falcone. “Costui ha due figli, uno di nome Antonino, di
professione veterinario, l’altro di nome Francesco, che dovrebbe svolgere la
professione di ballerino”, ha raccontato Bisognano. “Anche Salvatore Calcò
Labruzzo è stato organico al gruppo dei mazzarroti dal 1989, quando era ancora
in vita Giuseppe Trifirò, detto “Carebbedda”. Quando sono uscito dal carcere,
mi sono accorto che anche costui era in una posizione apicale e si occupava in
particolare di estorsioni, attentati, contatti con i pubblici amministratori. Gullo
e Calcò Labruzzo abitavano e operavano nel medesimo territorio ed erano da
sempre in buoni rapporti. Dunque è stato del tutto naturale che, una volta che
Gullo fu arrestato, il secondo abbia preso il suo posto”.
Bisognano ha pure accennato alle frequentazioni del
tortoriciano con i referenti di punta dei mazzarroti, Tindaro Calabrese e
Ignazio Artino: “Calcò Labruzzo è in posizione sostanzialmente paritaria con Artino.
So che spesso i due si consigliano e che hanno sempre avuto dei buoni rapporti
e li hanno tuttora. Si sono suddivisi il territorio. Volendo fare un esempio,
per ciò che riguarda il campo dell’eolico, Artino si occupa della messa a posto
nei confronti della società Maltauro tramite un ingegnere originario di
Montalbano, il quale si è occupato degli espropri. Salvatore Calcò Labruzzo,
invece, si occupa della messa a posto nei
confronti delle imprese Cannizzo e Gullino, che operano sempre
nell’eolico, in regime di sub-appalto nei confronti della Maltauro”.
L’attivismo di Calcò Labruzzo nel settore del racket
è stato rilevato dalla recente inchiesta “Gotha” sullo strapotere delle cosche
della fascia tirrenica della provincia di Messina. Secondo gli inquirenti, in
concorso con Enrico Fumia, cognato di Carmelo Bisognano, nella primavera del
2008 egli avrebbe imposto il pizzo alla Italsystem Srl di Petralia Sottana, impegnata
nei lavori di consolidamento della strada statale 113, nel tratto tra Patti e
Falcone. Il presunto boss si sarebbe pure interessato al grande affaire dello
smaltimento dei rifiuti. Secondo quanto riferito dal collaboratore Santo Gullo,
fu proprio grazie a Salvatore Calcò Labruzzo che intorno al 2000 egli entrò in
contatto con l’imprenditore barcellonese Michele Rotella, padre-padrone dei
lavori nella megadiscarica dei rifiuti di Mazzarrà Sant’Andrea, condannato qualche
mese fa al processo “Vivaio” a 12 anni per associazione mafiosa. “Calcò
Labruzzo mi spiegò che Rotella era un amico in tutto e per tutto”, ha
raccontato Gullo. Ma stando a Carmelo Bisognano, Santo Gullo e Calcò Labruzzo
avevano posto sotto estorsione anche le aziende interessate ai lavori di
un’altra importante discarica di rifiuti, quella di contrada Formaggiara,
Tripi.
A Falcone, però, si sospetta che Salvatore Calcò
Labruzzo possa aver condizionato pure l’esito delle elezioni comunali del 29 e 30
maggio 2011, che hanno riconfermato sindaco l’avvocato Santi Cirella (ex An e
Forza Italia, poi Mpa), con una coalizione di ex socialisti, Pdl e Udc
(corrente del sen. Giampiero D’Alia). È di questo avviso il candidato a sindaco
sconfitto, il bancario Marco Filiti, presidente del Comitato Rinascita
Falconese, sostenuto elettoralmente da Sel, Fli ed ex Pdl. E lo sono pure i
consiglieri del gruppo d’opposizione Falcone città futura che in un documento
inviato il 3 agosto 2011 al Ministero degli interni e al Prefetto di Messina, affermano
che “da notizie di stampa maturate a seguito di indagini giudiziarie, si è
avuta conferma che elementi che hanno partecipato attivamente e fattivamente
alla determinazione dell’esito elettorale amministrativo, risultano coinvolti
in tali fatti criminali”.
Malavitosi, per lo più sconosciuti agli ambienti
falconesi, avrebbero percorso il paese, casa per casa, per fare incetta di
voti. Alcuni di essi sarebbero stati successivamente riconosciuti nei volti
comparsi sugli organi di stampa del 25 giugno 2011, con gli arresti delle
operazioni antimafia “Gotha” e “Pozzo 2”. “Durante i giorni della campagna
elettorale - dichiara Marco Filiti - ho personalmente segnalato sia alla locale
Stazione dei Carabinieri di Falcone che alla Questura di Barcellona, il
ripetersi di atti vandalici e intimidatori nei nostri confronti, con il
danneggiamento sistematico del nostro materiale elettorale e con la comparsa di
scritte ingiuriose sui nostri manifesti:
il tutto è evidentemente verificabile dagli atti depositati”.
A destare inquietudine, poi, la vicenda di Maria
Calcò Labruzzo, nipote di Salvatore Calcò Labruzzo (è figlia del fratello,
anch’esso allevatore), da anni residente a Milano, ma candidatasi con successo
alle amministrative in una lista pro-Cirella. Con ben 159 presenze, è risultata
la consigliere comunale più votata di tutti i 36 candidati delle tre liste
partecipanti. In paese c’è chi ricorda come Maria Calcò Labruzzo abbia fatto da
madrina al battesimo della figlioletta di uno dei figli di don Salvatore. Il di
lei fratello, Antonio Calcò Labruzzo, il giorno del suo matrimonio, fu invece accompagnato
all’altare dalla moglie del boss. “Il fratello di Maria Calcò Labruzzo è pure
titolare di una ditta che sino a pochi mesi prima le elezioni è stata
beneficiaria di più determinazioni per svariati interventi sul territorio
comunale”, ricorda Rinascita Falconese. Alla stessa azienda furono affidati
direttamente i lavori di ripristino della vecchia strada a mare per circa
60.000 euro, tra i primi provvedimenti adottati nel 2006 dall’allora neosindaco
Cirella. Parte delle opere vennero però eseguite dall’imprenditore di
Castroreale, Salvatore Campanino, cognato del consigliere comunale di
maggioranza Francesco Paratore (ha sposato la sorella). Il Campanino ha pure
eseguito i lavori di demolizione di alcuni fabbricati fatiscenti, affidati per
somma urgenza (valore 31.000 euro) alla cooperativa “Aurora” e di cui sarebbero
soci alcuni familiari dei Calcò. Per la cronaca, Salvatore Campanino è stato
condannato a 8 anni di reclusione al processo “Vivaio” contro le organizzazioni
criminali operanti tra Barcellona, Terme Vigliatore e Mazzarrà Sant’Andrea,
mentre compare tra gli indagati eccellenti del recentissimo procedimento
“Gotha3”, insieme al boss dei boss Rosario Pio Cattafi, Salvatore Calcò
Labruzzo, Tindaro Calabrese, ecc. ecc.
Il sindaco Santi Cirella respinge ogni addebito.
“Del presunto clima elettorale inquinato, i consiglieri di minoranza non hanno
fatto riferimento alcuno né in campagna elettorale, né tantomeno nella fase
post elettorale”, spiega nella querela presentata contro gli estensori del
documento pubblico. “Lo stesso Filiti, nel suo blog, ha ringraziato la
cittadinanza per l’alto senso civico che ha consentito il regolare svolgimento
delle elezioni. Ed è comunque destituito di qualsivoglia fondamento che
l’elezione della signorina Maria Calcò Labruzzo sia stata determinata da
interventi esterni. Persona dotata di alto senso civico, è dottoressa in
giurisprudenza, laureata all’Università Bocconi di Milano, ha superato gli
esami per l’abilitazione alla professione di avvocato e intende cimentarsi nel
concorso in magistratura”.
Per Cirella, la “gestione della cosa pubblica è
stata, sempre, caratterizzata dal massimo rispetto delle norme e ispirata ai
principi di legalità e trasparenza”. “La passata amministrazione - aggiunge - si
è contraddistinta per aver assunto provvedimenti contro la criminalità
organizzata, quali l’adesione nel 2007 al protocollo di legalità Carlo Alberto
dalla Chiesa. L’attuale, invece, come primo atto ufficiale, ha disposto che la
cosiddetta informativa antimafia sia estesa a tutte le gare ad evidenza
pubblica, qualunque sa l’importo delle stesse”.
Rinascita Falconese non è d’accordo e segnala la
possibilità di un conflitto d’interessi tra l’amministrazione e l’attività di
uno dei maggiori imprenditori di Falcone, Sebastiano Sofia. “Dagli atti delle
inchieste in corso emerge con evidenza il ruolo del Bisognano nel favorire
l’assegnazione ad imprenditori amici delle opere di metanizzazione nei comuni
del comprensorio: e proprio in quegli anni il Sofia Sebastiano eseguì tali
interventi non solo a Falcone, ma anche in altri paesi vicini” sottolinea Marco
Filiti.
Dopo le elezioni amministrative del 2011, il figlio,
Giuseppe Sofia, è stato nominato assessore comunale. “Durante la prima
legislatura dell’avvocato Cirella, i più stretti congiunti del Sofia hanno
ricevuto alcune concessioni edilizie, una delle quali, nel febbraio 2009, su
una porzione di territorio collinare della frazione Sant’Anna dichiarata a
rischio di dissesto idrogeologico ed, appena tre mesi prima, evacuata nei
giorni dell’alluvione del dicembre 2008”, segnala Rinascita Falconese. Alla
ditta dei Sofia sono stati affidati pure i lavori di realizzazione del
cosiddetto lungomare per la somma di circa 125.000 euro, circostanza oggetto di
denuncia di nove consiglieri nella scorsa legislatura. “È inoltre notoria
l’amicizia di Sebastiano Sofia con consiglieri e assessori comunali”, aggiunge
il comitato. Alcune foto della scorsa primavera, postate su facebook,
ritraggono in posa e sorridenti il costruttore accanto al padre e al fratello
della neoconsigliere Maria Calcò Labruzzo e all’assessore in carica Giuseppe
Battaglia (delega allo sport, turismo, spettacolo, commercio, settori
produttivi, sviluppo economico ed occupazione), ex vicepresidente del consiglio
comunale di Falcone.
A gettare ombre sulla gestione delle opere pubbliche
ci sono pure i collaboratori di giustizia. Deponendo al processo d’appello
“Sistema” sul tavolino mafioso degli appalti nel barcellonese, Santo Gullo si è
soffermato sulle modalità con cui le imprese di fiducia dei clan vincevano le
gare nei “comuni di riferimento” di Oliveri, Falcone e Mazzarrà. “Parlavano col
tecnico, si mettevano d’accordo con lui… quando non c’era il tecnico si
portavano tante buste e chi vinceva lo dava in subappalto. Poi si facevano
regali sostanziosi ai tecnici comunali”.
Ancora più esplicito l’ex boss Carmelo Bisognano al
processo “Vivaio”. “Ad occuparci degli appalti eravamo io e i barcellonesi Sem
Di Salvo e Maurizio Marchetta”, ha raccontato Bisognano. “Per pilotare alcune
gare, si avvicinavano alcuni funzionari pubblici, come i capi degli uffici
tecnici di Falcone, tale Fugazzotto e di Mazzarrà Sant’Andrea, geometra Roberto
Ravidà”. E sempre relativamente ad Antonio Fugazzotto, responsabile dell’ufficio
tecnico di Falcone dalla seconda metà degli anni ’70, Bisognano ricorda di
averlo raggiunto in ufficio, intorno al 2000, per discutere dell’appalto dei
lavori di canalizzazione delle acque. “Mi sedetti di fronte la sua scrivania e
gli dissi senza mezzi termini che l’appalto doveva essere vinto dall’impresa
Mastroeni Carmelo, riconducibile alla famiglia barcellonese ed a Sem Di Salvo
che mi diede l’incarico di andare dal tecnico comunale. Ovviamente Fugazzotto
acconsentì alla mia richiesta perché conosceva la mia fama di personaggio
autorevole sul territorio”.
Gli inquirenti hanno potuto verificare che la gara
per il rifacimento dei torrenti venne vinta nell’agosto 2002 dall’associazione
temporanea tra le imprese barcellonesi N.C.S. Costruzioni sas (di proprietà di
Santa Ofria, moglie del mafioso Sem Di Salvo) e CO.GE.CAL. srl, con un ribasso
di appena lo 0,2% sull’importo di gara di 471.000 euro. I lavori vennero poi affidati
alla Sud Edil Scavi Srl di Merì, rappresentata da Carmelo Mastroeni, a seguito
delle rinunce delle aziende vincitrici e dopo che la stessa N.C.S. era stata
rilevata dalla CODIM srl di Barcellona Pozzo di Gotto, nella titolarità di Rosa
Carpone, moglie di Carmelo Mastroeni.
“Dopo una prima fase di attrito col sindaco Cirella
in cui venne esautorato con la nomina a responsabile di un tecnico esterno,
dopo la tragica alluvione che colpì Falcone nel 2008, il geometra Fugazzotto è
tornato a fare da regista degli interventi che le imprese hanno messo in opera
durante e dopo l’emergenza alluvionale”, spiega Marco Filiti. La tragedia fu
trasformata da alcune aziende contigue alla criminalità organizzata in
occasione per moltiplicare gli affari. Qualche lavoro finì nelle mani dell’immancabile
Salvatore Campanino (anch’egli arrestato nell’ambito dell’operazione “Gotha3”) o
dell’imprenditore barcellonese Carmelo Trifirò, finito anch’egli in carcere per
associazione mafiosa, ma ciò, secondo il Comitato Rinascita Falconese, “non avrebbe
impedito all’attuale amministrazione di liquidargli le somme richieste per gli
interventi emergenziali”. Nell’ambito dell’inchiesta “Torrente” gli
investigatori hanno avuto modo di accertare che in data 18 dicembre 2008, anche
la ditta individuale facente capo a Nunzio Siragusano è stata assegnataria
dell’esecuzione di lavori di somma urgenza. Nelle carte dei magistrati,
l’imprenditore viene definito “soggetto dai numerosi precedenti giudiziari
sofferti” e dall’“acclarata contiguità alla consorteria storicamente retta da
Bisognano Carmelo”.
L’ultima sorpresa nel piccolo comune tirrenico sa di
squadrette, compassi, cappucci e grandi architetti dell’universo. L’odierno
vicesindaco di Falcone, Pietro Bottiglieri, è risultato appartenere infatti
alla loggia massonica “Ausonia” di Barcellona Pozzo di Gotto, sotto inchiesta
dal 2009 per presunta violazione della legge “Spadolini-Anselmi” che vieta la
costituzione di associazioni segrete. “Gli obiettivi che si prefiggono non
appaiono riconducibili alla conduzione di studi filosofici ed approfondimenti
culturali bensì all’acquisizione ed al consolidamento di posizioni di vertice,
nei contesti professionali e lavorativi in cui operano, ed incarichi presso
strutture sanitarie che forniscono un bacino elettorale a cui attingere di
volta in volta nelle competizioni amministrative e politiche, dietro cui
staglierebbe, quale promotore e artefice ideatore, la figura del senatore
Domenico Nania”, scrivono i magistrati della DDA di Messina nella richiesta di
autorizzazione alla perquisizione della superloggia.
Pietro Bottiglieri, dopo aver prestato servizio
trentennale quale ragioniere del Comune di Falcone, ha espletato il ruolo di
esperto contabile nei Comuni di Terme Vigliatore e Furnari (entrambi poi
sciolti per infiltrazioni mafiose). Infine l’ingresso nella politica attiva,
prima da candidato a sindaco di Falcone nel 2006 e, dopo la sconfitta, da
assessore della prima giunta diretta da Cirella. Con le amministrative 2011, Bottiglieri
è divenuto il braccio destro del sindaco rieletto. Ciò nonostante sia divenuta
pubblica la deposizione di Santo Gullo su un intervento del barcellonese
Carmelo Messina, presunto affiliato al gruppo di Carmelo D’Amico, per comporre
un rapporto estorsivo che le cosche locali intendevano imporre alla tabaccheria
di proprietà dell’odierno amministratore. “Nel 1995 io ed il Calcò Labruzzo
abbiamo avvicinato Pietro Bottiglieri”, ha esordito Gullo. “Egli temporeggiò e
contattò tale Mida Nunzio, soggetto che si occupava di estorsioni ed amico dei fratelli
Ofria… Sem Di Salvo contattò Carmelo Messina e gli disse di comunicare al
Bottiglieri di pagare a me ed a Calcò Labruzzo, dal momento che era sempre la stessa
cosa. Ricordo che Di Salvo disse o a Barcellona o a Falcone non cambia niente,
tanto i soldi vanno a finire sempre alla stessa famiglia”.
“Proprio quest’ultima circostanza evidenzia in
maniera inconfutabile che all’interno della coalizione a sostegno del Cirella
c’è chi è pienamente consapevole del ruolo di primo piano del Calcò nell’ambito
della malavita organizzata” sottolinea Rinascita Falconese. “Abbiamo chiesto all’on.
Rita Borsellino di sollecitare il Prefetto di Messina ad attenzionare con
urgenza la vita amministrativa della cittadina”, spiega il presidente. “L’europarlamentare
ci ha assicurato che il caso-Falcone verrà inserito nel quadro delle iniziative
di Sicilia bene comune. L’unico modo per sottrarre il Comune alla cappa
asfissiante sotto cui attualmente giace è quella di procedere, nel minor tempo
possibile, all’invio di una Commissione prefettizia che accerti le condizioni
per lo scioglimento del consiglio comunale e la decadenza dell’attuale sindaco
per evidenti e costanti infiltrazioni di stampo mafioso nella gestione
dell’amministrazione pubblica”. Con la speranza che a Falcone non si ripeta
quanto accaduto nella vicina Barcellona Pozzo di Gotto, due volte graziata dal
Governo in meno di cinque anni, nonostante i gravissimi rilievi delle
commissioni prefettizie d’inchiesta.
LETTERA APERTA AL GIORNALISTA ANTONIO MAZZEO DEL SINDACO DI FALCONE
Egr. dott. Mazzeo, in riferimento Al Suo articolo dal titolo “Falcone colonia di mafia fra Tindari e Barcellona P.G”, apparso su numerosi siti web, si impongono alcune doverose precisazioni, dettate, soprattutto, dalla vasta eco assunta dalla vicenda e dai commenti acriticamente negativi che pretendono far passare l’Amministrazione Comunale di Falcone come liberticida e para-mafiosa.
Per leggere il testo integrale della lettera aperta:
http://www.scomunicando.it/dal-palazzo/il-caso-mazzeo-lettera-aperta-al-giornalista-da-parte-del-sindaco-di-falcone
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