Basi di guerra da Nord a Sud. L’Unità d’Italia rifatta dalla Nato
L’ultima missione di spionaggio sui cieli dell’Europa dell’Est è stata tracciata dai radar lo scorso 14 ottobre. Un Gulfstream E.550 CAEW del 14° Stormo dell’Aeronautica militare italiana dopo essere decollato dallo scalo romano di Pratica d Mare ha raggiunto prima i confini della Polonia con l’Ucraina e poi quelli con l’enclave russa di Kaliningrad. Un’operazione ormai di routine da quando le forze armate di Mosca hanno invaso l’Ucraina. Il velivolo in dotazione ai reparti di volo italiani aveva fatto il suo debutto nelle aree di conflitto l’8 marzo 2022 con una missione d’intelligence nello spazio aereo della Romania fino ai confini con Moldavia e Ucraina e le sempre più agitate e militarizzate acque del Mar Nero. Da allora i Gulfstream E.550 di Pratica di Mare sono uno degli attori più richiesti dai comandi NATO che coordinano le operazioni aeree di sorveglianza e “contenimento” dei reparti di guerra della Federazione russa in territorio ucraino.
Basati sulla piattaforma del
jet sviluppato dall’azienda statunitense Gulfstream Aerospace, appositamente
modificato e potenziato dalla israeliana Elta Systems Ltd. (società del gruppo
IAI), i velivoli in dotazione all’Aeronautica italiana non sono semplicemente
dei “radar volanti”, ma possiedono anche compiti di “gestione” delle missioni
alleate nei campi di battaglia e di disturbo delle emissioni elettroniche
“nemiche”. “Gli aerei CAEW hanno
funzioni di sorveglianza aerea, comando, controllo e comunicazioni, strumentali
alla supremazia aerea e al supporto alle forze di terra”, spiega lo Stato
maggiore dell’Aeronautica. “In altre parole, essi sono un assetto di
straordinario valore sia per l’Italia che per la NATO per conseguire quella che
è definita come Information Superiority, cioè il vantaggio che deriva
dall’abilità di raccogliere, processare e trasferire un flusso ininterrotto di
informazioni mentre si impedisce al nemico di poter fare lo stesso”.
Non sono solo i sofisticati e costosissimi aerei di produzione
israelo-statunitense a consolidare il ruolo di cobelligerante dello scalo
militare di Pratica di Mare nel sanguinoso conflitto russo-ucraino. E’ da qui
infatti che decollano con sempre più frequenza i velivoli cisterna KC-767A dell’Aeronautica
utilizzati per il rifornimento in volo dei cacciabombardieri italiani e NATO
impiegati nella Air Policing Mission
anti-russa nello spazio aereo di Polonia, Romania, Bulgaria, Ungheria e delle
Repubbliche baltiche. Velivoli cargo dello stesso tipo vengono impiegati da
Pratica di Mare anche per trasportare i sistemi d’arma “donati” dal governo
italiano alle forze armate ucraine e gli uomini, i mezzi pesanti e gli
armamenti destinati ai battaglioni di pronto intervento che la NATO ha
insediato a mò di tenaglia alle frontiere occidentali di Russia e Bielorussia
(attualmente i reparti italiani d’élite dell’Esercito sono presenti in
Ungheria, Bulgaria e Lettonia).
Ma in Italia non c’è solo Pratica di Mare a fare da trampolino di lancio
degli assetti aerei impiegati nella pericolosa escalation bellica in Europa
orientale e nel Mar Nero. Dalla stazione aeronavale di Sigonella, in Sicilia, con
cadenza ormai quotidiana e fin da prima dell’aggressione russa del 24 febbraio
scorso, decollano i droni d’intelligence AGS della NATO e “Global Hawk” di US
Air Force e i nuovi pattugliatori marittimi P8A “Poseidon” di US Navy e delle
forze aeronavali di Australia e del Regno Unito. Anch’essi ricoprono le stesse
rotte fino ai confini con il territorio
ucraino, rumeno, bulgaro e moldavo, per
operazioni di intelligence e ricognizione. Così come avviene con i CAEW Gulfstream di Pratica di Mare, i
dati sensibili raccolti dai “Poseidon” e dai droni USA e NATO di Sigonella
vengono messi a disposizione delle forze armate di Kiev per pianificare le operazioni
contro l’invasore russo. Sono cioè una
specie di occhio e orecchio non poi tanto segreto contro le
manovre dell’esercito di Mosca e una sorta di consigliere-guida della controffensiva ucraina che ha già
consentito di ottenere sul campo rilevanti “successi” sugli avversari.
Questi
velivoli hanno pure moltiplicato gli interventi nel Mediterraneo orientale in
prossimità del porto di Tartus, Siria, utilizzato per le soste tecniche della
flotta militare russa. In
particolare proprio un pattugliatore P-8A di US Navy è stato protagonista di
quella che, per il valore politico-simbolico ma soprattutto per le conseguenze
in termini di vite umane, ha rappresentato una delle azioni di guerra più
significative e drammatiche del conflitto: l’affondamento
dell’incrociatore russo Moskva
a largo di Odessa, mercoledì 13 aprile, presumibilmente dopo essere stato
colpito dai militari ucraini con uno o più missili
anti-nave. Sono ancora fittissimi i misteri sulle dinamiche e sulle
unità protagoniste dell’attacco, così come è ancora ignoto il numero delle
vittime. E’ tuttavia certo che l’operazione militare contro la nave ammiraglia
russa nel Mar Nero è stata “monitorata” e registrata a poche miglia di distanza
da un “Poseidon” statunitense decollato dalla stazione aeronavale siciliana.
Il
sempre più evidente coinvolgimento nella guerra fratricida Russia-Ucraina di
alcune delle principali basi ospitate in territorio italiano si accompagna al
colpo di acceleratore che le forze armate nazionali, USA e NATO hanno dato ad
alcuni programmi (vecchi e nuovi) di ampliamento e potenziamento del
dispositivo bellico. Dalle Alpi al Canale di Sicilia non c’è comando, centro
radar e telecomunicazione, aeroporto e scalo portuale che non ospiti o stia per
stia per ospitare milionari cantieri infrastrutturali. La NAS – Naval Air
Station di Sigonella è forse l’esempio più eclatante: per ospitare i nuovi
pattugliatori “Poseidon” sono state realizzate alcune aree di parcheggio e un
maxi-hangar con annesso centro di manutenzione del costo di 26,5 milioni di
dollari, inaugurato ufficialmente a metà gennaio 2022.
Nella
base siciliana è divenuto pienamente operativo l’AGS - Alliance
Ground Surveillance, il sistema avanzato di sorveglianza terrestre e
intelligence dell’Alleanza Atlantica basato su cinque grandi velivoli senza
pilota RQ-4 “Phoenix” realizzati dal colosso aerospaziale Northrop
Grumman. Questi nuovi droni sono lunghi 14,5 metri e possono volare in tutte le
condizioni ambientali e ininterrottamente per più di 30 ore, fino a 18.280
metri di altezza e a una velocità di 575 km/h. Il loro raggio d’azione è di
oltre 16.000 km. Inoltre, poche settimana
fa, il Dipartimento dell’US Air Force ha firmato un contratto del valore di 177
milioni di dollari con una società controllata dal colosso militare industriale
Raytheon Technologies, per migliorare l’efficienza dei 14 terminali mondiali
(tra cui Sigonella) inseriti nel sistema High Frequency Global
Communications (HFGCS). Le
stazioni terrestri dell’HFGCS
trasmettono i cosiddetti EAM (messaggi di azione di emergenza) e altri
tipi di codici di rilevanza strategica, compresi quelli per la conduzione di un
attacco nucleare.
A Vicenza, dopo la realizzazione
presso l’ex aeroscalo “Dal Molin” di un enorme complesso militare riservato ai
paracadutisti della 173^ Brigata aviotrasportata di US Army, ha preso il via un
megaprogetto del valore stimato di 373 milioni di dollari per la realizzazione
entro cinque anni di 478 alloggi per il personale militare statunitense e
famiglie (villette a schiera e diverse nuove
palazzine all’interno della caserma Ederle e del cosiddetto Villaggio della Pace). Sono previste
inoltre nuove infrastrutture viarie per rendere più rapido e “sicuro” il
collegamento delle basi USA di Vicenza con l’aeroporto NATO di Aviano (Pordenone),
sede di alcuni reparti aerei dell’US Air Force dotati dei cacciabombardieri di
quarta generazione F-16 a capacità nucleare, nonché utilizzato per i grandi
aerei cargo che trasportano i parà della 173^ Brigata verso i
maggiori scacchieri di guerra internazionali (recentemente in Iraq e
Afghanistan, attualmente in Europa orientale e in Africa). E ad Aviano, così
come a Ghedi (Brescia), sono in via di completamento i lavori di
“rafforzamento” dei bunker che ospitano le bombe nucleari tattiche B-61 delle
forze aeree statunitensi, attualmente in fase di aggiornamento per essere
impiegate a bordo dei cacciabombardieri di quinta generazione F-35 in dotazione
alle forze USA e italiane.
Bibliche colate di cemento a
fini bellici sono previste anche per un’altra città dall’incomparabile
patrimonio storico, artistico, architettonico e paesaggistico: Pisa. Secondo
quanto previsto dal Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, in un’area di
73 ettari a Coltano, all’interno del
parco regionale di Migliarino–San Rossore–Massaciuccoli, saranno realizzati
innumerevoli caserme e alloggi per militari e famiglie, poligoni di tiro e basi
addestrative. Tre i reparti d’assalto dei
Carabinieri che saranno insediati a Coltano ci sono il 1° Reggimento
Paracadutisti “Tuscania”, il G.I.S.-Gruppo di Intervento Speciale e il Centro Cinofili, da decenni
impiegati nei maggiori teatri di guerra internazionale in azioni di
combattimento e nell’addestramento “anti-terrorismo” del personale militare di
alcuni ingombranti regimi africani e mediorientali. Il progetto di Pisa è
funzionale al rafforzamento del ruolo geo-strategico della regione Toscana per
la proiezione extra-area delle forze armate nazionali, USA e NATO. La nuova cittadella
dei reparti d’assalto dei Carabinieri si aggiungerà infatti alla grande base di
stazionamento dei mezzi pesanti di US Army di Camp Darby, agli aeroporti di
Pisa-San Giusto e Grosseto, al porto di Livorno, alle tante caserme dei parà
della “Folgore”, al centro di ricerca militare avanzato (già nucleare) di San
Piero a Grado, al comando fiorentino della Divisione “Vittorio Veneto” prossimo
ad operare come Multinational Division
South NATO per gli interventi dell’alleanza nel Mediterraneo e in Africa.
Un
hub toscano per la guerra globale che si aggiunge a quelli veneto-friulano (con
Vicenza e Aviano); siciliano (Sigonella, il MUOS di Niscemi, la baia di
Augusta, lo scalo di Trapani-Birgi e le isole minori di Pantelleria e
Lampedusa); pugliese (le basi navali NATO di Taranto e Brindisi, gli aeroporti
di Amendola, Gioia del Colle e Galatina); campano (il porto di Napoli e
Capodichino, il Comando interalleato di Lago Patria); sardo (gli innumerevoli
poligoni sparsi per tutta l’isola, Decimomannu, l’arcipelago della Maddalena).
L’Italia armata e ipermilitarizzata per gli interessi strategici del Pentagono
e dell’Alleanza Atlantica ma anche per i profitti e i dividendi del complesso
militare-industriale nazionale e internazionale.
A
esclusivo beneficio delle industrie di morte sorgerà a Torino l’ultimo tempio dedicato
ad Ares, dio di tutte le guerre, che convertirà parte del territorio
dell’Italia nord-occidentale nell’ennesimo hub militare del paese (in
quest’area esistono già il centro di Cameri-Novara per la produzione degli
F-35, il quartier generale dei NATO Rapid
Deployable Corps di Solbiate Olona, i complessi Leonardo-Agusta a Varese,
la base nucleare di Ghedi, le fabbriche di pistole, mitra e fucili nel
bresciano). Lo scorso 7 aprile i ministri degli Esteri e della Difesa della NATO
hanno approvato un documento strategico che pone le basi del “Defence innovation accelerator for the North
Atlantic” (DIANA), cioè l’Acceleratore
di innovazione nella difesa per l’Atlantico del Nord), dotato di una prima
tranche di un miliardo di euro circa grazie al NATO Innovation Fund,
il fondo di investimenti finanziari varato dall’Alleanza. Con il DIANA sarò
promossa la ricerca scientifico-tecnologica di centri accademici, start up e
piccole e medie imprese sulle cosiddette deep technologies, le tecnologie emergenti che la NATO ha identificato
come “prioritarie”: sistemi aerospaziali, intelligenza artificiale,
biotecnologie e bioingegneria, computer quantistici, cyber security, motori
ipersonici, robotica e sistemi terrestri, navali, aerei e subacquei a
pilotaggio remoto, industria navale e delle telecomunicazioni, ecc.
“Gli
investimenti e la ricerca del progetto DIANA serviranno a dare vita a quelle
tecnologie nascenti che hanno il potere di trasformare la nostra sicurezza nei
decenni a venire, rafforzando l’ecosistema dell’innovazione dell’Alleanza e
sostenendo la sicurezza del nostro miliardo di cittadini”, ha dichiarato il
segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg. E proprio la città di Torino
è stata scelta come prima sede europea
degli acceleratori DIANA. L’avvio dell’ambizioso programma è previsto
per l’inizio del prossimo anno, quando saranno definiti i progetti da
finanziare. In una prima fase la sede di DIANA sarà ospitata in un’area di 9.000
mq ricavata all’interno delle storiche Officine
Grandi Riparazioni, il complesso industriale sorto a Torino a fine Ottocento.
A partire del 2026 l’incubatore-acceleratore DIANA sarà trasferito nella Città dell’Aerospazio in via di
realizzazione in un’area di 184.000 mq alla periferia ovest del capoluogo piemontese,
grazie ad un finanziamento di 300 milioni di euro del Piano Nazionale Ripresa e
Resilienza (PNRT), più altri 800 milioni che dovrebbero giungere da una
settantina di aziende del settore aerospaziale interessate al progetto
industriale.
Tra
queste ultime in pole position c’è ovviamente l’holding Leonardo SpA, leader
nella produzione di sistemi d’arma tecnologicamente avanzati. “Leonardo, azienda partecipata al 30%
dal Ministero dell’economia coordinerà tre progetti del nuovo sistema di difesa
europeo: il sistema di navigazione satellitare Galileo, finanziato dall’Unione
europea con 35,5 milioni di euro; quello di tecnologia sicura Essor, che ha
ricevuto 34,6 milioni; e il progetto degli anti-droni Jey Cuas (13 milioni)”,
ha riportato l’Indipendente in un
ampio servizio pubblicato il 17 luglio 2022. “Una parte degli spazi della città
sarà destinata al nuovo campus del Politecnico di Torino, mentre l’altra sarà
occupata dagli uffici del programma DIANA e da alcune aree per la
sperimentazione di nuove tecnologie di terra e di volo”.
A
fianco dei laboratori e degli spazi per le start-up, si insedierà nella Città
dell’Aerospazio pure il Business
Incubation Centre dell’Agenzia Spaziale Europea. Secondo quanto dichiarato
dal ministero della Difesa italiano, verrà messo a disposizione del progetto pure il
neo costituito acceleratore Takeoff - Aerospace
& Advanced Hardware (una creatura di Cdp Venture Capital, Fondazione CRT e UniCredit) e “saranno rese disponibili le capacità di
sperimentare tecnologie innovative” presso il Centro di Supporto e
Sperimentazione Navale della Marina Militare di La Spezia e il Centro Italiano
Ricerche Aerospaziali (CIRA) di Capua, società partecipata dell’Agenzia Spaziale
Italiana, del Consiglio Nazionale delle Ricerche e della Regione Campania.
Un
mixer - letteralmente esplosivo - di organizzazioni militari internazionali,
grandi, medie e piccole industrie, istituzioni pubbliche e private, banche e
gruppi finanziari, autorità statali, regionali e locali, università e centri di
ricerca scientifica che farà di Torino la capitale
europea delle guerre globali aerospaziali del XXI secolo. Guerre ancor più
automatizzate e disumanizzate di quelle a cui abbiamo assistito, impotenti e inorriditi,
in questi ultimi decenni.
Articolo pubblicato in Lavoro & Salute, n. 11, novembre 2022
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