Nato e Ucraina: chi provoca chi?

 


Agosto 2021, aeroporto di Kabul, la fuga disordinata dei militari USA ed europei dall’inferno afgano, l’ipocrita abbandono di centinaia di migliaia di rifugiati, disperati ed affamati, alla vendetta di al-Qaida.

Febbraio 2022, crisi Russia-Ucraina, il rischio di una guerra mondiale, totale, nucleare. Nessuno spazio alla mediazione tra le parti. Kiev invoca aiuti ed armi, Washington dice Ok, Roma e la UE indossano mimetiche ed elmetto, pronte a fare la loro parte. Due scenari geograficamente distanti eppure tanto vicini temporalmente. Immagini che sintetizzano bene le incorreggibili contraddizioni della Nato, alleanza militare di cui nessuno in occidente sembra poterne fare a meno nonostante a decidere alla fine è sempre il socio di maggioranza a stelle e strisce. Si fa fronte comune solo contro il nemico di turno: il “terrorismo”, l’orso russo, il dragone cinese. Ma, in verità, le divisioni sono profonde. Regno Unito, Francia e Germania che sgomitano per soffiare agli Stati Uniti un po’ più di potere e e di denaro per le industrie belliche nazionali. Le élite politiche dei paesi dell’Est, iperliberiste e reazionarie, intenzionate a riscrivere la carta del continente confezionata a Yalta dopo le tragedie della Seconda guerra mondiale. Una piccola potenza regionale, la Turchia, in mano al dittatore di turno, in perenne contrasto con gli “alleati” per la leadership nelle aree di antica vocazione imperiale (la Grecia nell’Egeo, l’Italia e la Francia in Libia, ecc.). La schizofrenia dell’Unione Europea, nata per individuare una terza via alle superpotenze atomiche, ma - nelle fasi cruciali della storia –incapace ad esercitare scelte autonome dall’ingombrante pachiderma Nato.

L’Alleanza che davano per morta alla caduta del muro di Berlino, risorge da ogni umiliante sconfitta sul campo come l’Araba fenice. Dilapida sempre più ingenti risorse umane e finanziarie in nome del dio di tutte le guerre ma i governi al di qua e aldilà dell’Atlantico fanno la fila per testimoniare l’assoluta fedeltà ai “suoi” (presunti) interessi geostrategici. Un’attrazione fatale che non ha risparmiato quei paesi che nei decenni di Guerra fredda hanno interpretato attivamente la neutralità (Svezia e Finlandia), preferendo il dialogo e stemperando le tensioni. Così la Nato post-1989 si è allargata a dismisura cooptando buona parte dei paesi est-europei ex partner Urss, una “provocazione” respinta da Mosca con la militarizzazione dei suoi confini occidentali. Ma l’Alleanza dei “popoli “liberi transatlantici ha fatto di peggio: senza pudore, ha stretto diaboliche alleanze con i petroregimi del Golfo e con i governi dei paesi africani più corrotti, ha rafforzato i legami con la bellicosa Israele, ha esteso i suoi artigli all’America latina per arrestarne i processi di democratizzazione e più equa ridistribuzione delle risorse, scegliendo come gendarme armato la Colombia dell’impunità e del narcoparamilitarismo.

Prima Washington e poi la Nato hanno riposto in soffitta i trattati per l’eliminazione dei sistemi missilistici nucleari dal territorio europeo, boicottando l’accordo per la messa al bando delle armi nucleari adottato dalle Nazioni Unite nel settembre 2017 ed entrato formalmente in vigore il 22 gennaio 2021. Sono stati adottati piani plurimiliardari per potenziare l’arsenale atomico e quello “convenzionale”, caccia di sesta generazione, piattaforme navali e sottomarini, carri armati e blindati, centrali d’intelligence e infrastrutture per le cyber war. Alle porte del “demone” russo, nelle Repubbliche baltiche e in Polonia, sono stati attivati quattro battaglioni multinazionali super-armati; un quinto sarà schierato presto in Romania e forse pure un sesto e un settimo in Bulgaria o in qualche altro alleato sud-orientale. Dispositivi aerei di pronto intervento operano 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno nei cieli dell’Europa orientale, in Ucraina e nel Mar Nero. Flotte permanenti o costituite ad hoc si alternano a pattugliare il Baltico e il Mediterraneo orientale, giocando al gatto e al topo con i sottomarini e i bombardieri nucleari russi. War games e schieramenti sempre più aggressivi che rendono meno improbabile o remoto l’olocausto planetario.

E che dire dell’Italia di Draghi, Guerini, Di Maio & C.? Qualche mal di pancia  Kabul, orecchie da mercante agli inviti alla prudenza di chi teme le ritorsioni di Putin in tema di approvvigionamenti energetici, ma tutti a testa bassa dietro Biden e il Segretario generale della Nato Stoltenberg nella pericolosa riedizione della campagna di Crimea, 170 anni dopo l’insensata spedizione di Re Vittorio Emanuele II di Savoia e del conte di Cavour. Alpini e carri armati in Lituania, caccia intercettori in Romania, portaerei F-35, fregate e sommergibili con i radar puntati sul Mar Nero, un migliaio di parà e di marò che si scaldano i muscoli nei poligoni di Puglia, Sicilia e Sardegna, ed ecco alcuna una volta Roma allineata e pronta immancabilmente a fare la sua parte. Fedeltà e subalternità, le parole d’ordine: è stato così nella ventennale proiezione bellica in Afghanistan, lo sarà ancora a lungo in Iraq dove l’Italia sarà premiata con la guida della “nuova” missione Nato di appoggio e addestramento delle forze armate irachene.

I riflettori mediatici puntati alle grandi manovre di Mosca in Bielorussia e ai confini ucraini o ai colpi di mortaio in Donbass di controversa provenienza, consentono ampie zone d’ombra sugli avamposti che Stati Uniti e Nato hanno moltiplicato in giro per l’Italia, tutti operativi al 100% per rendere credibile agli occhi di Mosca l’escalation dissuasiva ma potenzialmente distruttiva. I decolli dei cacciabombardieri a capacità nucleare F-16 di US Air Force da Aviano verso Baltico e Polonia, i ponti aerei per trasportare la 173^ Brigata Aviotrasportata di US Army da Vicenza in tutto l’Est Europa, centinaia di mezzi pesanti, armi e munizioni stoccati a Camp Darby e imbarcati a Livorno per raggiungere Costanza, ma soprattutto le missioni da Sigonella, quotidiane, dei pattugliatori-spia P-8A “Poseidon” di US Navy e i droni Global Hawk di Stati Uniti e Nato-Ags in territorio ucraino, nel Mar Nero e sulla Crimea. L’Italia genuflessa della sovranità tradita e negata. Un’antica frattura divide l’anima No War: dentro la Nato riformata e democratica, fuori dalla Nato e fuori la Nato. Una visione “realista” la prima, “utopica” la seconda. Ma all’Utopia non ci sono alternative. Non ci sono spazi di trasformazione o democratizzazione nell’Alleanza Atlantica. E’ il realismo della storia e di questi tragici giorni a provarlo. Siamo ancora in tempo per prenderne definitivamente atto. E agire di conseguenza. Tornando a mobilitarci per la pace, il disarmo e la neutralità attiva.

 

Articolo pubblicato in Adista Segni Nuovi n. 8 del 5 marzo 2022

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