Guerra in Yemen, terribile tragedia umanitaria, migliaia di civili uccisi nei
bombardamenti aerei della coalizione guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi
Uniti, caccia e bombe made in Europe. Meglio
tardi che mai, l’Italia ha finalmente detto stop all’ignobile export di armi
alle forze armate dei due paesi arabi coinvolti. Il Governo Conte, alla vigilia
delle sue dimissioni, ha revocato le autorizzazioni per il trasferimento di
missili e bombe d’aereo ad Arabia
Saudita ed Emirati. La revoca delle licenze rilasciate dalle autorità italiane tra il 2016 e il 2018 è giunta dopo la “sospensione per 18 mesi” decisa
dall’esecutivo l’11 luglio 2019, grazie alla campagna di denuncia e
mobilitazione che ha visto protagoniste decine di associazioni pacifiste e ONG
dei diritti umani.Secondo la
Rete Italiana Pace e Disarmo e Opal, l’Osservatorio sulle armi leggere di
Brescia, il provvedimento riguarda perlomeno sei diverse autorizzazioni di
esportazione, tra le quali la licenza del Ministero degli Affari esteri del 2016 (premier Matteo Renzi), relativa ad oltre
19.600 bombe aeree della serie Mk 82, Mk 83 ed Mk 84 del
valore di oltre 411 milioni di euro, a favore del regime saudita. A produrre gli ordigni, lo stabilimento di RWM
Italia S.p.A. di Domusnovas,
in Sardegna.
“Si tratta di un atto di portata storica che avviene per la prima volta nei
30 anni dall’entrata in vigore della Legge n.185 del 1990 sull’export di armi”,
hanno commentato Amnesty International Italia, Comitato Riconversione RWM per
la pace ed il lavoro sostenibile, Fondazione Finanza Etica, Movimento dei
Focolari, Oxfam Italia, Rete Italiana Pace e Disarmo e Save the Children. “Questa
decisione pone fine - una volta per
tutte - alla possibilità che migliaia di ordigni fabbricati in Italia possano
colpire strutture civili, causare vittime tra la popolazione o possano
contribuire a peggiorare la già grave situazione umanitaria nel Paese”.
La
campagna di mobilitazione per imporre l’embargo di bombe made in Italy alla coalizione militare internazionale responsabile
del bagno di sangue in Yemen si è allargata dopo le risultanze di un’inchiesta
di un gruppo di ricercatori delle Nazioni Unite che nel gennaio del 2017 aveva bollato come “crimini di guerra” le operazioni aeree condotte da Arabia Saudita
ed Emirati Arabi. Nel corso della loro missione, i ricercatori ONU avevano
individuato i frammenti di alcune bombe utilizzate contro obiettivi civili, la cui
produzione era avvenuta in Italia, confermando quanto era già stato anticipato in
Sardegna dalle organizzazioni No War
e da Opal. A settembre 2000, il Parlamento Europeo aveva poi approvato ad ampia
maggioranza una Risoluzione che condannava l’intervento militare in Yemen di Arabia
Saudita ed Emirati Arabi e invitava la Commissione ad avviare nei confronti di
questi due paesi “un processo finalizzato ad un embargo dell’UE sulle armi”.
Come
hanno rilevato Amnesty International Italia e le associazioni partner, la
decisione di revoca delle licenze “conferma la necessità di indagare sulla
responsabilità penale di UAMA - l’Autorità
responsabile delle autorizzazioni presso la Farnesina - e RWM Italia
nelle esportazioni di bombe della serie Mk durante il periodo del conflitto,
come denunciato alla magistratura da alcune delle nostre organizzazioni ora in attesa di una decisione del GIP in merito al
proseguimento dell’indagine”.
Nell’aprile del 2018, la Rete
Pace e Disarmo, l’European Center for Constitutional and Human Right (Ecchr) di
Berlino e l’ONG yemenita Mwatana for Human Rights avevano presentato una
denuncia alla Procura della Repubblica di Roma in cui s’ipotizzavano i reati di abuso di ufficio da parte di UAMA
e di omicidio colposo da parte di RWM Italia, a seguito del rilevamento nel
2016 di frammenti di bombe e un anello di sospensione con numero di
serie della produzione nello stabilimento Domusnovas di RWM Italia, dopo un
bombardamento aereo del villaggio yemenita di Deir Al-Hajari, in cui avevano perso la vita sei
persone, tra cui quattro bambini. Secondo i legali delle
tre associazioni, l’esportazione di queste bombe avrebbe palesemente
violato la legge italiana 185/90, la Posizione Comune 2008/944 dell’Ue e il
Trattato Onu sul commercio delle armi. Dopo la richiesta di archiviazione del
procedimento da parte del Pubblico ministero del Tribunale di Roma,
il 26 gennaio 2021 le ONG hanno presentato opposizione e ora si attende la
decisione del GIP.
L’11
dicembre 2019, Rete Pace e
Disarmo, Ecchr e Mwatana for Human Rights, insieme
ad Amnesty International, Campaign Against Arms Trade e Centre Delàs hanno anche
presentato una Comunicazione alla Corte Internazionale dell’Aia chiedendo
un’indagine sulla responsabilità delle autorità governative di Italia,
Germania, Francia, Spagna e Regno Unito e delle aziende esportatrici di armi
all’Arabia Saudita e agli Emirati. Le associazioni hanno documentato ben
26 attacchi aerei in cui sono stati impiegati ordigni prodotti in Europa.
Secondo Amnesty International Italia
e le associazioni partner, tra il 2015 e il 2019 il nostro Paese ha autorizzato
l’export di armamenti per un valore complessivo di circa 845 milioni di euro
verso l’Arabia Saudita e per oltre 704 verso gli Emirati Arabi Uniti. “Sebbene da metà 2019 non
sia stata rilasciata alcuna autorizzazione sui materiali specificamente
indicati nella decisione governativa, su altri tipi di materiali d’armamento è
stato invece dato il via libera nel secondo semestre 2019 a 6 autorizzazioni
verso l’Arabia Saudita per un valore complessivo di circa 105 milioni di euro e
a 25 autorizzazioni verso gli Emirati Arabi Uniti per un valore di circa 79
milioni di euro”, aggiungono le ONG. “Le stime per i primi sei mesi del 2020
segnalano infine spedizioni definitive per poco meno di 11 milioni di euro in
armi e munizioni di tipo militare verso gli EAU e 5,3 milioni di euro
all’Arabia Saudita (dei quali 4,9 milioni riguardano pistole o fucili
semiautomatici che possono essere state destinate anche a militari o corpi di
sicurezza pubblici o privati)”.
Contro la
revoca dell’export di bombe ai due paesi arabi, l’amministratore delegato di
RWM Italia, Fabio Sgalzi, ha annunciato di voler presentare un ricorso al TAR. “Siamo di
fronte ad un provvedimento ad aziendam, che di fatto colpisce
duramente solo RWM Italia”, ha dichiarato Sgalzi all’AGI. “L’azienda
assicura che farà l’impossibile per ottenere l’annullamento di un
provvedimento ingiusto e punitivo, a tutela delle centinaia di
lavoratori, molti dei quali già finiti in cassa
integrazione. Pur riconoscendo la complessità della situazione yemenita,
il periodo 2019-2020 ha registrato molti passi concreti nella direzione di una
stabilizzazione e pacificazione dell’area, contrariamente a quanto accaduto
negli anni precedenti. Troviamo, quindi, la decisione del governo contraria
alla verità dei fatti”.
RWM Italia SpA è interamente controllata dal colosso tedesco Rheinmetall
AG, uno dei maggiori produttori d’armi leggere e pesanti a livello
internazionale. L’azienda italiana ha due stabilimenti, uno a Domusnovas-Iglesias
e uno a Ghedi (Brescia), dove si trova anche la sede principale. “Il core business di RWM Italia è basato principalmente
sulle attività di bombe d’aereo general purpose
e da penetrazione; caricamento di
munizioni e spolette; sviluppo e produzione di teste in guerra per missili da
crociera, siluri, mine marine, cariche di demolizione e controminamento”, riporta
il sito web dell’azienda. A Domusnovas, in particolare, vengono prodotte le
famigerate Mk81, Mk82, Mk83 ed MK84 impiegate in Yemen e le devastanti
bombe d’aereo di penetrazione BLU 109, BLU 130, BLU 133 e Paveway IV. Per ampliare le infrastrutture e
potenziare la produzione di sistemi di morte nello stabilimento sardo, nel 2017
il colosso Rheinmetall ha predisposto un piano di
investimento finanziario di 35 milioni di euro. RWM Italia ha poi richiesto la
concessione edilizia per la costruzione di nuovi reparti e per il Campo Prove R140, un poligono per prove
esplosive all’aperto, nell’area territoriale che ricade nel Comune di Iglesias.
Le autorità
locali hanno rilasciato le autorizzazioni secondo modalità di “dubbia
legittimità”, come affermato da Italia Nostra e dal Comitato per la
Riconversione della RWM, che hanno presentato ricorso al TAR. “Nella prima metà di marzo 2020, in piena pandemia,
gli uffici del Comune di Iglesias sono stati più che mai attivi nell’istruire
numerose pratiche relative all’ampliamento dello stabilimento di Domusnovas”,
spiega Graziano Bullegas, Presidente di Italia Nostra Sardegna. “La strategia utilizzata è quella dello spezzatino, ormai collaudata negli anni.
Non si presenta un’istanza univoca e un piano attuativo, ma più richieste per
singoli interventi in modo da impedire una visione generale, eludere pareri di
natura regionale molto più complessi e soprattutto esigenti dal punto di vista
delle documentazioni aggiunte”.
“La fabbrica di RWM rappresenta un serio pericolo per
la pubblica incolumità e per la salvaguardia dell’ecosistema in quanto
stabilimento ad elevato rischio di incidente rilevante, con un Piano di
Sicurezza Esterno scaduto da quasi 10 anni e mai aggiornato all’attuale
produzione di ordigni bellici”, aggiunge Bullegas. “Il tutto reso ancor più
insostenibile dal rilascio da parte della provincia di una autorizzazione
ambientale semplificata simile a quella che viene rilasciata a una piccola
attività artigianale, anziché l’autorizzazione Integrata Ambientale più rigida
e meno permissiva. Così la più grande fabbrica di bombe d’Europa ha
un’autorizzazione pari a quella che ha un’autofficina!”.Contemporaneamente alla richiesta d’embargo
dell’export ad Arabia Saudita, EAU e Turchia e contro l’ampliamento dello
stabilimento di Domusnovas-Iglesias, una ventina di associazioni hanno dato
vita al Comitato Riconversione RWM per la
pace ed il lavoro sostenibile con lo “scopo di promuovere la riconversione
al civile di tutti i posti di lavoro, nell’ottica di uno sviluppo del
territorio che sia pacifico e sostenibile dal punto di vista ambientale e
sociale e come segno di volontà di pace dal basso”. Il Comitato ha lanciato una
campagna di crowfunding per sostenere
le spese legali nei ricorsi amministrativi contro l’espansione della produzione
di bombe (dopo il rigetto del TAR del primo ricorso nel luglio 2020, la
sentenza sarà impugnata davanti al Consiglio di Stato).
Intanto, per martedì 9 febbraio, la Campagna Stop RWM
e il Cagliari Social Forum hanno indetto un sit-in di sensibilizzazione nella
città capoluogo della Sardegna. No alla
produzione di bombe – Stop alla vendita di armi, le richieste al centro
dell’iniziativa che intende pure stigmatizzare le recentissime
affermazioni dall’amministratore delegato di RWM, dal sindaco di Domusnovas e di
alcune organizzazioni sindacali, fortemente critici della “storica” pur se
tardiva decisione governativa di revoca delle licenze d’esportazione.
Articolo pubblicato in Africa ExPress il 10 febbraio 2021, https://www.africa-express.info/2021/02/09/ultimo-atto-del-governo-conte-stop-alle-armi-italiane-per-la-guerra-in-yemen/
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