L’ostaggio USA liberato in Nigeria? Propaganda elettorale di Trump
Ha assunto le forme di vero e proprio
spot elettorale pro-Trump il sanguinoso blitz delle forze speciali USA che la
notte del 31 ottobre ha condotto alla liberazione del cittadino statunitense Philip Walton, sequestrato tre giorni prima
da un gruppo di uomini nel villaggio nigerino di Massalata, a pochi chilometri
dal confine con la Nigeria.
“Le
forze statunitensi hanno condotto l’operazione
di salvataggio nella Nigeria settentrionale”, ha spiegato Jonathan
Hoffman, portavoce del Pentagono. “Il cittadino americano è sano e salvo ed
è ora sotto la custodia del Dipartimento di Stato. Nessun militare statunitense è rimasto ferito. Apprezziamo il sostegno dei nostri partner
internazionali nella conduzione di questa operazione. Gli Stati Uniti continueranno
a proteggere il nostro popolo e i nostri interessi in qualsiasi parte del
mondo”.
La
liberazione del ventisettenne Philip Walton è stata annunciata dal Presidente
Donald Trump. “Questa notte, sotto la mia direzione, le
forze armate degli Stati Uniti d’America hanno condotto con successo
un’operazione per liberare un ostaggio americano in Nigeria, sequestrato appena
96 ore prima”, ha scritto il Presidente USA. “Le Forze Speciali USA hanno
eseguito un’audace operazione notturna con eccezionale abilità, precisione e
bravura. L’ex ostaggio gode di buona salute ed è stato riunito con i suoi
familiari”.
“Ridare
la libertà agli americani tenuti prigionieri all’estero è stata una delle
maggiori priorità della mia Amministrazione”, prosegue la nota della Casa
Bianca. “Sin dall’inizio della mia presidenza, abbiamo liberato 55 tra ostaggi
e prigionieri in più di 14 paesi. L’operazione di oggi dovrebbe servire come un
netto monito ai terroristi e ai criminali comuni che credono erroneamente di poter
sequestrare cittadini americani impunemente”.
Ancora
più cinico e spietato il commento via tweet di Donald Trump jr., figlio del
Capo di Stato e vicepresidente della holding finanziaria della famiglia Trump. “Seal
Team 6! Sono tutti morti prima di sapere cosa stava accadendo”, ha scritto
riferendosi al corpo d’elite protagonista del blitz (il Seal Team Six) e ai sequestratori assassinati. “Con Trump, il mondo
ha compreso che far danno a un cittadino americano reca gravi conseguenze, sia
che tu sia un leader terrorista come nel caso di al-Baghdadi o Soleimani, o
come quanto è appena accaduto con i rapitori in Niger/Nigeria”.
Altrettanto
trionfale il commento del Segretario di
Stato Mike Pompeo, uno dei membri dell’Amministrazione che più si è speso in
queste settimane per garantire la rielezione di mister Trump. “Grazie allo
straordinario coraggio e alle capacità dei nostri militari, al sostegno dei
nostri professionisti dell’intelligence e ai nostri sforzi diplomatici,
l’ostaggio è stato restituito alla famiglia; noi non abbandoneremo mai un
nostro concittadino sequestrato”, ha dichiarato Pompeo, immemore che dal 2016
continua a rimanere nelle mani di un gruppo jihadista l’operatore umanitario Jeffrey Rey Woodke, anch’egli rapito
in Niger.
Le propagandistiche dichiarazioni di Donald Trump e
collaboratori non hanno comunque offerto alcun elemento utile a chiarire alcuni
dei punti più oscuri del raid che ha consentito la liberazione del giovane Philip Walton, figlio di un noto missionario evangelico che opera da anni
a Massalata. Restano ignote, ad esempio, le modalità con cui sono state condotte
le operazioni e l’esecuzione dei sequestratori. Incerto anche il numero delle
vittime. Mentre il Dipartimento della Difesa non ha inteso fornire qualsivoglia
particolare sulla missione del SEAL Team
Six di US Navy, un ufficiale statunitense ha rivelato all’emittente CNN che i militari avrebbero ucciso “sei
dei sette rapitori individuati” e che gli stessi “non erano affiliati ad alcun
gruppo terroristico operante nella regione, ma semplici banditi interessati al
denaro del riscatto”.
La pista “politica” è stata esclusa
pure dal governatore della regione nigerina in cui è avvenuto il sequestro,
Abdourahamane Moussa. Intervistato da un giornalista francese, Moussa aveva
riferito che erano stati “sei uomini a bordo di motociclette, armati di fucili
d’assalto AK-47” a prelevare il cittadino statunitense dalla sua abitazione. “I
banditi – ha proseguito - avevano chiesto del denaro, ma in seguito avevano
deciso di portarlo via con loro verso il confine con la Nigeria”. Secondo una
fonte militare del quotidiano The Washington Post,
i sequestratori avrebbero chiesto ai familiari un riscatto di un milione di dollari,
minacciando in caso contrario di consegnare Philip
Walton a un non meglio
identificato “gruppo di estremisti”.
Pure la
rete tv ABC News ha sostenuto che ci sarebbe un sopravvissuto tra i
rapitori, anche se non sono note le sue condizioni fisiche e dove eventualmente
sarebbe stato condotto dopo il raid. “La missione anti-terrorismo del commando
d’élite è stata solo una parte di uno sforzo molto più grande”, ha dichiarato
ad ABC News un analista militare. Le informazioni utili a individuare in
territorio nigeriano il cittadino sequestrato sarebbero stati forniti agli
uomini del SEAL Team Six direttamente
dalla Central Intelligence Agency (CIA), mentre l’indispensabile supporto
operativo-logistico sarebbe stato fornito dalle unità per le operazioni
speciali del Corpo dei Marines USA presenti in Africa nord-occidentale.
Per il trasferimento in Nigeria del
commando SEAL, sarebbe stato utilizzato un grande velivolo cargo C-17A “Globemaster
III”, mentre al raid avrebbero partecipato due convertiplano CV-22B “Osprey” e
due Lockheed MC-130 del Comando per le Operazioni Speciali dell’Aeronautica
militare degli Stati Uniti, più una “cannoniera volante” AC-130, un
pattugliatore marittimo P-8A “Poseidon” e un aereo cisterna per il rifornimento
in volo. Alcuni di questi velivoli – sempre secondo le fonti fiduciarie dei
network tv – sarebbero decollati dalla grande stazione aeronavale di Rota, in
Spagna.
Denominato
anche United States Naval Special Warfare Development Group, il SEAL
Team Six è il corpo d’élite più segreto delle forze per la guerra
“non convenzionale” e anti-terrorismo della Marina militare USA. I compiti del
reparto d’eccellenza spaziano dal “salvataggio di ostaggi civili e militari”,
all’infiltrazione in territorio ostile, navi, basi militari e impianti
petroliferi, ecc., alle operazioni di spionaggio e “anti-pirateria” in Corno
d’Africa e Golfo di Guinea.
Sotto le
dipendenze del Joint Special Operations Command, il Comando interforze per le
operazioni speciali di Fort Bragg (Carolina del Nord), il SEAL Team Six è di stanza presso il Training Support Center
Hampton Roads di Virginia Beach (Virginia), ma può contare su alcune
installazioni strategiche d’oltremare, come ad esempio Rota in Spagna, NAS
Sigonella in Sicilia e Gibuti.
Fu l’amministrazione di Ronald Reagan
a volerne la costituzione dopo il disastroso tentativo delle forze armate “regolari”
di liberare 52 ostaggi nell’ambasciata statunitense a Teheran (Iran) il 24 e 25 aprile 1980, operazione ordinata dall’allora presidente Jimmy
Carter. Oltre che nel continente africano e più recentemente in Siria e Yemen, il SEAL Team Six è stato chiamato a condurre
a stretto contatto con la CIA diverse operazioni top secret in Afghanistan,
Iraq e Pakistan, la più nota tra tutte è stata quella che ha consentito di
individuare e assassinare Osama bin Laden, il 2 maggio 2011 ad Abbottabad
(Pakistan).
Secondo un documentato reportage del New
York Times pubblicato il 7 giugno 2015, il SEAL Team Six è il reparto
d’eccellenza del cosiddetto “Programma Omega”, un piano studiato dal Pentagono
ed approvato dalla Casa Bianca “per portare avanti operazioni negabili dal governo, cioè che lo potrebbero
imbarazzare se venisse scoperto che vi hanno preso parte unità militari
americane”. Giornalisti d’inchiesta e organizzazioni non governative internazionali
hanno documentato come il corpo d’élite si sia macchiato in questi anni di
“omicidi ingiustificati, mutilazioni, e altre atrocità che sono state tollerate
e coperte dal Comando USA”, specie nella
sporca guerra contro il terrorismo in
Afghanistan e Iraq.
Le “eroiche” gesta del Seal
Team Six sono note anche in Italia: il 10 ottobre 1985 un suo commando fu
trasferito segretamente a Sigonella con due aerei da trasporto C-141
“Starlifter” per prendere in consegna i sequestratori palestinesi della nave da
crociera Achille Lauro, dopo che l’aereo di linea egiziano che li avrebbe
dovuto condurre a Tunisi era stato costretto ad atterrare nella base siciliana
da alcuni caccia USA. La deportazione negli Stati Uniti del gruppo palestinese
fu impedita dai militari di leva dell’Aeronautica italiana e dai Carabinieri,
in quella che la storia ricorda come la lunga
notte di Sigonella, uno dei rarissimi atti di rivendicazione della
sovranità nazionale di fronte all’arrogante e onnipotente alleato
d’oltre-oceano.
Articolo pubblicato in Africa
ExPress l’1 novembre 2020, https://www.africa-express.info/2020/11/02/walton-ostaggio-usa-liberato-in-nigeria-propaganda-elettorale-di-trump/?fbclid=IwAR1IO1krieYDaaJAmGq9tf6qAteEPOLNRWgmOiyxRd4xt7JbvfqWFmOLK8k
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