Arriva il vaccino anti-Covid. Lo produce l’Istituto di ricerca delle armi chimiche e biologiche d’Israele
Il suo nome è “Brilife” ed è il nuovo vaccino contro il Covid-19 che dal 1° novembre viene somministrato sperimentalmente in Israele su 80 “volontari” di età compresa tra i 18 e i 55 anni nell’ospedale Hadassah Ein Kerem dell’Università Ebraica di Gerusalemme e presso lo Sheba Medical Center di Ramat Gan, Tel Aviv.
Il vaccino
è stato sviluppato dall’Israel Institute for Biological Research (IIBR) di Ness
Ziona, il principale istituto di ricerca chimico-biologico dello Stato d’Israele,
sotto la giurisdizione dell’Ufficio del Primo ministro. Le sperimentazioni
saranno condotte per un periodo di diversi mesi e a partire dal mese di
dicembre i test coinvolgeranno un migliaio di “volontari” di età compresa tra i
18 e gli 85 anni in otto ospedali del paese. La terza ed ultima fase della
somministrazione dei vaccini “Brilife” è
prevista nella primavera del 2021 e avrà come cavie 30.000 persone circa. Secondo
quanto dichiarato dal professore Yosef Karako, responsabile dell’Unità
sperimentazioni chimiche dell’ospedale Hadassah, per la produzione del vaccino
sono stati utilizzati vettori virali derivanti dal virus della stomatite
viscerale (VSV), geneticamente ingegnerizzato con una proteina di Sars-Cov-2.
L’1
febbraio 2020 era stato il Primo ministro Benjamin Netanyahu ad autorizzare l’Israel
Institute for Biological Research ad avviare le attività di ricerca sul nuovo
vaccino sperimentale anti-Covid e, contestualmente, ad istituire un centro di
produzione vaccini nella cittadina di Yeruham, nel deserto del Negev. A fine
marzo l’Istituto aveva effettuato i primi test del preparato sui roditori.
Negli stessi mesi l’IIBR veniva pure
incaricato dal Ministero della Difesa israeliano di effettuare la “raccolta
plasma” dai pazienti convalescenti da coronavirus, nell’ambito di un programma
d’individuazione di anticorpi specifici da trasferire poi in altri soggetti ricoverati
nei presidi ospedalieri. I “risultati positivi” della prima fase di
sperimentazione del cosiddetto “vaccino passivo” sono stati illustrati dai
ricercatori in occasione della visita ai laboratori dell’IIBR del ministro
della Difesa, Naftali Bennett, il 4 maggio 2020.
E’ stato lo stesso ministro a
spiegare con un comunicato le tappe programmate dall’Istituto per lo sviluppo e
commercializzazione degli anticorpi anti-Covid19. “Sono
orgoglioso del personale dell’Israel Institute for Biological Research: la creatività e l’ingegnosità
ebraica hanno portato a questo straordinario risultato”, ha esordito Bennett. “In
questi ultimo giorni l’IIBR
ha completato un rivoluzionario sviluppo scientifico, determinando un anticorpo
che neutralizza il SARS-COV-2. Tre sono i parametri: l’anticorpo è monoclonale,
nuovo e affinato, e contiene una proporzione eccezionalmente bassa di proteine
nocive; esso è in grado di neutralizzare il coronavirus; è stato testato su un
virus aggressivo”. Le procedure legali ed amministrative per la produzione e la
commercializzazione dell’antidoto, ha concluso Naftali Bennett, “saranno
coordinate dal Ministero della Difesa”, quasi a voler sottolineare la piena
subordinazione dell’Istituto di ricerca biologica all’autorità militare.
Un reportage apparso su The Jerusalem Post il 6 maggio 2020, ha offerto una descrizione semi-inedita dell’Israel Institute for Biological
Research di Ness Ziona. “Il centro è circondato da un
muro inaccessibile pieno di sensori e con pattuglie di guardie armate che
perlustrano il suo perimetro”, riferisce il quotidiano. “Nessun
aereo è autorizzato a sorvolare la facility
ed essa non appare in nessuna mappa o guida telefonica dell’area. Per accedere al
suo interno sono obbligatori l’uso di parole in codice e l’identificazione
visiva e ci sono numerose porte blindate a prova di bomba che possono essere
aperte da carte elettroniche i cui codici vengono modificati ogni giorno. Molti
dei laboratori di ricerca sono ospitati nel sottosuolo”.
All’IIBR vengono impiegate 350
persone, di cui 150 sono scienziati con dottorati in biologia, biochimica,
biotecnologia, chimica organica e fisica, farmacologia, matematica e fisica. Dal
2013 il direttore responsabile dell’Istituto è il professore Shmuel C.
Shapira, docente di Amministrazione medica e direttore generale del
Dipartimento di Medicina militare dell’Università Ebraica di Gerusalemme,
nonché presidente del consiglio d’amministrazione del Life Centre Research
Israel Ttd., società a cui è affidata la commercializzazione delle innovazioni
tecnologiche brevettate dall’Institute for Biological Research.
La storia dell’IIBR è intrinsecamente legata alle strategie
degli apparati di difesa e sicuritari d’Israele. Esso fu fondato a Jaffa nel
lontano febbraio 1948 - qualche mese prima che venisse fondato lo stato
sionista in Palestina - con il nome di “Hemed Beit”. Si trattava nello
specifico di un’unità per la guerra biologica dell’organizzazione paramilitare “Haganah”
(La Difesa, in lingua ebraica), sotto
la direzione dell’ufficiale Yigael Yadin, poi Capo di stato delle forze armate
e viceministro della Difesa. I report dell’intelligence britannica del tempo documentarono
il diretto coinvolgimento di “Hemed Beit” in una serie di “operazioni coperte”
contro la popolazione araba per costringerla ad abbandonare i villaggi natii e consentire
la loro occupazione da parte di coloni e militari ebrei.
Nel 1952 l’unità assunse l’odierno nome di Israel Institute for Biological Research e gli uffici e i laboratori furono
trasferiti a Ness Ziona, villaggio a una decina di km. da Tel Aviv. A capo dell’IIBS fu
nominato il professore Ernst David Bergmann, consigliere scientifico-militare
del Primo ministro David Ben-Gurion e tra i promotori con il Weizmann Institute
of Science dei primi programmi di ricerca sulle armi nucleari dello Stato d’Israele.
Il ruolo di Ernst David Bergmann e
dell’istituto da lui diretto furono fondamentali per lo sviluppo e la sperimentazione
delle armi biologiche e chimiche e dei potenziali vaccini e antidoti anti-NBC, destinati
alle forze armate e dei servizi segreti israeliani, primo fra tutti il
famigerato Mossad che se ne avvalse per una serie di missioni top secret fuori
dai confini nazionali. A partire dalla fine degli anni ’70, l’IIBR ha pure firmato una serie di
contratti di ricerca con agenzie degli Stati Uniti d’America, il Dipartimento
della Difesa e U.S. Army. Il database del Pentagono riporta una spesa
complessiva di 1.672.185 dollari a favore dell’Israel
Institute for Biological Research.
“Nel corso degli anni l’IIBR è stato
impegnato nel campo delle scienze biologiche, chimiche e naturali in modo da
offrire allo Stato d’Israele le necessarie risposte alle minacce chimiche e
biologiche”, si legge nella pagina web dell’Istituto di ricerca. “A partire del
1995, l’IIBR ha operato come unità affiliata al governo che effettua ricerche
in tutte le aree della difesa contro le armi chimiche e biologiche, incluse le operazioni
dei laboratori nazionali per il rilevamento e l’identificazione di queste
minacce”.
Tra i programmi scientifici in
ambito civile-militare vengono annoverati poi quelli finalizzati alla
produzione di un vaccino anti-polio (1959); lo sviluppo di kit per il
rilevamento di materiali esplosivi (1980); la sperimentazione di un farmaco
contro la sindrome di Sjogren, malattia infiammatoria cronica autoimmune (1984);
la produzione di un vaccino contro la sindrome respiratoria acuta (Sars) di
origine virale che ha colpì la popolazione mondiale nel 2003.
Il Centro di ricerca “James Martin” per la non proliferazione
delle armi nucleari, chimiche e batteriologiche del
Middlebury Institute of International Studies di Monterey (California) ha documentato gli studi
dell’IIBR su diversi agenti e tossine, come ad esempio il batterio della peste (Yersinia pestis), del tifo, dell’enterotossina
B da stafilococco (SEB), della rabbia, dell’antrace (Bacillus anthracis), del Clostridium botulinum, del virus
dell’Ebola. Nel campo delle ricerche sugli agenti impiegati per la produzione
di armi chimiche, l’Istituto israeliano annovera quelle sui gas nervini come il
Sarin, il tabun, il VX, l’iprite (il cosiddetto gas mostarda) e altri composti organofosforici, ecc.. I laboratori
hanno condotto analisi pure su un gel decontaminante
da applicare sulla pelle per “neutralizzare gli agenti chimici e biologici”.
Le indagini delle autorità olandesi sulle
cause dell’incidente avvenuto nel 1992 a un Boeing 747 della compagnia di
bandiera israeliana El Al, precipitato in un villaggio poco distante da Amsterdam,
hanno accertato che l’aereo trasportava un carico di 190 litri di dimetil metilfosfonato
destinato all’Istituto di Ness Ziona. Il composto organofosforico viene
normalmente utilizzato come ritardante di fiamma ma è indispensabile anche per
la sintesi del gas nervino Sarin, arma bandita dalla Convenzione Internazionale
sulle Armi Chimiche che Israele non ha mai inteso sottoscrivere. Le autorità di
Tel Aviv dichiararono agli inquirenti olandesi che il materiale trasportato dal
Boeing 747 non era tossico e che doveva essere utilizzato “per i filtri di
prova contro le armi chimiche”. Anche alcuni ricercatori indipendenti hanno
ritenuto che la quantità di dimetil metilfosfonato a bordo
del velivolo non fosse comunque sufficiente alla produzione di Sarin a fini
militari.
Nonostante l’inquietante profilo bellico del centro (in
verità del tutto noto internazionalmente), il 10 luglio 2020 l’Azienda
Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze e la Fondazione Toscana Life
Science hanno sottoscritto con l’Israel Institute for
Biological Research un protocollo finalizzato alla ricerca di una cura contro
il virus Covid-19. “Sulla base dell’intesa - riporta la nota dei partner
italiani - l’AOU Careggi e la Fondazione TLS implementeranno insieme all’IIBR,
uno dei centri di eccellenza mondiali nel campo della ricerca biologica e
fautore di un rivoluzionario sviluppo scientifico per la cura al covid19, studi
sierologici su campioni di plasma di persone colpite e guarite dal virus, al
fine di mettere a punto una terapia efficace basata sulla individuazione e
clonazione di anticorpi monoclonali”.
L’accordo, come sottolineato dall’ambasciatore
italiano in Israele Gianluigi Benedetti, è “frutto di una collaborazione
avviata durante un colloquio telefonico tra il Presidente del Consiglio Conte e
il Primo Ministro Netanyahu”.
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