Marco Minniti. Quest’uomo è una sicurezza

Contrasto delle migrazioni “irregolari”, gestione dell’ordine pubblico e repressione del dissenso. Con Marco Minniti al Viminale si annuncia un giro di vite alla vigilia di importanti appuntamenti come il G7 a Taormina e le elezioni politiche.

Quello guidato da Paolo Gentiloni è davvero il governo fotocopia di Matteo Renzi? La promozione di Domenico “Marco” Minniti da sottosegretario con delega ai servivi segreti a ministro dell’Interno rappresenta una novità più che inquietante alla luce dei nuovi programmi di contrasto delle migrazioni “irregolari” o di gestione dell’ordine pubblico e repressione del dissenso. Non è certo un caso, poi, che il cambio al Viminale avvenga alla vigilia dei due appuntamenti internazionali che hanno convinto a rinviare sine die la fine della legislatura: la celebrazione del 60° anniversario della firma del Trattato istitutivo della Cee (il 25 marzo a Roma), ma soprattutto il vertice dei Capi di Stato del G7 a Taormina il 26 e 27 maggio. Marco Minniti, di comprovata fede Nato, vicino all’establishment ultraconservatore degli Stati Uniti d’America e alle centrali d’intelligence più o meno occulte del nostro Paese appare infatti come il politico più “adeguato” per consolidare il giro di vite sicuritario sul fronte interno e strappare a leghisti e centrodestra il monopolio della narrazione sul “pericolo” immigrato. Curriculum vitae e trame tessute in questi anni ci spiegano come e perché.
Originario di Reggio Calabria, una laurea in filosofia e una lunga militanza nel Pci prima, nel Pds e nei Ds dopo, nel 1998 Minniti viene chiamato a ricoprire l’incarico di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (premier l’amico Massimo D’Alema), anche allora con delega ai servizi per le informazioni e la sicurezza; l’anno seguente, con le operazioni di guerra Nato in Serbia e Kosovo, Minniti assume il coordinamento del Comitato interministeriale per la ricostruzione dei Balcani. Nel 2001 viene eletto per la prima volta alla Camera dei deputati e con la costituzione del governo Amato, è nominato sottosegretario alla Difesa per la cooperazione militare con Ue, Nato e Stati Uniti e la promozione dell’industria bellica (ministro Sergio Mattarella). Con il ritorno di Silvio Berlusconi alla guida di Palazzo Chigi, Minniti assume il ruolo di capogruppo Ds in Commissione Difesa e componente della delegazione italiana all’Assemblea dei parlamentari presso il comando generale della Nato. A Bruxelles il politico calabrese fa da relatore del gruppo di lavoro sull’Europa sud-orientale e la partnership Ue-Nato, perorando l’ingresso nell’Alleanza di Albania, Croazia e Macedonia. Nel novembre 2005 è Minniti a presiedere il convegno nazionale Ds su “difesa e industria bellica in Italia”, relatori, tra gli altri, ministri, capi delle forze armate e manager delle holding belliche. “Chiedo un maggiore impegno a sostegno del complesso militare-industriale, per ottenere finanziamenti aggiuntivi per nuovi sistemi d’arma e rafforzare la difesa europea con la costituzione di battaglioni da combattimento che si coordino con la Forza di pronto intervento Nato”, fu l’accorato appello di Minniti ai compagni di partito.
Con Romano Prodi alla guida del governo (2006), Minniti torna a fare il viceministro dell’Interno dedicandosi in particolare alle prime “emergenze” sbarchi di migranti in sud Italia. L’anno dopo, l’(ex) fido dalemiano offre il proprio appoggio nelle primarie per la scelta del segretario del neonato Pd a Walter Veltroni e ottiene l’incarico di segretario regionale in Calabria. Rieletto alla Camera nel 2013, Minniti è nominato sottosegretario della Presidenza del Consiglio da Enrico Letta, con delega ai servizi segreti, incarico confermatogli dal successore Renzi. La guerra a tutto campo contro il “terrorismo islamico” diviene un pallino fisso del capo politico dell’intelligence. Il 1° settembre 2016 a Palazzo Chigi s’insedia un’inedita creatura di Minniti: la “commissione di studio sul fenomeno dell’estremismo jihadista”. Coordinatore il prof. Lorenzo Vidino, docente alla George Washington University (accademia privata che ha forgiato alcuni potenti funzionari del dipartimento di Stato Usa e della CIA), in commissione siedono docenti di atenei italiani, la ricercatrice dell’Institute for National Security Studies di Tel Aviv Benedetta Berti e alcuni noti editorialisti come il direttore di Limes Lucio Caracciolo, Carlo Bonini di Repubblica e Marta Serafini del Corriere della Sera. Nei giorni scorsi Minniti e Gentiloni hanno presentato una prima elaborazione del pool di esperti. “I percorsi di radicalizzazione si sviluppano soprattutto in alcuni luoghi: nelle carceri da un lato e nella rete web dall’altro”, ha spiegato Gentiloni. “Insieme alla vigilanza massima e alla prevenzione per il rischio che la minaccia si riproponga, il governo è impegnato su politiche migratorie che devono coniugare l’attitudine umanitaria con politiche di rigore ed efficacia nei rimpatri”. Meno diplomatico il neoministro Minniti che ha preferito ai rimpatri la declinazione “espulsione”, preoccupato per il “pericolo crescente” della connection migranti irregolari – terrorismo. Con l’obiettivo di accelerare le espulsioni e rafforzare il controllo militare alla frontiera meridionale, Marco Minniti ha pianificato un tour mediterraneo per incontrare capi di Stato e ministri. I primi di gennaio si è recato a Tunisi e Tripoli per discutere di cooperazione bilaterale contro l’immigrazione clandestina e la “minaccia terroristica”. La missione in Libia, in particolare, segna “l’inizio di una nuova fase di cooperazione tra i due Paesi”, dicono dal Viminale: Minniti e al Sarraj hanno concordato l’impegno ad affrontare insieme ogni forma di contrabbando e protezione delle frontiere, in particolare al confine meridionale, quello con Ciad e Sudan. Sempre a gennaio Minniti si recherà a Malta e in Egitto. Il governo chiede ai paesi nordafricani e ai partner sub-sahariani (Niger, Ciad, Somalia, Nigeria, Mali, Senegal) d’implementare i programmi elaborati in ambito Ue per impedire – manu militari – che i migranti provenienti dalle zone più interne del continente raggiungano le coste del Mediterraneo, creando altresì in loco grandi centri-hub di “assistenza e rimpatrio” di chi fugge da guerre e carestie. Alle onerose missioni navali per intercettare i barconi di migranti, il Viminale preferirebbe invece puntare sull’uso di sofisticati apparati d’intelligence, come ad esempio i satelliti militari Cosmo Skymed e i droni, sia quelli spia che armati, “strumenti fondamentali in ogni contesto asimmetrico”.
Per coloro che riusciranno a portare a termine dolorose odissee nel deserto e pericolose traversate in mare, onde “prevenire e reprimere” ogni possibile collegamento tra il fenomeno dell’immigrazione clandestina e il terrorismo, Marco Minniti prevede un ulteriore giro di vite in termini di indagini, identificazioni e prelievo forzato di impronte digitali, possibilmente anche le schedature informatiche biometriche e del dna. “Dobbiamo ricondurre a unità il duplice problema della minaccia terroristica interna fatta di foreign fighters e potenziali lupi solitari e, dall’altra parte, del contrasto all’Isis attraverso un’efficace gestione dei flussi migratori che ne arricchiscono le finanze”, scrivono i più stretti collaboratori del ministro. Una prima bozza di piano anti-migranti 2017 è stata presentata a fine anno da Minniti e dal capo della Polizia Franco Gabrielli. Annunciando una “stagione di tolleranza zero”, si punta a raddoppiare in pochi mesi il numero delle espulsioni grazie al coinvolgimento delle forze dell’ordine e degli enti locali. In tutto il territorio nazionale saranno istituiti nuovi centri di identificazione ed espulsione “da 80-100 posti al massimo”, confinanti con porti e aeroporti. “In questi nuovi Cie saranno trattenuti solo gli immigrati irregolari che presentino un profilo di pericolosità sociale, come spacciatori o ladri”, annuncia il Viminale. Rimpatri volontari o assistiti e “lavori socialmente utili” per i sempre meno numerosi migranti “regolari” o quelli legittimati a richiedere l’asilo.
L’ennesima controffensiva in nome della sicurezza nazionale e della lotta al terrorismo trova un suo retroterra ideologico nelle elaborazioni della poco nota ma influente Fondazione ICSA (Intelligence Culture and Strategic Analysis), centro studi sui temi d’intelligence costituito a Roma nel novembre 2009 da Marco Minniti e dal Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, ministro dell’Interno negli anni della guerra di Stato al terrorismo rosso e cultore di controverse relazioni con organizzazioni e servizi segreti in ambito nazionale e Nato. La Fondazione ICSA si pone l’obiettivo di analizzare i principali aspetti connessi alla sicurezza nazionale e internazionale, all’evoluzione dei modelli di difesa militare, ai principali fenomeni criminali e del terrorismo in Italia e all’estero, alla sicurezza informatica e tecnologica dello Stato e dei cittadini”, si legge nell’atto istitutivo. Di ICSA, Cossiga è stato presidente onorario sino alla sua scomparsa e Minniti presidente esecutivo sino alla nomina a sottosegretario del governo Renzi, quando è stato sostituito dal gen. Leonardo Tricarico, già capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, comandante della 5^ Forza aerea tattica della Nato, vicecomandante della Forza multinazionale nel conflitto dei Balcani e consigliere militare di ben tre Capi di governo (D’Alema, Amato e Berlusconi).
Vicepresidente della fondazione il prefetto Carlo De Stefano, superesperto in materia di terrorismo, già questore ad Avellino e Firenze, poi responsabile della sicurezza del Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Dal 2001 al 2009 De Stefano è stato capo dell’UCIGOS (l’ufficio per le investigazioni e le operazioni speciali della Polizia che coordina le attività degli uffici Digos) e presidente del Comitato di analisi strategica antiterrorismo (Casa). L’alto funzionario Ps ha pure ricoperto un incarico come sottosegretario all’Interno, presidente del consiglio Mario Monti, ministra Anna Maria Cancellieri.
Della Fondazione ICSA è segretario generale Paolo Naccarato, alto funzionario statale incaricato nel 1994 dal governo di organizzare il vertice G7 di Napoli. Eletto consigliere regionale in Calabria nel 2000 con il listino del presidente Giuseppe Chiaravalloti (Forza Italia) in quota al movimento fondato da Francesco Cossiga, Naccarato ha poi ricoperto l’incarico di presidente della Commissione per le riforme istituzionali della Regione. Nel 2006 è stato nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (Romano Prodi) con delega alle riforme istituzionali e ai rapporti con il Parlamento; qualche anno dopo, Naccarato è tornato alla regione d’origine per ricoprire l’incarico di assessore nella giunta presieduta da Agazio Loiero (Margherita). Dopo una breve parentesi con l’effimera associazione politica di Luca Montezemolo, Italia Futura, nel maggio 2013 Naccarato ha ottenuto il seggio in Senato con la Lega Nord in rappresentanza del movimento dell’ex ministro di centrodestra Giulio Tremonti. Con l’elezione in Parlamento, non si sono concluse le migrazioni politiche del segretario ICSA: ai leghisti è stata preferita prima l’adesione al Gruppo Grandi Autonomie e Libertà, poi al Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, infine ancora il GAL.
Dulcis in fundo compare come vicesegretario della fondazione, il giornalista Giovanni Santilli, già segretario particolare presso la Presidenza del Consiglio (1998-2000) e del ministero della Difesa (2000-2001, sottosegretario Minniti), nonché ex consigliere politico dello stesso Minniti viceministro dell’Interno nel biennio 2006-2008. Insieme alla moglie Renata Parisse, dirigente della nuova Avezzano calcio, Santilli fu indagato dal Pm di Bari Michele Emiliano nell’ambito dell’inchiesta sulla malagestione della missione “Arcobaleno”, l’operazione umanitaria avviata nel 1999 dal governo D’Alema in Albania, Puglia e Sicilia a favore dei rifugiati kosovari. A carico dei due coniugi fu ipotizzata una tentata concussione ai danni di uno dei personaggi centrali dell’inchiesta, titolare di una società impegnata negli “aiuti” alla popolazione kosovara; il procedimento si è concluso però con il proscioglimento degli indagati.
Top secret i nomi degli sponsor della Fondazione ICSA. In un’intervista a L’Huffington Post il presidente gen. Tricarico ha ammesso che gli oneri di funzionamento del centro sfiorano i 250.000 euro all’anno, coperti “grazie a una dozzina di finanziatori istituzionali e privati” con una quota associativa di 20.000 euro. Grazie all’inchiesta della Procura di Napoli che ha portato in carcere il sindaco Pd di Ischia e i vertici della cooperativa Cpl Concordia (LegaCoop), è stato possibile dare un volto a uno dei finanziatori privati: tra le carte sequestrate alla coop, infatti, sono state rinvenute due donazioni nel biennio 2013-14 per un totale di 40.000 euro.
A contribuire all’organizzazione del convegno ICSA sul terrorismo jihadista, febbraio 2015, ci ha pensato invece il Sistema d’informazione per la sicurezza della Repubblica (il complesso dei soggetti istituzionali a cui è stata delegata la gestione dell’intelligence dopo la riforma dei servizi segreti) con un contributo finanziario di 12.500 euro più Iva. La connection Viminale-Fondazione si è consolidata nel tempo. Dopo la stipula di una convenzione con il Ministero dell’Interno e Confindustria per realizzare “ricerche e analisi in materia di sicurezza e criminalità”, i vertici di ICSA hanno varato con il Dipartimento della Pubblica Sicurezza un “Piano di collaborazione scientifica e didattica 2014-2017” per realizzare iniziative di formazione “a beneficio dei soggetti (pubblici e privati) operanti nel settore della security, con particolare riguardo alla protezione delle infrastrutture critiche”. Quello della sicurezza si conferma per tanti uno dei migliori business del XXI secolo.

Inchiesta pubblicata in Left, n, 2, 14 gennaio 2017, https://www.left.it/2017/01/14/questuomo-e-una-sicurezza/.

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