2016. La Nato che verrà…


Aggressiva, dissuasiva e preventiva; onnicomprensiva, globale e multilaterale; cyber-nucleare, superarmata e iperdronizzata; antirussa, anticinese, antimigrante e anche un po’ islamofoba. Strateghi di morte e mister Stranamore vogliono così la NATO del XXI secolo: alleanza politico-economica-militare di chiara matrice neoliberista che sia allo stesso tempo flessibile e inossidabile, pronta ad intervenire rapidamente e simultaneamente ad Est come a Sud, ovunque e comunque.

La prova generale della NATO che verrà… si è svolta dal 3 ottobre al 6 novembre 2015 tra lʼItalia, la Spagna, il Portogallo e il Mediterraneo centrale. Denominata Trident Juncture 2015, è stata la più grande esercitazione NATO dalla fine della Guerra fredda ad oggi, con la partecipazione di oltre 36.000 militari, 400 tra cacciabombardieri, aerei-spia con e senza pilota, elicotteri, grandi velivoli cargo e per il rifornimento in volo e una settantina di unità navali di superficie e sottomarini. Presenti le forze armate di 30 paesi, sette dei quali extra-NATO o in procinto di fare ingresso formalmente nell’Alleanza (Australia, Austria, Bosnia Herzegovina, Finlandia, Macedonia, Svezia e Ucraina). In qualità di “osservatori”, inoltre, gli addetti militari di Afghanistan, Algeria, Azerbaijan, Bielorussia, Brasile, Colombia, Corea del Sud, El Salvador, Emirati Arabi Uniti, Giappone, Kyrgyzistan, Libia, Marocco, Mauritania, Messico, Montenegro, Russia, Serbia, Svizzera e Tunisia. Ai war games pure i delegati di importanti organizzazioni governative internazionali come l’Unione Europea, l’Unione Africana, la Lega Araba e l’OSCE, di alcune agenzie delle Nazioni Unite (OCAH - Coordinamento degli affari umanitari; PNUD  - Programma per lo Sviluppo; UNDSS - Dipartimento di Sicurezza delle Nazioni Unite; UNICEF; PMA - Programma Mondiale di Alimentazione; OIM - Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) e perfino di diverse organizzazioni non governative (ONG) o sedicenti tali. “Abbiamo la necessità che attori militari e non-militari lavorino insieme, cercando di vincere la pace”, ha affermato il generale NATO Hans-Lothar Domröse alla vigilia di Trident Juncture 2015. “L’obiettivo di ottenere la partecipazione di organizzazioni internazionali/ONG/Organizzazioni Governative serve a migliorare la capacità della NATO di interagire con i principali attori civili”, riportava invece la brochure ufficiale dell’esercitazione. In precedenza, era stato pure diffuso un elenco delle istituzioni civili che si erano dichiarate disponibili a presenziare alle manovre NATO, poi misteriosamente sparito dal sito web dell’Alleanza. Nella special list comparivano il Comitato internazionale della Croce Rossa, le ONG Save the Children, Assistência Médica Internacional Foundation, Human Rights Watch, World Vision e le agenzie nazionali alla “cooperazione” United States Agency for International Development (USAID), Department for International Development (DFID), Deutsche Gesellschaft für internationale Zusammenarbeit (GIZ), l’Agencia Española de Cooperación Internacional para el Desarrollo.

Per la prima volta nella storia delle grandi esercitazioni NATO per Trident Juncture si sono mobilitati infine anche i manager delle maggiori industrie internazionali della difesa, “nell’ottica di un proficuo confronto di punti di vista, prospettive ed opinioni su possibili nuove soluzioni tecnologiche e sull’importanza dell’innovazione e della creatività nello sviluppo tecnologico militare”, come ha spiegato il sottosegretario alla difesa italiano, Gioacchino Alfano. Così l’esercitazione è stata la ghiotta occasione per testare e commercializzare nuovi e più sofisticati sistemi d’arma e i centri di comando e controllo delle future guerre ipertecnologizzate, quelle con i droni e i sistemi d’arma del tutto automatizzati e le armi nucleari appositamente ammodernate (missili intercontinentali e le testate come le B-61 presenti nelle basi italiane di Aviano e Ghedi, destinate ai cacciabombardieri di ultima generazione come i costosissimi F-35).

Dal continente nero alla Russia con furore

“L’esercitazione Trident Juncture ha evidenziato che la NATO può andare dove e quando è necessario che vada, per svolgere il lavoro che le viene richiesto”, ha dichiarato il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg.  “Essa è stata finalizzata all’addestramento e alla verifica delle capacità degli assetti aerei, terrestri, navali e delle forze speciali NATO, nell’ambito di una forza ad elevata prontezza d’impiego e tecnologicamente avanzata”. Sempre secondo i massimi vertici atlantici, l’esercitazione ha consentito di simulare “uno scenario adattato alle nuove minacce, come la cyberwar e la guerra asimmetrica e ha rappresentato, inoltre, per gli alleati ed i partner, l’occasione per migliorare l’interoperabilità della NATO in un ambiente complesso ad alta conflittualità”.

L’esigenza di poter disporre di forze militari prontamente schierabili in qualsivoglia scacchiere di crisi e caratterizzate da un’alta capacità d’integrazione e interoperabilità  è stata sottolineata dal generale Petr Pavel, presidente del Comitato militare della NATO. “L’interoperabilità è divenuta ancora più importante dopo che l’Alleanza Atlantica ha accresciuto le proprie operazioni out-of-area nei primi anni ’90”, ha dichiarato Pavel. “Essa è stata migliorata grazie alla cooperazione tra i paesi membri della NATO e i suoi maggiori partner internazionali, con attività addestrative comuni e costanti e lo scambio di buone pratiche. Ci sono molte sfide che siamo chiamati ad affrontare in questo mondo sempre più instabile, come il terrorismo, la pirateria, l’aggressione di uno Stato e la guerra ibrida. L’interoperabilità esercitata durante Trident Juncture 15 ha consentito alle truppe di sviluppare la prontezza e la capacità di contrastare ogni minaccia”.

Lo scenario pianificato per l’esercitazione dal Joint Task Force Command (JFC) di Brunssum, Olanda si è basato su un intervento della NATO al di fuori di quanto contemplato dall’articolo 5 del Trattato istitutivo dell’Alleanza, “su mandato delle Nazioni Unite”. Nello specifico, è stata predisposta una mis­sione di assi­stenza e appog­gio militare a favore di un piccolo paese (Lakuta), invaso da un paese aggressore (Kamon) che contestualmente minacciava un terzo stato confinante (Tytan). Gli eventi si sono susseguiti nell’immaginaria Cera­sia dell’Est, corrispondente - secondo la NATO - all’area geografica compresa tra il Corno d’Africa e il Sudan, contraddistinta da “conflitti etnico-religiosi, dispute per l’accaparrramento di risorse energetiche e idriche, presenza di gruppi insorgenti e terroristici e da masse di rifugiati” e contestulamente colpita “dall’insorgenza di pandemie e malattie infettive”. Se è vero che da tempo il continente africano è al centro degli interessi geostrategici di USA e NATO, gli interventi ipotizzati da Trident Juncture 2015 possono essere facilmente immaginati anche per altri importanti scenari di crisi. “L’esercitazione è stata una prova reale di guerra sul fronte orientale”, ha rilevato l’analista Manlio Dinucci de Il Manifesto. “Non ci vuole infatti molta immaginazione per capire che la Cera­sia dell’Est è l’Europa dell’Est e il paese inva­sore è la Rus­sia, accu­sata dalla NATO di aver invaso l’Ucraina e di minac­ciare altri Stati dell’Est”.

L’esplicita conferma della rinnovata vocazione anti-Mosca dell’Alleanza Atlantica è giunta per voce del generale Petr Pavel. “Negli ultimi dieci anni la NATO si è concentrata soprattutto su esercitazioni di livello inferiore e operazioni di gestione come quelle in Afghanistan, perché durante questo periodo regnava un’atmosfera di collaborazione in Europa, Russia compresa”, ha dichiarato il presidente del Comitato militare NATO alla testata internet Vice News. “Tuttavia, con la crescente situazione di insicurezza dovuta all’annessione della Crimea da parte della Russia e le imponenti esercitazioni organizzate da Putin - molte delle quali non sono nemmeno comunicate all’esterno – c’è bisogno che la NATO metta a punto esercitazioni di portata superiore per essere pronti a qualsiasi evenienza”.

Dello stesso avviso l’ambasciatore Alexander Vershbow, vicesegretario generale della NATO. “La situazione geopolitica è oggi considerevolmente più instabile così come accadeva durante la Guerra fredda”, ha spiegato Vershbow in occasione della presentazione di Trident Juncture 2015. “La comunità politica a Bruxelles è abbastanza preoccupata per la concentrazione militare russa nell’area mediterranea, il sostegno ai separatisti dell’Ucraina orientale e gli attacchi contro i ribelli moderati in Siria. Adesso dobbiamo decidere cosa è necessario, creare deterrenti con la Russia perché non abbia intenzioni aggressive verso la NATO”. Per il vicesegretario NATO, l’Alleanza dovrà essere capace di operare e interscambiare intelligence con i maggiori partner internazionali per poter intervenire nel nuovo arco di crisi che dal Mediterraneo e il Corno d’Africa si estende al Medio Oriente e al Caucaso. “Lo scopo primario della NATO è la difesa collettiva, ma noi dobbiamo guardare aldilà dei nostri confini, gestire le crisi e aiutare i nostri partner a difendersi”, ha dichiarato a fine ottobre Alexander Vershbow. “Non si tratta però di un lavoro che la NATO può fare da sola. Ogni sfida che affrontiamo, a est o a sud, richiede l’energia e gli sforzi di tutta la comunità internazionale, principalmente da parte dei paesi colpiti direttamente e delle organizzazioni come l’Unione Europea, l’ONU, la Lega Araba e l’Unione Africana. Il nostro sostegno agli altri paesi ha nomi diversi – Resolute Support, Defence Capacity Building, Partnerships – ma serve sempre a riformare i loro settori di sicurezza, professionalizzare le forze armate e stabilizzare i confini. Per questo forniamo supporto concreto all’Ucraina, attraverso cinque Trust Funds in aree come il comando e il controllo, la cyber defence e la riabilitazione medica. Abbiamo programmi di formazione militare con la Georgia e la Moldavia e a sud con Giordania e Iraq. In passato abbiamo lavorato con le forze armate egiziane nel campo della protezione anti-mine e con quelle del Marocco per migliorarne l’interoperabilità con la NATO. Stiamo aiutando la Tunisia a modernizzare le sue istituzioni militari, comprese le forze operative speciali. In Mauritania, chiave di volta tra il Maghreb e il Sahel, un Trust Fund NATO ha contribuito a realizzare depositi munizioni, distruggere gli arsenali obsoleti e favorire il ritorno del personale militare alla vita civile”.

Truppe d’élite e forze di pronto intervento per il Terzo Millennio 

Grazie a Trident Juncture, la NATO ha simulato gli interventi maggiormente richiesti nelle guerre moderne, come l’abbordaggio di unità navali, la ricerca, il riconoscimento e l’individuazione degli obiettivi, le operazioni d’infiltrazione ed esfiltrazione, ecc.. “Trident Juncture ha dato forte enfasi alle forze operative speciali”, ha spiegato l’ammiraglio statunitense Erick A. Peterson, capo dello Special Operations Component Command (SOCC). “Più di un  migliaio di uomini delle forze operative speciali hanno preso parte alle operazioni aeree. Essi provenivano da Belgio, Canada, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovenia, Spagna e Stati Uniti d’America e da un paese partner NATO come la Finlandia”. La mega-esercitazione ha inoltre consentito di certificare la piena operativa delle nuove forze di pronto intervento NATO, capaci di mobilitarsi e intervenire in qualsiasi scacchiere mondiale. Nello specifico, Trident Juncture ha permesso di sperimentare per la prima volta in scala continentale quella che è destinata a fare da corpo d’élite della NRF (la forza di pronto intervento NATO), la Very High Readiness Joint Task Force (VJTF), opportunamente denominata Spearhead (punta di lancia). La VJTF sarà pienamente operativa a partire dal prossimo anno e verterà su una brigata di terra di 5.000 militari, supportata da forze aeree e navali speciali e, in caso di crisi maggiori, da due altre brigate fornite a rotazione e su base annuale da alcuni paesi dell’Alleanza. “La Spearhead force sarà in grado di essere schierata in meno di 48 ore”, afferma il Comando NATO. “Essa potrà essere di grande aiuto nel contrastare operazioni irregolari ibride come ad esempio lo schieramento di truppe senza le insegne nazionali o regolari e contro gruppi d’agitatori. Se saranno individuati infiltrati o pericoli di attacchi terroristici, la VJTC potrà essere inviata in un paese per operare a fianco della polizia nazionale e delle autorità di frontiera per bloccare le attività prima che si sviluppi una crisi”.

In vista della creazione della nuova task force, la NATO ha riorganizzato quartier generali e comandi operativi: la Forza di pronto intervento NRF, nello specifico, è stata posta gerarchicamente sotto il controllo del Joint Force Command di Brunssum e del Comando congiunto per il Sud Europa di Napoli - Lago Patria. Attualmente la NRF dispone di una brigata multinazionale con 30.000 militari, supportata da altre due brigate pre-designate all’impiego, due gruppi navali (lo Standing Nato Maritime Group SNMG e lo Standing Nato Mine Countermeasures Group SNMCG), una componente aerea e un’unità CBRN (Chemical, Biological, Radiological, Nuclear). I documenti alleati prevedono a breve un ulteriore rafforzamento della NRF con una brigata da combattimento di 2.500-3.000 uomini (con tre battaglioni di fanteria leggera, motorizzata o aeromobile, più alcuni battaglioni pesanti dotati di artiglieria, del genio, per la “difesa” nucleare, batteriologica e chimica); un gruppo aereo composto da una quarantina tra velivoli da combattimento, di trasporto ed elicotteri “in grado di realizzare sino a 200 sortite al giorno”; una task force navale formata da un gruppo guidato da una portaerei, un gruppo anfibio e un gruppo d’azione di superficie, per un totale di 10–12 navi. A settembre sono stati attivati in Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania sei piccoli quartier generali per le unità integrate nella forza di pronto intervento NATO (NFIU - Force Integration Units) “che consentiranno maggiore velocità ed efficacia nel caso di un loro dislocamento sul fronte orientale”; altre due unità NFIU entreranno in funzione a breve anche in Ungheria e Slovacchia. Il primo dicembre è stato invece inaugurato a Bucarest il quartier generale multinazionale per le operazioni delle forze di pronto intervento sul fronte sud-orientale con 280 uomini. Allo smisurato potere offensivo della NATO Response Force contribuirà dal prossimo anno pure il sofisticato sistema di telerilevamento ed intelligence AGS (Alliance Ground Surveillance) che sarà attivato nella base siciliana di Sigonella con l’acquisizione di alcuni velivoli senza pilota “Global Hawk” di ultima generazione.

La penisola trampolino di guerra

La parte più imponente delle esercitazioni di Trident Juncture 2015 si è svolta in territorio spagnolo: qui la NATO ha schierato oltre 20.000 militari nei poligoni di San Gregorio (Zaragoza), Chinchilla (Albacete), Álvarez de Sotomayor (Almería) e Sierra del Retín (Cadice) e nelle grandi basi di Albacete, Son San Joan (Palma de Mallorca), Torrejón (Madrid) e Zaragoza. Le manovre terrestri hanno riguardato in particolare il combattimento in ambito urbano (con il cosiddetto “Battaglione baltico” attivato da Estonia, Lettonia e Lituania), la “decontaminazione” chimica, biologica, radiologica e nucleare (effettuata da un battaglione attivato da nove paesi), l’addestramento delle artiglierie e il lancio di truppe aviotrasportate (con paracadutisti provenienti da Spagna, Italia, Canada e dall’82^ Divisione aviotrasportata Usa con sede a Fort Bragg, North Carolina). Alle attività in Spagna hanno partecipato anche una task-force del 41° Reggimento “Cordenons” di Sora (Frosinone), specializzato nella raccolta d’informazioni grazie all’utilizzo di piccoli droni ad ala fissa “Raven” e “Bramor” e un reggimento della Brigata “Folgore” per il potenziamento della mobilità strategica delle truppe NATO. Contemporaneamente e in stretto collegamento con Trident Juncture, sempre la “Folgore” è stata impegnata in Italia nell’esercitazione Mangusta insieme a 120 uomini della 173^ Brigata aviotrasportata dell’esercito USA di stanza a Vicenza. Oggetto dell’addestramento “la pianificazione e la conduzione delle operazioni aeree” e la “penetrazione in un teatro operativo ostile popolato da forze avversarie”.

Diciannove i paesi NATO che hanno contribuito alle operazioni aeronavali e di guerra ai sottomarini di Trident Juncture a largo delle coste di Portogallo e Spagna e nel Mediterraneo centrale. Oltre 3.000 militari, provenienti in parte dal corpo dei Marines Usa e della Marina reale britannica hanno partecipato alle simulazioni di sbarco anfibio, tenutesi nel poligono di Capo Teulada in Sardegna. Sempre a Capo Teulada si sono esercitati pure un migliaia di uomini della brigata meccanizzata “Sassari” e più di 500 militari di Albania, Stati Uniti, Ungheria, Germania e Spagna. Nella vicina base di Decimomannu sono stati rischierati invece gli elicotteri HH139 e HH212 del 37° Stormo dell’Aeronautica militare di Trapani Birgi, del 15° Stormo di Cervia (Ravenna) e del 9° Stormo di Grazzanise (Caserta) per svolgere congiuntamente ad alcuni elicotteri sloveni, missioni di infiltrazione/esfiltrazione ed evacuazione medica.

Che le basi militari italiane abbiano ormai assunto un ruolo fondamentale e insostituibile nelle strategie di guerra NATO è confermato pure dalla scelta dell’Alleanza di svolgere la prima fase “simulata” di Trident Juncture 2015 presso la sede del Comando Operazione Aeree (COA) dell’Aeronautica militare di Poggio Renatico, Ferrara. Qui sono stati trasferiti 400 uomini dell’Aeronautica italiana e di 15 Paesi dell’Alleanza per assumere il comando e il controllo di tutte le forze aeree impiegate e certificare l’acquisizione della piena capacità operativa dell’Italian Joint Force Air Component (ITA-JFAC), il Comando integrato della componente aerea che dal 2016 sarà messo a disposizione dell’Alleanza Atlantica per gli interventi della NRF. Lo scorso 17 giugno, a Poggio Renatico è stato attivato il primo sito ACCS (Air Command and Control System) che fornisce alla NATO un sistema C2 di comando e controllo unificato per la pianificazione e l’esecuzione di tutte le operazioni di sorveglianza aerea. Altri siti ACCS diverranno operativi in altri paesi dell’Alleanza tra la fine del 2015 e il 2016. “Una volta completata l’installazione del nuovo sistema, la NATO si assicurerà una copertura dello spazio aereo di più di 10 milioni di km quadrati, mettendo in rete una ventina di grandi centri militari e ampliando enormemente l’efficienza e lo spettro delle proprie attività aeree”, riporta il comando generale dell’Alleanza. Il sistema ACCS sarà pure in grado di rispondere alle richieste operative del nuovo programma di “difesa” aerea e missilistica integrata della NATO (Integrated Air and Missile Defence). “Nelle nostre intenzioni, il primo sito contro i missili balistici diverrà operativo il prossimo anno in Romania e una seconda base sarà pronta in Polonia nel 2018”, ha dichiarato il generale Bernhard Fürst, vicepresidente del NATO Air and Missile Defence Committee. L’ACCS supporterà inoltre il cosiddetto Readiness Action Plan (RAP) approvato il 5 settembre 2014 dal Summit NATO in Galles, per “rispondere velocemente e con fermezza alle nuove emergenze, ovunque esse si presentino”.

Buona parte dei velivoli destinati ai combattimenti aeronavali “simulati” sono decollati invece dallo scalo militare siciliano di Trapani Birgi. Per Trident Juncture 2015, la sede operativa del 37° Stormo dell’Aeronautica ha ospitato 700 militari (500 italiani e 200 stranieri), mentre per le missioni sono stati impiegati 10 cacciabombardieri “Eurofighter Typhoon 2000” (provenienti dal 4° Stormo Ami di Grosseto, dal 36° di Gioia del Colle, Bari e dal 37° di Birgi), 7 caccia “Tornado” in versione MRCA ed ECR (trasferiti in Sicilia dal 6° Stormo di Ghedi-Brescia e dal 50° di Piacenza) e 4 caccia AMX del 51° Stormo di Istrana, Udine. Da Birgi hanno operato pure un aereo per il rifornimento in volo KC130 AAR del 435th Transport and Rescue Squadron di Manitoba (Canada), alcuni cacciabombardieri F-16 “Lockheed Martin” del 347th Squadron di Nea Anchialos (Grecia), un velivolo da trasporto tattico CASA 295 M del 32nd Tactical Air Base di Lask (Polonia) e tre aerei radar E3D-A Awacs della NATO Airborne Early Warning & Control Force con sede a Geilenkirchen (Germania), con funzioni di comando e controllo dal cielo.

Per dirigere le operazioni aeree, la NATO si è avvalsa infine del 22° Gruppo Radar (Gr.A.M.) di Licola, Napoli e dell’Italian DARS (Deployable Air Control Centre, Recognised Air Picture Production Centre and Sensor Fusion Post), il Centro con capacità di comunicazione, sorveglianza, comando e controllo tattico delle operazioni aeree, rischiarato appositamente a Trapani Birgi dal Reparto Mobile di Comando e Controllo (R.M.C.C.) di Bari Palese. Sempre a Birgi, il 3° Stormo con base a Villafranca (Verona) ha trasferito una tendostruttura polifunzionale di grandi dimensioni. Gli altri reparti dell’Aeronautica che hanno partecipato a Trident Juncture 2015 sono stati il 14° Stormo di Pratica di Mare con i velivoli KC-767° per il rifornimento in volo degli aviogetti italiani ed alleati e il 32° Stormo di Amendola (Foggia) con i velivoli a controllo remoto “Predator” MQ-1C e MQ-9A per le operazioni d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento. Decurtando salari e la spesa sociale, l’Italia si è trasformata in un’infernale macchina di distruzione a servizio della NATO e del capitale finanziario transnazionale.

 
Articolo pubblicato in Casablanca, n. 42, novembre-dicembre 2015.

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