Muos. C’è un giudice a Caltagirone
Applicare
i sigilli all’interno di una base militare dove le forze armate straniere
ospitate realizzano un modernissimo strumento di morte. Non lo aveva mai fatto
nessuno in Italia. Forse non lo hanno mai fatto in Europa. A Niscemi, in
Sicilia, i magistrati - due volte in tre anni - hanno dichiarato illegittimi e
abusivi i lavori di costruzione del MUOS, il nuovo sistema di telecomunicazioni
satellitari che coordinerà tutti gli interventi militari futuri della prima
potenza mondiale, gli Stati Uniti d’America. Dall’1 aprile, i cantieri del
MUOS, all’interno di una delle aree naturali protette più belle e delicate
dell’Isola, la “Sughereta di Niscemi”, sono sotto sequestro e né le imprese
contractor né i militari a stelle e strisce possono farvi ingresso.
L’apposizione dei sigilli è stata disposta dal Gip del Tribunale di
Caltagirone, Salvatore Ettore Cavallaro, su richiesta del Procuratore Giuseppe
Verzera. Il 6 ottobre 2012 era
stato l’allora procuratore calatino, Paolo Francesco Giordano, a ottenere un
primo ordine di sequestro, prontamente annullato dal Tribunale della libertà di
Catania.
“I lavori del MUOS sono stati eseguiti senza la
prescritta autorizzazione assunta legittimamente o in difformità di essa, e
insistono su beni paesaggistici, all’interno della riserva naturale orientata
di Niscemi in zona A, di inedificabilità assoluta, in violazione delle
prescrizioni del decreto istitutivo e del regolamento inerente”, scrivono i
giudici di Caltagirone nell’ordinanza di sequestro. Sette gli indagati per violazione
del “Codice dei beni culturali e del paesaggio”: Giovanni Arnone, all’epoca dirigente
dell’Assessorato territorio e ambiente della Regione Sicilia, responsabile del
procedimento di autorizzazione del MUOS; i responsabili legali delle aziende
appaltatrici Mauro Gemmo (presidente della Gemmo S.p.A. di Vicenza); Adriana
Parisi (Lageco di Catania); Concetta Valenti (Calcestruzzi Piazza di Niscemi);
Carmelo Puglisi (PB Costruzioni); Maria Condorelli (CR Impianti); il direttore
dei lavori Giuseppe Leonardi. “Ai professionisti che svolgono queste attività
sul territorio da moltissimo tempo non poteva sfuggire la macroscopica
illegittimità dei decreti autorizzativi emessi”, commenta amaramente la
Procura.
“Ad integrazione delle indagini, nuovi rilievi sono
venuti in soccorso ai giudici di Caltagirone”, spiega il Coordinamento dei
Comitati No Muos. “Innanzitutto la sentenza del Tar di Palermo che il 23
febbraio 2015 ha accolto i ricorsi dei nostri legali e di Legambiente contro
l’atto della Regione siciliana del 24 luglio 2013 che aveva revocato lo stop ai
lavori di costruzione dell’impianto militare, ordinato il 29 marzo precedente.
Riconoscendo la fondatezza delle denunce sui gravi rischi del sistema
satellitare per la salute e l’ambiente e per la sicurezza del traffico aereo in
Sicilia, il Tar ha dichiarato il cantiere MUOS abusivo e illegittimo,
annullando le autorizzazioni. Altrettanto determinanti le richieste di
sequestro presentate dall’Associazione antimafie “Rita Atria”, in cui si
sottolineava come all’interno della base i lavori continuavano illegalmente, nonostante
la sentenza del Tar”.
I provvedimenti giudiziari sono stati accolti con
favore dai No MUOS, ma quanto accaduto nei quasi dieci anni di campagne di
lotta contro il sistema di guerra, impone cautela e l’esigenza di tenere alta
la mobilitazione. “Abbiamo dato vita a innumerevoli cortei, sit-in e blocchi
stradali; abbiamo invaso in due occasione con migliaia di persone la base Usa; ci
sono stati scioperi cittadini; nei Comuni sono state approvate mozioni contro
le megaparabole e decine di interrogazioni e interpellanze sono state
presentate al parlamento europeo e in quelli nazionale e regionale, ma le
uniche risposte sono state le repressioni, le violenze sui pacifici
manifestanti e l’arroganza di proseguire i lavori in violazione delle normative
urbanistiche, ambientali e persino antimafia”, spiegano i portavoce del
Coordinamento No MUOS. “La vicenda di questo sistema d’arma di proprietà ed uso
esclusivo delle forze armate Usa, la sua installazione in territorio italiano
in barba alla Costituzione e ai principi di sovranità nazionale, sono questioni
meramente politiche che vanno affrontate e determinate in sede politica. Ancora
una volta in Italia, invece, l’assenza o l’irresponsabilità della politica
impone alle Procure e ai Tar d’intervenire per colmare i vuoti e riportare la
legalità dove impera l’illegalità e l’arbitrio. Il MUOS è purtroppo l’ennesima emblema
della crisi profonda della democrazia. In questo clima, ovvio attendersi
ulteriori colpi di coda reazionari da parte delle istituzioni nazionali per
imporre, sulla pelle dei cittadini e del diritto, il completamento a Niscemi
del programma bellico di Washington”.
Il 4 aprile scorso, giorno in cui di fronte alla base
di Niscemi migliaia di persone provenienti da tutta la Sicilia davano vita a un
gioioso serpentone multicolore, sulla prima pagina del Corriere della Sera il prof. Angelo Panebianco ha dedicato alle
vicende del MUOS un lungo e inquietante editoriale dal titolo “Il paese nelle
mani dei Tar”. “Esso è un sistema di comunicazione concepito per accrescere la
capacità di individuazione dei pericoli”, scrive Panebianco. “È sconcertante
che la nostra sicurezza nazionale (di cui gli impegni con l’alleato americano
sono un’essenziale componente) sia appesa alle decisioni di Tar e procure. È
sconcertante, inoltre, che tali decisioni siano prese sotto la spinta di una
mobilitazione cosiddetta ambientalista contro presunti, e tutti da dimostrare, rischi per la salute, proprio in una
fase in cui si profilano minacce gravissime per la vita (e dunque - si suppone
- anche per la salute) degli
italiani, in una fase in cui andrebbero accresciuti, e non indeboliti, tutti
gli strumenti possibili di difesa, nonché la capacità del Paese di dimostrarsi
un partner affidabile per i suoi alleati militari”.
Per l’illustre politologo-editorialista il Muos è dunque
la “nostra” arma eccellente per difenderci dai nuovi barbari del Califfato, che
nessuna norma costituzionale o giuridica deve vietare o limitare, anche a costo
di tornare all’assolutismo del XVII secolo. Peccato che di “difensivo” il MUOS,
come appurato dai manuali e dai report strategici delle forze armate Usa, non
abbia proprio nulla e che la sua architettura, invece, è necessaria a consolidare lo strapotere planetario del
Pentagono e accelerare il passaggio tragicamente epocale verso la completa
automatizzazione e dronizzazione delle guerre.
Che il MUOS serva a difendere l’Occidente dall’Isis,
lo crede solo Panebianco e qualche sottosegretario di governo. Ad oggi i
due satelliti lanciati nello spazio sono serviti alla Marina Usa solo ad
attivare le “prime connessioni satellitari affidabili” nel Mar Glaciale Artico.
“L’Oceano Artico è una delle aree più importanti dal
punto di vista strategico”, ha spiegato l’ammiraglio Gary Roughead, (ex) capo
delle Operazioni navali. “Esso lambisce diverse nazioni e serve come importantissima
via di comunicazione marittima tra l’Atlantico e il Pacifico. La capacità di
operare in questa regione in ogni periodo dell’anno e in ogni condizione atmosferica
e ambientale è vitale per i nostri interessi nazionali e consente agli Stati
Uniti un accesso sicuro alle risorse naturali esistenti e a tutte le aree
operative marittime del mondo”. Per questo, l’estate scorsa, sono stati avviati
i test per mettere in rete i satelliti e i terminali MUOS con i sottomarini
nucleari in immersione nei ghiacciai polari. Nel 2015 i test si estenderanno al
polo Sud, nella frenetica e folle corsa per impadronirsi e sfruttare le immense
risorse naturali dell’Artico e dell’Antartico.
Pubblicato in Adista Segni nuovi, n. 15 del 25 aprile
2015
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