L`omicidio dell'urologo Attilio Manca. L`asse Corleone-Messina
C`è più di un legame tra l`operazione alla prostata a Marsiglia del boss
Bernardo Provenzano (allora latitante) e la morte a Viterbo dell`urologo
barcellonese Attilio Manca. Nello sfondo i traffici di morte di una delle
cosche di mafia più potenti di tutta la Sicilia.
Si nasconde a Barcellona Pozzo di Gotto la chiave per
svelare due dei misteri di mafia più inquietanti degli ultimi anni. Primo
mistero: l’intervento chirurgico a cui si sottopose in Francia il
superlatitante Bernardo Provenzano nell`ottobre del 2003. Secondo mistero:
l’omicidio in un appartamento di Viterbo – il 12 febbraio 2004 – dell’urologo
barcellonese Attilio Manca. Il suo cadavere fu rinvenuto seminudo sul letto,
riverso in una pozza di sangue, il setto nasale deviato, il corpo pieno di
macchie emostatiche. Stando agli inquirenti, Manca – mancino – si sarebbe
iniettato due volte nel polso sinistro una miscela letale di “eroina,
tranquillanti e alcol”. E il caso archiviato.
Personaggi differenti, mondi distanti, ma un’unica
storia, forse coincidente. Provenzano giunse in Francia l’1 ottobre 2003. Dopo
aver trascorso una ventina di giorni in un appartamento di Marsiglia, il 24
ottobre venne ricoverato nella clinica Casamance di Aubagne, sotto il nome di
Gaspare Troia. Provenzano subì una delicata operazione alla prostata e la
degenza si protrasse sino al 31. Poi rientrò a Marsiglia e il successivo 4
novembre era già in Sicilia.
Attilio Manca è uno dei primi urologi in Italia ad
eseguire un intervento alla prostata per via laparoscopica, una tecnica appresa
nell`ospedale Montsouris di Parigi e che si realizza insufflando anidride
carbonica nell`addome attraverso l`ombelico. Secondo i genitori, mai
rassegnatisi agli esiti delle indagini sin troppo superficiali, potrebbe essere
stato Attilio a visitare e assistere il boss in quella trasferta d’oltralpe e
successivamente. L’ipotesi dei Manca è rafforzata anche sulla scorta di
segnalazioni fatte loro in ambiente barcellonese. All’insaputa dei colleghi, il
giovane urologo aveva effettuato un viaggio in Costa Azzurra proprio
nell’ottobre 2003. In una telefonata egli aveva spiegato al padre che si
trattava di un “viaggio di lavoro finalizzato ad effettuare una visita per un
intervento chirurgico”. In una successiva comunicazione telefonica, il medico
aveva detto ai genitori di trovarsi “dalle parti di Marsiglia”.
Una missione volutamente tenuta nell’ombra. Come
misterioso il comportamento dell’urologo negli ultimi giorni prima della sua
morte. L’11 febbraio 2004 aveva fissato una cena con il professore Gerardo
Ronzoni, primario di Urochirurgia al Policlinico di Roma, alla quale però non
si era presentato. La mattina aveva chiamato i genitori, chiedendo loro di
riparare una moto tenuta a Terme Vigliatore. “Attilio ci parve preoccupato”,
raccontano i coniugi Manca. “Altre volte ci aveva fatto intendere di avere
preoccupazioni legate alla professione. Ma quel colloquio ci parve strano. Dopo
la sua morte portammo in un’officina la moto. Funzionava regolarmente”.
Preoccupato dunque, non depresso al punto di decidere
il suicidio, come ipotizzato in un primo momento dagli inquirenti che non
avevano notato l’ineliminabile contraddizione con l’uso della mano destra, per
lui innaturale. Attilio Manca aveva in programma un periodo di volontariato in
Bolivia con Medici senza Frontiere, a cui sarebbe seguito un training a
Cleveland (Stati Uniti), presso un istituto altamente specializzato. Il
problema è però che di quella telefonata non c’è traccia nei tabulati in mano
agli inquirenti. “C’è un’altra telefonata abbastanza lunga che non compare nei
tabulati, fatta dalla madre al figlio l’8 febbraio”, dichiara l’avv. Fabio
Repici, legale dei coniugi Manca. Misteri nel mistero di una morte violenta.
Ugo Manca è cugino di primo grado di Attilio e abita
accanto alla casa dei genitori. È stato recentemente condannato dal Tribunale
di Barcellona a nove anni di reclusione per traffico di stupefacenti nel
procedimento Mare Nostrum. È sua l’unica impronta presente nella casa di
Viterbo in cui venne ritrovato il corpo dell’urologo. Così lo descrive l’ex
collaboratore di giustizia Maurizio Bonaceto: “è il braccio destro di Giulio
Calderone e si occupa del ritiro della droga e degli eventuali trattamenti
della stessa. Gli ordinativi, il prezzo e la ripartizione delle zone di spaccio
sono gestite da Giulio in accordo con Manca e con il fratello Mario Calderone,
elemento indispensabile per le frequentazioni che ha a Barcellona. Mario
Calderone è il factotum dell’avvocato Giuseppe Santalco”. Quest’ultimo è figlio
dello scomparso sen. Carmelo, ex sindaco Dc della città del Longano. Imputato
per mafia al processo Mare Nostrum, il legale è tra gli esponenti di punta
della locale Margherita. A Barcellona – secondo la Questura di Messina – Giulio
Calderone avrebbe militato nell’organizzazione di estrema destra “Terza
Posizione”, per poi candidarsi alle elezioni comunali del 1985 per l’MSI-DN
insieme al boss mafioso Giuseppe Gullotti, all’odierno sindaco Candeloro Nania
ed a Giuseppe Buzzanca, segretario provinciale di An. Tra i neofascisti del
Longano in odor di mafia, Rosario Cattafi, legato da lunga amicizia ad Ugo
Manca e sottoposto sino al 2005 alla misura antimafia della sorveglianza
speciale con obbligo di soggiorno “per la pericolosità dei suoi contatti,
particolarmente intensi proprio nella stagione delle stragi” con Benedetto
Santapaola, Giuseppe Gullotti e Pietro Rampulla. Secondo Giovanni Brusca, fu
Gullotti a consegnargli il telecomando per l’attentato di Capaci, mentre
Rampulla, artificiere ‘nero’ di Cosa nostra, allestì l’ordigno.
lI patto di sangue
Corleone-Barcellona si sviluppò sotto l’ala protettiva di Provenzano, latitante
tra Bagheria e il messinese. Sin dalla fine degli anni ’70 in questa provincia
si insediarono vere e proprie “cellule” corleonesi. Per la gestione dei
traffici di droga e degli appalti, fu inviato a Messina Michelangelo Alfano,
imprenditore vicino a Leonardo Greco, capomandamento di Bagheria. Le cosche
della vicina Milazzo sono tra le più fedeli alleate dei clan nisseni diretti da
Giuseppe Madonia: il cugino Luigi Ilardo fu incaricato direttamente da
Provenzano di contattare i colletti bianchi del triangolo
Bagheria-Messina-Barcellona. “Ricordo che i fratelli Sebastiano e Pietro
Rampulla si nascosero in una masseria di Antonio Ferro, tra Gela e Butera”,
raccontò Luigi Ilardo al tenente colonnello Riccio dei Ros, qualche giorno
prima di essere assassinato. Il mafioso Antonio Ferro era uno dei pochi a
conoscere l’identità del “ragioniere” che incontrava periodicamente a Bagheria
nella fabbrica di Leonardo Greco. Dal “ragioniere” si recava pure Santapaola,
già latitante nel barcellonese, arrestato nel ’93 a Caltagirone a due passi da
una tenuta dei Rampulla. Quel “ragioniere” era Provenzano…
Articolo pubblicato il 3 luglio 2006 in Terrelibere.org, http://www.terrelibere.org/2300-lomicidio-dellurologo-attilio-manca-lasse-corleone-messina/
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