Guerra ai siciliani con i droni di Sigonella
Un carosello in cielo, giù
c’è Catania, il blu dello Ionio, l’Etna nera con il cocuzzolo perennemente
innevato. Due, cinque, otto, dieci interminabili minuti, l’aereo che oscilla,
vibra, scende, risale. E il cuore che accelera. Paura di volare? Mai. Ma perché
ci sta tanto ad atterrare? E che cavolo! ogni volta la stessa storia. Arrivi in
orario ma poi ti fanno girare per mezz’ora su Fontanarossa. E sudi freddo,
senti una strana pressione sullo stomaco. Quasi sempre non ti dicono nulla. Non
ti spiegano perché. Domenica all’una invece, sul Pisa-Catania, il comandante
annuncia che straremo in aria un po’ sino a quando la torre di controllo non ci
autorizzerà all’atterraggio. C’è un intenso traffico aereo militare sullo scalo
di Sigonella.
Cazzo,
‘sti americani giocano alla guerra perfino all’ora di pranzo e nel giorno del
Signore, sdrammatizza il vicino di poltrona già superabbronzato.
Beh, sempre meglio di quanto è accaduto a
mio zio la scorsa estate. Veniva da Venezia e gli hanno dirottato all’ultimo l’aereo
a Punta Raisi. Allora c’erano i war games degli yankees e della NATO, gli
ultimi fuochi sulla Libia da liberare. Le spregiudicate manovre dei famigerati
aerei senza pilota, gli UAV-spia Global
Hawk e i Predator stracarichi di
missili e bombe a guida laser.
Da due anni il terzo
aeroporto d’Italia come volume di traffico, oltre sei milioni e mezzo di
passeggeri l’anno, è asservito alla dronomania della Marina e dell’Aeronautica
militare degli Stati Uniti d’America. Atterraggi e decolli ritardati, le
attività sospese in pista e nelle piattaforme, timetable che per effetto domino impazziscono in tutto il
Continente, gli imprevisti e faticosi dirottamenti su Palermo. Volare da o su
Catania vuol dire disagi che si sommano ai disagi, nuovi pericoli che si
aggiungono a quelli vecchi. In futuro sarà peggio. Entro il 2015, la grande
stazione aeronavale di Sigonella sarà consacrata capitale mondiale degli aerei senza pilota e ospiterà sino a venti Global Hawk e sciami di droni d’attacco
e di morte. E Fontanarossa sarà soffocata, imprigionata, asservita alla guerra.
“Sì, il traffico civile
subisce certe riduzioni e interferenze per l’attività militare del vicino scalo
di Sigonella”, ammette Gaetano Mancini,
presidente della Sac, la società che gestisce l’aeroporto etneo. “Tutto però è
sotto controllo e mai ci sono stati problemi per la sicurezza dei passeggeri. Negli
ultimi mesi la situazione si è poi fatta sicuramente meno pesante”. L’ordine di
scuderia è tranquillizzare ed evitare allarmismi. Eppure dall’8 marzo di
quest’anno a Fontanarossa sono state sospese tutte le procedure strumentali
standard nelle fasi di accesso, partenza e arrivo degli aeromobili, “causa
attività degli Unmanned Aircraft”, gli
aerei senza pilota in dotazione alle forze armate statunitensi e alleate, come specificato
da una nota ai piloti di aeromobili (NOTAM) emessa dalle autorità preposte al
controllo del traffico. Le limitazioni dovevano durare sino allo scorso 5
giugno, ma un giorno prima della scadenza dei termini, tre NOTAM distinti dai
codici B4048, B4049 e B4050 hanno prorogato la sospensione delle procedure
standard sino al prossimo 1 settembre. Anche stavolta il transito dei voli
civili, in piena stagione estiva, sarà subordinato alle evoluzioni dei droni.
Semaforo giallo anche per i cacciabombardieri e gli aerei radar e da trasporto
uomini e mezzi delle forze armate. Un altro avviso, codice M3066/12, ha ordinato
infatti la sospensione di tutte le strumentazioni standard al decollo e
all’atterraggio nel Sigonella Airport, dal 4 giugno all’1 settembre 2012, anche stavolta per le attività degli
Unmanned Aircraft.
La Sicilia trampolino bellico si trasforma in
laboratorio sperimentale del piano di iper-liberalizzare lo spazio aereo alle
scorribande degli aerei senza pilota. La sicurezza delle popolazioni e dei
passeggeri sacrificata all’altare degli interessi economici del complesso
militare industriale USA. In Europa e aldilà dell’Atlantico, governi
e organismi internazionali sembrano impotenti di fronte all’intollerabile
pressing dei produttori di droni. Il business è enorme: secondo gli
analisti economici, nei prossimi dieci anni la spesa annua per i sistemi senza
pilota crescerà da 6,6 ad 11,4 miliardi di dollari e ci sarà pure un’ampia espansione
anche in ambito civile. Solo in riferimento alla
tipologia degli UAV ospitati pure a Sigonella (gli RQ-4 Global Hawk, gli MQ-9
Reaper e gli MQ-1 Predator), il Pentagono
vuole portarli dagli attuali 340 a 650 nel 2021. Ognuno di essi ha costi insostenibili.
Ogni falco globale di US Air Force,
quello più vecchio, costa 50 milioni di dollari (in Sicilia ce ne saranno
presto cinque). Gli altri cinque UAV previsti per Sigonella con il programma Allied Ground Surveillance (AGS) di
sorveglianza terrestre della NATO, costeranno complessivamente 1,7 miliardi
di dollari. Spesa record di 233 milioni a drone per la versione Global Hawk acquistata dalla Marina USA
nell’ambito del programma Broad Area
Maritime Surveillance (BAMS) che vedrà ancora la Sicilia piattaforma
avanzata per i raid in Africa, Medio Oriente e sud-est asiatico.
Due anni fa, senza che sia
stato ancora disciplinato l’impiego degli aeromobili a pilotaggio remoto nel
sistema del traffico aereo europeo, l’Aeronautica militare e l’Ente nazionale
per l’aviazione civile (Enac) hanno siglato un accordo tecnico per consentire l’impiego
dei Global Hawk di Sigonella
nell’ambito di spazi aerei “determinati” (terminologia del tutto nuova rispetto a
quella in uso nei NOTAM dove gli spazi sono proibiti,
pericolosi o limitati). In linea teorica si annuncia l’adozione di
procedure di coordinamento tra autorità civili e militari “tese a limitare al
massimo l’impatto sulle attività aeree civili” e “nel rispetto dei principi della sicurezza del volo”, anche se poi si
ammette che per le operazioni “connesse a situazioni di crisi o di conflitto
armato”, l’impiego dei droni non sarà sottoposto a limitazioni di alcun genere.
Nel Mediterraneo cronicamente in fiamme è come dare illimitata libertà di
azione ai falchi globali e ai predatori del cielo e del mare.
“I velivoli telecomandati rappresentano un rischio
insostenibile per il traffico civile e le popolazioni che risiedono nelle
vicinanze degli scali utilizzati per le manovre di decollo e atterraggio”,
denunciano gli attivisti della Campagna
per la smilitarizzazione di Sigonella. “Negli Stati Uniti d’America
il tasso degli incidenti agli aerei senza pilota è nettamente superiore a quello
dell’aviazione generale e di quella commerciale, come più volte sottolineato
dalla Federal Aviation Administration,
l’amministrazione responsabile per la gestione delle attività nello spazio aereo
nazionale”. Il 15 luglio 2010, durante un’audizione alla Commissione per la
sicurezza pubblica interna del Congresso, la vicepresidente della FAA ha
espresso forti perplessità su una “rapida e piena integrazione” dei sistemi
senza pilota nel traffico aereo generale, così come auspicato dal Pentagono e
dal presidente Obama. “Molti dei dati a nostra disposizione arrivano solo dalla
Customs and Border Protecion (CPB)
che pattuglia i nostri confini”, spiega la Federal
Aviation Administration. “Essi ci rivelano che i ratei di incidenti degli
UAS sono molto grandi. Dall’anno fiscale 2006 alla data del 13 luglio 2010, ad
esempio, la CPB ha riferito un tasso incidentale grave di 52,7 ogni 100.000 ore
di volo, cioè oltre sette volte più alto di quello dell’aviazione generale e
353 volte più elevato di quello dell’aviazione commerciale. Non si deve poi dimenticare
che il numero di ore di volo denunciato, 5.688, è molto basso rispetto a quello
che viene solitamente considerato in aviazione per fissare i dati sulla
sicurezza e gli incidenti…”.
Un recentissimo report di Bloomberg, la maggiore società statunitense di analisi del mercato economico
e finanziario, ha messo il dito nella piaga droni. Da quando sono operativi con
US Air Force, Global Hawk, Preador e Reaper hanno subito 129 incidenti in cui i danni hanno comportato
una spesa superiore ai 500.000 dollari o è avvenuta la distruzione del velivolo
in missione. “Questi tre tipi di UAV sono quelli con il maggior tasso
d’incidente di tutta la flotta aerea militare”, scrive Bloomberg. “Insieme hanno cumulato 9,31 incidenti ogni 100.000 ore
di volo, tre volte in più degli aerei con pilota”. Il Global Hawk, da solo, ha un tasso di 15,16.
“Effettivamente il rateo
d’incidenti dei sistemi aerei senza pilota (UAS) non è incoraggiante”, ammette
il maggiore dell’aeronautica, Luigi Caravita, autore di un approfondito studio
sui droni pubblicato dal Centro Militare di Studi Strategici (Cemis). “La
mancanza di una capacità matura di sense
& avoid (senti ed evita)
verso altro traffico può diventare ancor più critica se associata alla
vulnerabilità o alla perdita del data link tra segmento di terra e segmento di
volo: in più di un occasione un Predator
è stato perso a seguito d’interruzione del data link”, spiega il maggiore. “Ad
oggi gli UAS militari non sono autorizzati a volare, se non in spazi aerei
segregati, perché non hanno una banda aeronautica protetta, non sono ancora
considerati sufficientemente affidabili, non hanno ancora totalizzato un numero
di ore di volo sufficiente da costituire un safety
case rappresentativo e convincente, non è stata ancora dimostrata adeguata
resistenza da attacchi di cyber warfare”.
Analoghe considerazioni sono
state fatte dal comando generale di US Air Force nel documento che delinea la
visione strategica sull’utilizzo di questi sistemi di guerra (The
U.S. Air Force Remotely Piloted Aircraft and Unmanned Aerial Vehicle -
Strategic Vision). “I velivoli senza pilota sono sensibili alle condizioni
ambientali estreme e vulnerabili alle minacce rappresentate da armi cinetiche e
non cinetiche”, scrivono i militari statunitensi. Per questo Eurocontrol,
l’organizzazione per la sicurezza del traffico aereo a cui aderiscono 38 stati europei,
ha stabilito nel marzo 2010 alcune linee guida per la gestione del traffico
aereo dei falchi globali destinati
allo scacchiere continentale. In
particolare, si raccomanda d’isolare i droni-spia da altri usuari dello spazio
aereo. “Dato che i Global Hawk
non possiedono certe capacità, come il sense
and avoid, è necessario che i decolli e gli atterraggi avvengano in spazi
aerei segregati dai livelli normalmente utilizzati dai convenzionali aerei con
pilota, mentre le missioni di crociera dovranno essere effettuate ad altitudini
non occupate da essi”. Nel caso di Catania-Fontanarossa, scalo a meno di una
decina di km in linea d’aria da Sigonella, le raccomandazioni di Eurocontrol
sono solo carta straccia.
Sulle scellerate scelte USA
e NATO d’installare i Global Hawk in
Sicilia è intervenuto uno dei massimi esperti dell’aviazione italiana, il
comandante Renzo Dentesano, pilota per quarant’anni dell’Aeronautica ed
Alitalia, poi consulente del Registro aeronautico e perito per diverse Procure
nei procedimenti relativi ad incidenti aerei. “Questi aeromobili militari
saranno in grado di partire e tornare alla base siciliana dopo aver compiuto
missioni segrete e pericolose, delle quali nessuno deve saper nulla, onde poter
effettuare con successo i loro compiti di sorveglianza e spionaggio”, scrive
Dentesano. “È pur vero che nei loro piani d’impiego è previsto che il Comando
che li utilizzerà abbia tutte le informazioni necessarie in merito al traffico
che interessa lo spazio aereo nelle loro traiettorie, invece, le autorità civili
non sapranno nulla di quanto programmato e qualche Controllore avvisterà sugli
schermi radar del traffico che sarà etichettato
come sconosciuto, del quale quindi
ignoreranno sia le intenzioni che le manovre e le traiettorie”.
“Questo tipo di ricognitori,
concepiti appunto per missioni troppo rischiose per essere affidate a mezzi con
a bordo degli esseri umani, nonostante tutte le misure di security di cui sono
dotati i loro ricevitori di bordo, possono essere interferiti da segnali
elettronici capaci di penetrare nei loro sistemi di guida e controllo, in modo
da causarne la distruzione”, aggiunge Dentesano. “Il Global Hawk, come pure il Predator,
non risultano in grado di assicurare l’incolumità del traffico aereo civile.
Essi non sono in grado di variare la loro traiettoria di volo in senso
verticale, salendo o scendendo di quota, come la situazione per evitare una
collisione prontamente richiederebbe. E la sola variazione della direzione di
moto, rimanendo alla stessa altitudine, potrebbe non bastare ad evitare un
disastro che coinvolga un traffico civile”.
L’allarme è stato lanciato
da tempo ma Governo, Regione ed enti locali non vedono, non sentono, non
parlano. Il DC 9 abbattuto da un missile nel cielo di Ustica, il 27 giugno di
32 anni fa, è un ricordo sbiadito. Con i droni liberi di planare sulle teste
dei siciliani è scattato il count down
per l’ennesima strage di stato.
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