Invasione di droni nei cieli della Sicilia
Droni,
droni e ancora droni. Sarà intensissimo, in estate, il via vai di aerei
militari senza pilota sui cieli siciliani. Decine di decolli ed atterraggi
nella base USA e NATO di Sigonella che faranno impazzire il traffico aereo nel
vicino scalo civile di Catania Fontanarossa. Grandi aerei spia del tipo Global Hawk e i Predator e i Reaper
carichi di bombe e missili che sorvoleranno l’isola e solcheranno i mari,
pregiudicando la sicurezza dei voli e delle popolazioni.
Le
notificazioni ai piloti di aeromobili (NOTAM) emesse lo scorso 4 giugno
lasciano presagire tragici scenari di guerra in Siria e nell’intero scacchiere
mediterraneo e mediorientale. Tre riguardano lo scalo di Fontanarossa e sono
distinti dai codici B4048, B4049 e B4050. Impongono la sospensione delle
procedure strumentali standard nelle fasi di accesso, partenza e arrivo degli
aerei, tutti i giorni sino al prossimo 1 settembre, “causa attività degli Unmanned Aircraft”, i famigerati aerei
senza pilota in dotazione alle forze armate statunitensi e italiane. “Le
restrizioni sopra menzionate verranno applicate su basi tattiche dall’aeroporto
di Catania”, specificano i NOTAM. Che le operazioni dei droni riguardino la
stazione aeronavale di Sigonella, lo si apprende da un altro avviso, codice
M3066/12, che ordina la sospensione di tutte le strumentazioni standard al
decollo e all’atterraggio nel Sigonella
Airport, dal 4 giugno all’1 settembre 2012, “per l’attività di Unmanned Aircraft militari”. Il grande
scalo delle forze USA e NATO subirà inoltre “restrizioni al traffico aereo”,
nei giorni 19 e 20 giugno, per una vasta esercitazione aeronavale
nel Mediterraneo. Gli ennesimi giochi di guerra alleati che potrebbero
annunciare l’attacco finale al regime di Assad.
“Quelle
oggetto nei NOTAM relativi all’aeroporto di Catania, sono di aerei militari
senza pilota italiani o americani a Sigonella?”, chiede l’Associazione
Antimafie “Rita Atria” che per prima ha rilevato l’intensissima attività dei
droni in Sicilia. “L’Amministrazione Obama usa questi velivoli anche per
uccidere presunti terroristi e in queste missioni ci sono sempre i cosiddetti effetti collaterali: uccisioni di
bambini, donne e uomini innocenti civili. Conta ancora qualcosa la volontà
popolare in Italia? Noi non abbiamo dato mandato a nessuno in Parlamento di autorizzare
gli aerei senza pilota a fare quello che vogliono in occasione di guerre come
quella in Libia e in Afghanistan, volando nel nostro spazio aereo e ponendo gravi
limitazioni al traffico aereo civile. Per questo dobbiamo mobilitarci contro i droni,
per smilitarizzare i nostri territori e riprenderci la nostra sovranità che ci
hanno dato i Padri Costituenti”.
“Con
la trasformazione di Sigonella in capitale mondiale degli aerei senza pilota e l’installazione
a Niscemi del terminale terrestre del MUOS, il nuovo sistema satellitare della
marina militare USA, la Sicilia diviene l’epicentro delle guerre globali e
permanenti del XXI secolo”, commenta Alfonso Di Stefano della Campagna per la smilitarizzazione. “Attualmente
sono schierati a Sigonella due o tre Global
Hawk dell’US Air Force. Entro il 2015, però, diverranno operativi l’AGS, il
sistema di sorveglianza terrestre della NATO e il Broad Area
Maritime Surveillance (BAMS) di US Navy e
i grandi aerei-spia saranno più di una ventina. Che ne sarà allora del traffico
aereo civile nell’isola che già oggi è pesantemente limitato dalle spericolate
operazioni belliche dei droni italiani e stranieri?”.
Due anni fa, l’Aeronautica
militare e l’ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) siglarono un accordo
tecnico per l’attività di aeronavigazione nello spazio aereo italiano dei Global Hawk schierati a Sigonella nell’ambito
dell’accordo Italia-Stati Uniti del 2008. Senza attendere una normativa europea
che disciplini in via definitiva l’impiego degli aeromobili a pilotaggio remoto
nel sistema del traffico aereo generale, l’accordo ha consentito l’impiego dei droni
nell’ambito di spazi aerei “determinati” e con l’adozione di procedure di
coordinamento tra autorità civili e militari “tese a limitare al massimo l’impatto
sulle attività aeree civili”. All’Aeronautica militare è stata attribuita la “predisposizione
degli spazi aerei necessari all’impiego operativo ed addestrativo dei velivoli
militari a pilotaggio remoto”, mentre l’Enac dovrebbe curare in coordinamento
con l’Enav (ente nazionale per l’assistenza al volo) gli aspetti di gestione e
controllo del traffico aereo generale.
Il testo del documento è simile
a quello che era stato siglato nel novembre 2008 per le operazioni di volo dei Predator in dotazione al 32° Stormo Ami di
Amendola (Foggia), utilizzati nella guerra in Afghanistan e più recentemente in
Libia. Secondo gli accordi, i profili delle
missioni, le procedure operative, le aree di lavoro e gli equipaggiamenti, dovrebbero
essere stabiliti “nel rispetto dei principi della sicurezza del volo”, anche se
è poi precisato che in caso di “operazioni connesse a situazioni di crisi o di
conflitto armato” l’impiego dei droni non può essere sottoposto a limitazioni
di alcun genere. E questo nonostante i velivoli telecomandati rappresentino un rischio
insostenibile per il traffico civile e le popolazioni che risiedono nelle vicinanze
degli scali utilizzati per le manovre di decollo e atterraggio.
“Effettivamente
il rateo d’incidenti dei sistemi aerei senza pilota (UAS) non è incoraggiante
per poter essere ottimisti sui tempi di integrazione di questi sistemi nello
spazio aereo nazionale”, ammette il maggiore dell’aeronautica Luigi Caravita in
una recente ricerca sui droni pubblicata per il Centro Militare di Studi
Strategici (Cemis). “Da fonti ufficiali si apprende che nelle prime 100.000 ore
di volo il tasso d’incidente del MQ-1 Predator
ammontava a 28, oltre il doppio del cacciabombardiere F16. Altri sistemi a
pilotaggio remoto come il Pioneer, l’Hunter e l’RQ-7 Shadow hanno invece un rateo di incidenti di almeno uno-due
ordini di grandezza superiore”.
“La mancanza di una capacità
matura di sense & avoid (senti ed evita)
verso altro traffico può diventare ancor più critica se associata alla vulnerabilità
o alla perdita del data link tra segmento di terra e segmento di volo: in più
di un occasione un Predator è stato
perso a seguito d’interruzione del data link”,
aggiunge il maggiore Caravita. “Ad
oggi gli UAS militari non sono autorizzati a volare, se non in spazi aerei
segregati, perché non hanno una banda aeronautica protetta, non sono ancora
considerati sufficientemente affidabili, non sono dotati di una tecnologia sense & avoid matura, non hanno
ancora totalizzato un numero di ore di volo sufficiente da costituire un safety case rappresentativo e
convincente, non è stata ancora dimostrata adeguata resistenza da attacchi di
cyber warfare”.
Analoghe considerazioni
sono state fatte dal comando generale di US Air Force nel documento che delinea
la visione strategica sull’utilizzo di questi sistemi di guerra (The
U.S. Air Force Remotely Piloted Aircraft and Unmanned Aerial Vehicle -
Strategic Vision). “I velivoli senza pilota sono sensibili alle condizioni
ambientali estreme e vulnerabili alle minacce rappresentate da armi cinetiche e
non cinetiche”, scrivono i militari USA. “Il rischio d’incidente del Predator e del Global Hawk è d’intensità maggiore di quello dei velivoli con
pilota dell’US Air Force, anche se al di sotto dei parametri stabiliti nei
documenti di previsione operativa per questi sistemi”.
In
verità, gli incidenti che vedono protagonisti gli aerei senza pilota stanno crescendo
in numero e gravità. In particolare si annoverano due collisioni nei cieli dell’Afghanistan,
la prima nel 2004 tra un drone ed un Airbus 320 e più recentemente (agosto 2011) tra un aereo
da trasporto militare C130 statunitense ed un RQ-7 Shadow. I Predator e
i Reaper sembrano avere una certa predisposizione
a perdere il controllo e precipitare rovinosamente al suolo o nei mari. E precipitano
pure i Global Hawk: nel marzo 1999 un velivolo dell’US Air Force si è schiantato
in California da un’altitudine di 12.500 metri dopo aver ricevuto un segnale
spurio di “termine missione” dalla base aerea di Nellis. Ieri 11 giugno, è
toccato a un dimostratore BAMS di US Navy
ad essere inghiottito dalle acque del Nanticoke River, vicino l’isola di Bloodsworth, Maryland. Il velivolo, una versione modificata
del Global Hawk RQ-4 operativo con l’aeronautica militare, era stato
schierato nella stazione aeronavale di Patuxent River, nell’ambito del cosiddetto
programma di sviluppo Broad Area Maritime
Surveillance che prevede il trasferimento a breve di cinque aerei UAV di US
Navy nella base di Sigonella.
http://www.tanker-enemy.tv/rfmp-project.htm
RispondiEliminaColoro che, giustamente, protestano contro le basi dei droni, dimenticano sempre che senza attività clandestine di scie chimiche nei cieli e senza la dispersione di nanoparticolato elettroconduttivo i droni non volano. Per eliminare alla radice i problemi dei droni oltre che per la nostra salute è imperativo eliminare lo spargimento di sostanze tossiche nei cieli.
Gli "unmanned" sono l'ultima moda in campo militare e li si propone in molte applicazioni civili, come quegli elicotterini con webcam che realizzano pessime immagini dall'alto quando il tempo è perfetto. L'industria deve lavorare e l' "unmanned" è la risposta in tempo di crisi, a basso costo. Eppure, da appassionato di volo e di storia, come per gli "stealth", non riescono per nulla ad appassionarmi.
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