Varato il piano per deportare duemila rifugiati a Mineo
Tra meno di una settimana l’ex villaggio dei militari USA di Mineo (Catania), di proprietà privata, sarà trasformato in un grande centro detentivo per gli oltre 2.000 richiedenti asilo ospitati sino ad oggi nei CARA (Centri di accoglienza richiedenti asilo) sparsi sul territorio nazionale. Il “piano d’emergenza” varato dal ministro Maroni prevede che negli ex CARA vengano smistati i cittadini stranieri in fuga dalla Libia e che in caso di esodi massicci dal nord Africa i prefetti possano “requisire residence o altre strutture abitative” da convertire in “centri per migranti”. “Il potere di requisizione sarà in capo al Commissario straordinario per l’emergenza immigrati, il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, ma si tratterà comunque di uno strumento provvisorio e limitato nel tempo”, riferiscono al Viminale. Ben altra durata avrà invece il supercentro di Mineo, eufemisticamente denominato “Villaggio della solidarietà”, che nelle intenzioni del governo farà da “modello di eccellenza in Europa nell’accoglienza dei richiedenti asilo”.
Le deportazioni avverranno con “gradualità, in modo che non ci siano contraccolpi per il territorio”, come annunciato dal presidente della provincia di Catania, Giuseppe Castiglione (coordinatore regionale del Pdl), grande sostenitore del piano Mineo. “L’avvio del progetto – spiega Castiglione – sarà accompagnato da un Patto per la sicurezza sottoscritto da tutti i sindaci della zona e dal ministero dell’Interno per definire quali misure attuare non solo all’interno del villaggio, ma su tutto il territorio interessato, attraverso la realizzazione di sistemi integrati di videosorveglianza e il potenziamento dei mezzi, delle strutture e dei presidi esistenti e degli uomini delle forze dell’ordine”. Il ministro della difesa La Russa non ha perso tempo e ha ordinato intanto il trasferimento nella provincia di Catania di 60 militari dell’Arma dei carabinieri per “incrementare la sicurezza nei comuni interessati dall’emergenza profughi”. I primi uomini, ovviamente, hanno raggiunto la locale stazione di Mineo comandata dal maresciallo Domenico Polifrone.
Nonostante l’apparato sicuritario ordinato dal governo per presidiare il nuovo villaggio-prigione, il presidente Castiglione enfatizza le offerte “d’integrazione sociale” che saranno avviate a Mineo: “Secondo il progetto del ministro Maroni, il Centro prevedrà al suo interno assistenza sanitaria e attività di formazione e mediazione linguistica, nella scommessa di renderlo una realtà pilota e d’avanguardia. Tutto ciò con il coinvolgimento delle cooperative sociali del territorio e dell’indotto locale”. In verità, l’intenzione sarebbe quella di affidare la gestione alla Croce Rossa Italiana, con trattativa d’urgenza e senza l’indizione di una gara come invece fatto in passato nei CARA. Un business, quello dell’“accoglienza”, che sta suscitando appetiti a destra e manca. Conti alla mano, i 45-50 euro al giorno in budget per ogni richiedente asilo, moltiplicati per i 2.000 “ospiti” di Mineo comporteranno introiti per circa 3 milioni di euro al mese, più il canone che il governo verserà alla Pizzarotti S.p.A., la società di Parma proprietaria del villaggio, che dal Dipartimento della difesa statunitense riceveva per l’affitto delle 404 villette, 8,5 milioni di dollari all’anno. Nel piccolo centro siciliano è già sorto il Comitato “Pro – Residence della Solidarietà”, promosso dalla locale sezione UIL e dalla cooperativa sociale Sol.Calatino S.C.S.. “Nel residence saranno impiegati almeno 300 operatori sociali per le attività di accoglienza ed integrazione e le imprese locali troveranno spazio nella fornitura dei beni dei servizi, con una evidente ricaduta positiva sull’economia locale”, annunciano in un manifesto affisso in città. “A tal proposito chiediamo all’amministrazione comunale di sostenere la sperimentazione del progetto istitutivo del CARA, legandolo alla programmazione sociale del territorio attraverso il Patto territoriale dell’economia sociale del Calatino Sud - Simeto, favorendo l’inserimento lavorativo dei cittadini di Mineo”. Il Patto territoriale - finanziato dall’Unione europea - vede come una degli attori proprio Sol. Calatino, filiazione locale del potentissimo consorzio Sol.Co di Catania, uno dei più grandi di tutta la Sicilia con 140 cooperative, che dopo la decisione di Washington di abbandonare Mineo aveva espresso l’interesse a insediare nel residence “un’agenzia di inclusione sociale in cui poter accogliere le persone che si trovano in un momento difficile”. I rifugiati, appunto.
Nonostante l’appello della coop, solo 10 sindaci del comprensorio su 15 si sono dichiarati favorevoli al piano di confino dei richiedenti asilo. I comuni di Castel di Iudica, Caltagirone, Grammichele, Ramacca e Mineo hanno invece ribadito la loro avversione con una lettera inviata al ministro Maroni. “Il modello Mineo – scrivono i 5 sindaci - non risponde all’idea che abbiamo consapevolmente maturato, sulla scorta dell’esperienza di effettiva integrazione portata avanti nelle nostre comunità. Non ci piace che almeno duemila persone vengano deportate in un luogo senza i necessari presidi e senza vere opportunità di inclusione, in una condizione di segregazione che potrebbe preludere da un lato a rivolte sociali, dall’altro indurre alcuni di loro, a fronte di una stragrande maggioranza pacifica e ispirata alle migliori intenzioni, a mettere a dura prova le condizioni di sicurezza del territorio”.
“Il governo - continua la lettera – dovrebbe rendersi conto che, al di là delle buone intenzioni, al Residence degli Aranci si rischia di innescare una bomba sociale dalle enormi proporzioni, a scapito dei rifugiati stessi, delle nostre popolazioni e di quanto esse hanno sin qui realizzato per un’accoglienza sostenibile ed efficace”. Dichiarandosi disponibili ad accogliere sino a 400 immigrati, i sindaci concludono che la “vera accoglienza si costruisce solo dentro un tessuto di relazioni e una rete diffusa di servizi che aiuti gli immigrati a inserirsi, per piccoli gruppi, nelle comunità e rappresenti per loro e per le professionalità che si trovano numerose e qualificate nel nostro territorio, un’effettiva opportunità”.
Forte preoccupazione per l’apertura del centro è stata espressa in diverse occasioni pure da Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr, l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite. “Si tratterebbe di trasferire dagli otto centri per richiedenti asilo coloro che già sono dentro, di ogni nazionalità, dagli afgani, agli eritrei, ai somali, un gran numero di persone tutte in uno stesso centro, con i problemi che questo porrebbe”, ha dichiarato la Boldrini. “Si verrebbe a sradicare così il sistema d’asilo che, con tutti i suoi limiti, sta funzionando bene”. Dello stesso avviso anche il Tavolo Asilo composto da diverse associazioni nazionali (Acli, Arci, Asgi, Casa dei diritti sociali, Centro Astalli, Cir, Comunità S. Egidio, Fcei, Senza Confine). “Tale misura, che minerebbe alle fondamenta il buon funzionamento del sistema asilo costruito faticosamente nel corso degli ultimi anni, non appare conforme alle vigenti normative sulle procedure di esame delle domande di asilo, neppure alla luce della decretazione d’urgenza”, afferma il Tavolo. “Va evitata un’applicazione generalizzata di misure di detenzione, specie se arbitrarie, a chi chiede protezione poiché ciò stravolgerebbe il principio fondamentale del diritto ad un’accoglienza in condizioni di libertà. In particolare va evitato di ricorrere solo o prevalentemente a strutture di grandi dimensioni, poiché l’esperienza ha ampiamente dimostrato come la loro gestione risulti assai costosa e comprometta in partenza una buona relazione con il territorio. Vi sono invece tutte le condizioni per privilegiare un’accoglienza diffusa, facilmente attivabile in tempi brevi e a costi contenuti anche ricorrendo alle esperienze già consolidate nel sistema degli oltre 130 comuni italiani aderenti allo SPRAR (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati)”.
Contro il piano di deportazione, l’1 marzo si è tenuta una manifestazione di fronte ai cancelli dell’ex villaggio USA, presenti i rappresentanti catanesi di Arci, Centro popolare Experia, Cobas, Coordinamento immigrati contro la sanatoria truffa, LILA, Officina Rebelde, Red Militant, Rete Antirazzista e Rifondazione comunista. Per Alfonso Di Stefano della Rete Antirazzista, non ci sono dubbi che a Mineo opererà “l’ennesimo centro di detenzione per persone che non hanno commesso alcun reato”. “Nel residence sono venuti fuori negli ultimi giorni muri e recinzioni, costruiti da una ditta ignota che si è guardata bene ad esporre i cartelli sui lavori come previsto dalla legge”, denuncia Di Stefano. “La scelta del governo, nella sua logica segregazionista, è diametralmente opposta all’esemplare esperienza di Riace, dove l’associazione Città futura accoglie centinaia di rifugiati in un paese con meno di 2.000 abitanti dimostrando che valorizzare la solidarietà come risorsa per lo sviluppo locale è possibile e che l’accoglienza è molto più economica della crescente militarizzazione dei territori e delle coste”.
Sulle funzioni decisamente detentive che saranno assunte dal centro di Mineo è intervenuto il giurista Fulvio Vassallo Paleologo dell’Università di Palermo. “Se fosse un vero centro di accoglienza non ci sarebbe bisogno dello schieramento militare e dei cordoni di polizia”, spiega il docente. “Appare evidente che il governo vuole sfruttare questa ennesima emergenza per trasformare il regime del trattamento dei richiedenti asilo, che in base alle direttive comunitarie ed al nostro ordinamento interno, non possono essere trattenuti in un centro chiuso. Inoltre è alto il rischio che il governo deporti da un centro all’altro, per tutta l’Italia, coloro che sono già in regime di accoglienza e che questo spezzi i legami di integrazione già costruiti ed abbatta le possibilità di presentare ricorsi contro i dinieghi di status”. Per Fulvio Vassallo Paleologo si dovrebbe invece applicare a coloro che fuggono dal Maghreb gli istituti della protezione umanitaria previsti dall’ordinamento e la normativa sull’accoglienza dei profughi nel caso di afflussi di massa, “in base all’art. 20 del T.U. 286 del 1998 sull’immigrazione”. Norme inapplicate così come non è mai stata attivata fino ad oggi la direttiva 2001/55 dell’Unione europea sulla “protezione temporanea”. Come rilevato da Michele Cercone, portavoce della Commissaria europea per gli affari interni, Cecilia Malmstrom, la direttiva “prevede la concessione, su proposta della Commissione e con approvazione a maggioranza qualificata da parte del Consiglio, dello status di rifugiato per un periodo di tempo limitato a persone che fuggono da paesi in cui la loro vita sarebbe a repentaglio in caso di ritorno”.
“In verità non c’è ancora una idea chiara né da parte del governo nazionale né da quelli locali sul modo in cui vogliono realmente affrontare l’accoglienza”, commenta la sociologa delle migrazioni Tania Poguish. “L’arrivo in Italia viene ancora gestito con lo stesso meccanismo di repressione e smistamento di esseri umani. Dei giovani migranti giunti a Lampedusa si vuol confezionare un bel pacco da rispedire indietro appena si calmano le acque. Dopo i buoni propositi annunciati dal ministro Maroni sui migranti che potevano essere accolti nel residence di Mineo si è finalmente scoperta: i richiedenti asilo che godrebbero di questo privilegio sono quei giovani che hanno avuto la fortuna di raggiungere la sponda europea prima della politica feroce del respingimento in mare e sono riusciti a fare richiesta di asilo nella frontiera Lampedusa. Questi giovani hanno un altro passato e percorso personale da raccontare e sono sicuramente stati violati nel loro diritto umano di rifugiato riconosciuto, ma nello stesso tempo non garantito secondo le leggi internazionali, che paesi come Germania e Francia rispettano garantendo assistenza sociale e sanitaria”. Per la sociologa siciliana, spetta al mondo dell’associazionismo proporre “non il tavolo sulla solita pietistica accoglienza, ma un’alleanza con quei giovani della sponda sud del Mediterraneo che si sono ribellati al nuovo ordine mondiale e con i quali si può costruire il Mediterraneo della crescita culturale e sociale che include e non crea non persone”.
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