Mare armato: i droni Frontex contro i migranti, quelli di Israele contro la Handala
Palestina L’arrembaggio è durato pochi minuti, sono seguite ore di abusi e umiliazioni: il racconto di Antonio Mazzeo, giornalista a bordo dell'ultima Freedom Flotilla
Sabato 26 luglio, tardo
pomeriggio. Cinquanta miglia. Forse meno. Sembra quasi respirare l’aria di
Gaza. Vento caldo, umido. A sud-est sono visibili le luci in Sinai, le prime
dopo sette giorni di navigazione senza mai scorgere terra. Da ore abbiamo
superato il red point, quello dove un
mese prima è stata abbordata la nave sorella di Handala, la Madleen della
Freedom Flotilla. Ingenuamente speriamo che gli israeliani ci lascino arrivare
per mostrare al mondo, ipocritamente, di essere l’unica democrazia in Medio oriente. Nulla da fare. Da Haifa partono
due pattugliatori con a bordo gli incursori della Marina di guerra. Quel
reparto d’élite era a Brindisi nell’estate di due anni fa per addestrarsi con
la Brigata San Marco.
L’Idf ci aveva inviato il
giorno precedente i droni di intelligence. Un grande Heron ci ha sorvolato a bassa
quota, a mo’ di condor, per un paio d’ore qualche ora prima. Gli aerei senza
pilota, in buona parte made in Israel,
avevano stuprato il firmamento durante le splendide notti trascorse incrociando
le acque del Mediterraneo fin dalle coste greche. Non erano per noi. Erano per
conto di Frontex e dei paesi della sponda nord per fare la guerra alle
migrazioni e ai migranti. Anche i droni, come i marines, gli hovercraft e gli
arrembaggi contro le navi umanitarie che trasportano cibo, medicine per la
popolazione di Gaza, sono le prove che il Mare Nostrum non è più nostro, di noi
popoli che ci siamo scambiati culture, lingue, sapori. Il Mediterraneo è il
grande mare di Israele, dove fa impunemente ciò che vuole, quando e come vuole.
L’arrembaggio dura pochi
minuti. Un’operazione bellica da manuale. I marines sono attenti a non creare “effetti
collaterali” sull’imbarcazione e a noi equipaggio. Un solo errore. Hanno
distrutto immediatamente due telecamere e strappato tutte le bandiere
palestinesi, ma non si sono accorti di una terza telecamera che trasmetterà per
un paio di minuti al mondo intero l’incursione di una trentina di robocop super
armati, la nostra resistenza passiva, mani aperte in avanti e le note della Bella Ciao.
Hanno schede per ognuno di
noi, ci chiamano con il nome di battesimo, forse hanno perfino imparato a
memoria i nostri profili psicologici. Ci ordinano di sdraiarci sul ponte.
Fingono di essere perfino umani, ci propongono panini e acqua fresca, ci
consentono di utilizzare il bagno. Mi umilia quel loro recitare gentilezza.
Fossimo stati adolescenti palestinesi ci avrebbero schiacciati braccia e gambe
sotto gli scarponi. Hanno tutte e tutti il volto coperto, ma si distinguono i
tratti degli occhi. Sono ventenni, forse un paio di anni in meno. Sento una
fitta al petto. La banalità del male. Adolescenti che mi ricordano tali e quali
i miei studenti, belli come loro, ma che possono trasformarsi in macchine
infernali di distruzione e morte. Che forse hanno già ucciso a Gaza o nel sud
del Libano. E che comunque presto lo faranno.
Avete
avuto paura in quei momenti? La domanda è ricorrente. No,
non abbiamo avuto paura. Abbiamo sentito però, come un macigno, nel cuore, il
peso della fine di un sogno: toccare terra e guardare negli occhi delle bambine
e dei bambini di Gaza, vederli sorridere davanti al miracolo di un piccolo
guscio di noce che ha sfidato i marosi e gli squali con la stella di david per
portare un pizzico di umanità dove l’umanità è stata cancellata dalle bombe e
dalle condanne a morte per fame e per sete. L’Handala del fumettista martire
Naji Al-Ali che si mette alle spalle le ingiustizie e gli orrori della guerra e
cammina verso la resistenza e la speranza.
A bordo dell’ex peschereccio
c’erano gli orsacchiotti e i peluche consegnatici dai bambini di Siracusa e
Gallipoli per darli in dono ai loro amichetti dell’altra parte del mare. Un
pupazzetto rosso si è staccato da una fiancata durante l’assalto e si è
aggrappato ad una gamba. L’ho stretto al petto per altre otto ore nella notte.
Alle prime luci dell’alba mi sono accorto che tanti altri compagni si
abbracciavano a un peluche. Con le lacrime agli occhi alcuni; guardando il
vuoto gli altri. Poi l’approdo ad Ashdod e la consegna alle forze di polizia.
Brutali, violente, volgari. E razziste. Chi ha la doppia cittadinanza e un
passaporto israeliano viene chiamato per primo. Li abbracciamo coscienti che
non li incroceremo più a terra. Poi uno alla volta veniamo strattonati e
spintonati dento il terminal portuale, fino a un camerone dove ci sediamo a
semicerchio guardati a vista da brutti ceffi che sembrano comparse di un
pessimo serial tv sulla police usa.
Manca all’appello Chris, il leader sindacalista autonomo di Amazon. Da uno
scorcio di vetrata vediamo che lo trascinano a forza. Chiediamo la presenza di
un avvocato. Ci deridono, ci minacciano. Poi ci chiamano uno alla volta per
avviare le operazioni di riconoscimento, perquisizione e sequestro dei borsoni
e degli effetti personali. Mai più ci ritroveremo insieme. Di 15 dei 21
componenti della missione non saprò più come e dove staranno fino al rientro in
Italia. Venti ore di detenzione in due squallide celle e un altro paio in un
cellulare, due metri x due x 70 cm. con due giornalisti di Al Jazeera e un
media attivista di New York. Perquisizioni e denudamenti infiniti.
L’umiliazione del puzzo di urina che ti esce da uno slip che non ti fanno mai
cambiare. Ma l’Handala e l’umanità intera a bordo resterà umana.
Articolo pubblicato in Il Manifesto, 2 agosto 2025, https://ilmanifesto.it/mare-armato-i-droni-frontex-contro-i-migranti-quelli-di-israele-contro-la-handala



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