Il Ponte sullo Stretto come il Muos di Niscemi e Sigonella
di Antonio Mazzeo e Luigi Sturniolo
Non prova neanche a mimetizzarlo il suo punto vista, Lucio Caracciolo, sul ponte sullo Stretto. Ne ha parlato in un pezzo scritto per La Stampa il 7 dicembre scorso. Per lui sono secondari gli argomenti, e gli scontri, sugli aspetti ingegneristici, economici, ambientali dell’infrastruttura d’attraversamento. Ciò che conta è la sua valenza strategica, geopolitica, militare. Per questa ragione assimila il ponte sullo Stretto al Muos di Niscemi, il nuovo sistema di telecomunicazione satellitare della Marina militare USA per governare i conflitti globali del XXI secolo, “senza dimenticare le strutture di Sigonella e Pantelleria”. Perché ciò che conta è il valore strategico della Sicilia, il suo collocarsi in un’area che Limes chiama Caoslandia, nel Mediterraneo “allargato” che è tornato ad essere centrale per i flussi commerciali provenienti da Oriente e per l’intervento politico, militare, economico di Cina, Russia e Turchia.
Limes aveva già insistito in altre
occasioni su questo tema. Proprio un anno fa la rivista di geopolitica, i cui
redattori, dallo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, sono stabilmente
sui canali tv nazionali, aveva pubblicato un numero speciale sulla Sicilia.
“L’Italia senza la Sicilia non esiste”, questo era l’argomento. Per questa
ragione la Sicilia non può “annegare” nel Mediterraneo. E nel pezzo pubblicato
su La Stampa Caracciolo è esplicito
fino al didascalico. “Se non lo volete capire la Sicilia è la Frontiera e senza
la difesa della Frontiera gli Stati periscono”, sembra dire, perché dallo
Stretto di Sicilia (così quelli di Limes
chiamano il Canale di Sicilia per sottolineare la esigua distanza che separa l’Isola
dall’Africa) passa la principale rotta migratoria, perché da lì passa la via
della seta cinese, perché “i turchi e i russi della Wagner si sono
acquartierati sul lato africano dello Stretto”, perché quel tratto di mare è
attraversato dai cavi sottomarini transcontinentali della Rete.
Caracciolo ci ricorda che la Sicilia fu il luogo
dell’invasione alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Quella volta gli
invasori erano i “liberatori americani” e ce la cavammo, ma stavolta chi
potrebbe essere il nuovo invasore? Per questo l’Italia (ma a questo punto
perché non l’Europa o l’Occidente?) senza la Sicilia non esiste. Perché la
Sicilia deve essere la piattaforma militare nel Mediterraneo, la difesa
dell’Occidente dalle armate dei Bruti o degli Extranei. Noi siamo la Barriera
costruita a difesa. Questo è il nostro destino. Lucio Caracciolo si spinge fino
a lamentare la scarsa presenza militare nell’area” e ad auspicare
una “più incisiva presenza della Marina e delle altre Forze armate nelle acque” di quello che insiste a chiamare il “mare
nostro”. L’ennesima ode al militarismo e al riarmo a cui gli analisti mainstream
ci hanno abituato nell’ultimo anno di fratricida guerra in Ucraina. Ipocrita narrazione
di una “Isola indifesa” quando è sotto gli occhi di tutti il devastante e
invasivo processo di militarizzazione che ha investito ogni angolo della
Sicilia e delle sue isole minori e l’abnorme presenza statunitense nella
stazione aeronavale di Sigonella, “capitale mondiale dei droni”. Per questo il
ponte serve, per Caracciolo: per la sicurezza, per stabilizzare le aree
di frontiera e per
collegare militarmente l’Italia, l’Europa, l’Occidente alla Sicilia, non
viceversa.
In passato avevamo già invitato a guardare ai rischi che il
ponte portava con sé anche sotto questo profilo. Ci avevano guardati un po’
perplessi. Il ponte ci metterebbe in pericolo, farebbe da traino ad una
ulteriore forte militarizzazione e ad un più asfissiante controllo del
territorio proprio perché naturale obbiettivo strategico in caso di conflitto.
Eccoci serviti. Lucio Caracciolo ce lo sbatte in faccia senza neanche
prepararci con parole di circostanza. E a chi pensa che con il ponte i propri
figli non emigrerebbero più potremmo consigliare di arruolarli, che forse lì di
lavoro ne troverebbero.
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