Slot machine di mafia per la famiglia Romeo-Santapaola da Messina
Sale Bingo e centri scommesse, slot machine e macchinette
rubasoldi, video-lotterie, poker elettronici e corse di cani virtuali. Non
conosce limiti o frontiere il redditizio settore economico del gioco d’azzardo,
talvolta pure taroccato, in mano al gruppo criminale con a capo la famiglia
Romeo-Santapaola da Messina. All’ultima udienza del processo Beta che vede imputati le vecchie e
nuove generazioni della potente cellula del clan mafioso del boss di Cosa
Nostra, Benedetto Nitto Santapaola, è
stato il poliziotto Benedetto Russo (in
servizio all’Unità operativa speciale, sezione anticrimine di Messina), a
fornire una circostanziata descrizione del giro d’affari multimilionario giochi-scommesse
gestito dai Romeo-Santapaola e delle relazioni coltivate con imprenditori e
criminali di mezza Italia.
“L’indagine Beta si
sviluppa dall’ottobre del 2013 al settembre del 2015; in questo periodo abbiamo
documentato la presenza a Messina di un’associazione che era legata anche per
rapporti di parentela con la famiglia mafiosa Santapaola di Catania”, ha
esordito Benedetto Russo all’esame condotto dal Pubblico ministero, dottoressa
Liliana Todaro. “Le indagini si sono concentrate inizialmente su Pietro
Santapaola, Vincenzo Santapaola e su Francesco Romeo che è il cognato di Nitto
Santapaola per averne sposato la sorella. Successivamente l’attenzione si è
spostata anche sui figli di Francesco Romeo che mantenevano degli interessi su
una serie di settori imprenditoriali. Particolarmente lucrosa era l’attività
che svolgevano nell’ambito della gestione degli apparecchi da intrattenimento
VLT e AWP, comunemente detti slot machine
o video lottery. Poi anche nella
gestione delle scommesse online per quanto riguarda gli eventi sportivi.
Sostanzialmente Vincenzo Romeo era il dominus, quello che decideva in ultimo su
tutti i problemi che si venivano a creare nella gestione di questi due affari.
Per quanto riguarda l’interesse per le scommesse online, abbiamo potuto
verificare che Vincenzo Romeo aveva mantenuto nel tempo delle cointeressenze
con Michele Spina (imprenditore originario di Acireale, nipote di Sebastiano
Scuto, soggetto con precedenti per associazione a
delinquere di stampo mafioso, come riportano gli
inquirenti nell’informativa Beta, NdA),
mentre per quanto riguarda la gestione degli apparecchi da intrattenimento, le slot machine, il Romeo aveva dei
rapporti direttamente con Giovanni Marano e con la Bet S.r.l. di cui Marano era
socio ed amministratore (originario di Catania, Giovanni Marano è descritto
dagli inquirenti come un soggetto con
precedenti per truffa ed associazione di tipo mafioso, NdA).
“Le attività che venivano svolte da Vincenzo Romeo venivano
gestite principalmente attraverso la Win Play Società cooperativa che era stata
fondata unitamente alla moglie, Caterina Di Pietro, e di cui faceva parte anche
Giovanni Bevilacqua che nel corso delle indagini è risultato essere un soggetto
particolarmente vicino a Romeo, nonché suo uomo di fiducia”, ha aggiunto Russo.
“Giovanni Bevilacqua era un tecnico che veniva impiegato da Vincenzo Romeo per
gestire gli apparecchi da intrattenimento collocati presso i vari servizi
commerciali, sia sale giochi che bar, tabacchini, ecc... Bevilacqua si occupava
sia della parte tecnica che della parte contabile, quindi ritirava materialmente
i soldi che venivano inseriti nelle macchinette, si occupava di fare le
ricariche e anche di risolvere le problematiche tecniche di funzionalità perché
nel momento in cui una di queste macchinette si guastava interveniva lui. Giovanni
Bevilacqua aveva anche la conoscenza di sistemi occulti attraverso i quali
venivano alterate le macchinette. Abbiamo accertato con dei controlli
strumentali fatti il 30 ottobre del 2014, che nei vari esercizi commerciali vi
erano sia delle slot machine regolarmente collegate alla rete Aams (Amministrazione
autonoma dei monopoli di Stato, NdA) e
di proprietà della Bet S.r.l., sia altre slot machine che non erano per niente
collegate alla rete Aams e quindi erano prive di concessione, dei nullaosta di
autorizzazione. Questi controlli sono stati fatti insieme all’Arma territoriale
e ai tecnici dell’Aams; per ogni singolo esercizio controllato sono stati redatti
dei verbali e sono state contestate le irregolarità rilevate. E’ stato appurato
che la famiglia Romeo gestiva gli interessi nell’ambito del settore delle
scommesse anche attraverso la Start S.r.l. con sede legale a Messina in via
Santa Cecilia 90 e che era di proprietà di Caterina Di Pietro e del fratello di
Vincenzo Romeo, Gianluca Romeo. Vincenzo Romeo, nell’ambito di questa società,
è stato dipendente unitamente al fratello Maurizio Romeo. La Start S.r.l. era
sostanzialmente titolare di una concessione ai sensi dell’art. 88 del Tulps per
la gestione di un punto scommesse Bet e Lottomatica presente in via Santa
Cecilia. La Start era stata comunque ceduta ad un’altra società che è estranea
all’attività di indagine, la RRP S.r.l. e successivamente alla cessione,
Caterina Di Pietro, come ho detto prima, Vincenzo Romeo e Giovanni Bevilacqua
costituivano la Win Play Società cooperativa. La costituzione è stata fatta, se
non ricordo male, il 29 gennaio del 2013 e la registrazione alla Camera di Commercio
è del 7 febbraio 2013. La Win Play aveva come oggetto sociale proprio la
gestione degli apparecchi da intrattenimento, sale biliardi, sale scommesse”.
Videoscommesse in rotta
per Malta
Le indagini hanno permesso di accertare le modalità con cui
il gruppo Romeo-Santapaola era in grado di bypassare le leggi che regolano la
gestione e i controlli dei centri giochi e scommesse. “In Italia le scommesse
sono affidate attraverso i monopoli di Stato a dei concessionari”, ha spiegato
l’inquirente. “Questi concessionari operano poi sul territorio avendo dei punti
di commercializzazione che comunemente vengono detti anche .it, in sintesi li chiamano Pdc.it.
Questi punti di commercializzazione hanno la possibilità di favorire l’attività
di gioco consentendo ai clienti di aprire dei conti online, di effettuare le
ricariche, ma non possono accettare le scommesse. Quello che abbiamo accertato
è che Vincenzo Romeo operava in Italia anche attraverso degli allibratori
stranieri che avevano quasi tutti sede a Malta. In particolar modo ricordo che
operavano tramite i siti Bet610.com, Betgame24.com e Betuniq. Un’altra tipologia di raccolta scommesse veniva fatta
attraverso dei totem e riguardava quelle
sulle corse virtuali dei cani attraverso il sito Racingdog.eu. Abbiamo richiesto con delle note specificatamente
all’Aams, ai Monopoli di Stato, se i siti Bet610.com,
Betgame24.com e Racingdog fossero autorizzati ad operare in Italia. L’Aams ci ha
risposto di no”.
“Nei controlli che abbiamo fatto il 30 ottobre 2014 è emerso
che nella sala giochi riconducibile a Vincenzo Coletta, la Millennium Sport
Group ubicata a Messina in via Pietro Castelli, erano presenti dei totem attraverso i quali venivano
agevolate le attività di raccolta scommesse per la liberatoria maltese Betuniq”, ha aggiunto Benedetto Russo. “Anche
in questa circostanza il tecnico dei Monopoli di Stato ha contestato l’attività
di raccolta scommesse sia perché l’operatore Betuniq non era autorizzato in Italia e sia perché Vincenzo Coletta
non aveva l’autorizzazione di cui all’art. 88 del Tulps ma solo quella di cui
all’art. 86 per aprire una sala biliardi. Quindi sono state fatte queste
contestazioni e ne è scaturito un autonomo procedimento penale presso il
Tribunale di Messina. Sono state effettuate delle sanzioni perché erano
presenti le macchinette all’interno della sala biliardi unitamente all’attività
di raccolta scommesse non autorizzata. Le macchinette non erano però alterate,
erano regolarmente collegate all’Aams e previste di nullaosta e dei sigilli che
vengono applicati dall’Amministrazione dei monopoli di Stato. Va rilevato che
nel momento in cui i Carabinieri insieme ai tecnici dell’Aams si sono
presentati presso la sala giochi riferibile al Coletta, questi ha proprio
chiamato Vincenzo Romeo per sapere se egli fosse in possesso dei titoli
autorizzativi per poter tenere sia gli apparecchi da intrattenimento perché in
questa sala giochi vi erano delle slot machine che è stato appurato essere di
proprietà della Bet S.r.l. e sia degli apparecchi per l’attività di raccolta
scommesse. In quella conversazione con il Romeo, Vincenzo Coletta era un po’
agitato evidentemente per la presenza degli operatori che stavano effettuando
il controllo. Dalla conversazione si capiva che era stato Romeo ad agevolare
tutte le pratiche burocratiche necessarie affinché il Coletta potesse ottenere
l’autorizzazione. Dai successivi accertamenti è emerso che in precedenza
Coletta aveva richiesto anche l’autorizzazione di cui all’art. 88 per poter
effettuare la raccolta scommesse per l’operatore Betuniq, però gli era stata negata dalla Questura di Messina
proprio perché l’allibratore non era autorizzato ad effettuare questa attività
in Italia”.
E le Romeo-Santapaola
slot machine invadono Messina
“Le sale giochi collegate all’attività di Vincenzo Romeo sono
comunque numerose”, ha spiegato Russo. “Tra quelle dove erano installate le
macchinette e le apparecchiature da gioco c’è il Copacabana che è in via
Guglielmo Pepe, sempre a Messina, dove sono stati sequestrati dei totem relativi alle scommesse virtuali
sui cani, sempre attraverso il sito Racingdog.eu
e senza le necessarie autorizzazioni dei Monopoli di Stato. All’interno della
stessa sala giochi del Copacabana, erano presenti anche delle slot machine
completamente prive delle autorizzazioni da parte dell’Aams e quindi, anche in
questo caso, sono state contestate ed elevate le sanzioni previste. Dalle
attività di intercettazione telefonica è emerso per quanto riguarda questa sala
biliardi che ci sono stati diversi soggetti che si sono relazionati con
Vincenzo Romeo e anche con Giovanni Bevilacqua perché richiedevano la presenza
di uno di loro affinché presenziasse alle operazioni di controllo anche perché
gli ispettori e i carabinieri presenti avevano la necessità di aprire i
cassetti delle slot machine per quantificare le somme di denaro presenti.
Proprio in quest’occasione al Copacabana, Vincenzo Romeo chiedeva ai soggetti
che lo avevano contattato di non rappresentare agli operatori che stavano svolgendo
il controllo di chi fosse la reale proprietà delle macchinette. Inoltre
chiedeva a Pasquale Orecchio, detto Lino,
di fare il modo che il fratello Ettore Orecchio si assumesse la paternità della
proprietà di queste apparecchiature. Lui sosteneva che così facendo riusciva a
contenere le sanzioni amministrative che venivano elevate dai tecnici dell’Aams,
perché altrimenti sarebbe stata elevata una sanzione maggiore per il gestore
della sala giochi e una per il proprietario delle macchinette. Durante le
conversazioni intercettate, il Romeo garantiva anche l’assistenza legale per
quelle che erano le conseguenze sia amministrative che, eventualmente, penali, a
seguito dei controlli…”.
Nel corso delle indagini svolte dalla Sezione anticrimine di
Messina sono state trovate macchinette riconducibili alla Bet S.r.l. di
Giovanni Marano anche nel noto ritrovo Porta Messina sito nella zona del porto
di Messina (stazione ferroviaria) e nella Biliardi Sport della centrale via
Giordano Bruno. “In quest’ultimo caso abbiamo accertato violazioni solamente su
un’apparecchiatura: erano stati rotti i i sigilli che vengono apposti
all’interno della cassettina dove c’è la scheda software che fa funzionare la
macchinetta”, ha riferito l’inquirente al processo Beta. “In questa circostanza ci sono state delle conversazioni
intercettate tra Vincenzo Romeo e Giovanni Marano. Quest’ultimo in sostanza
chiedeva spiegazioni al Romeo sul perché questa macchinetta presentasse i
sigilli dell’Aams violati. Vincenzo Romeo affermava di non sapere nulla e che
avrebbe chiesto lumi a Giovanni Bevilacqua. Marano in questa circostanza diceva
che nemmeno Gaetano Licciardello, che è un altro dipendente della Bet S.r.l.,
sapeva nulla perché i controlli da lui espletati in questo locale erano datati
e quindi non si ricordava di questa macchinetta. Per quanto riguarda Porta
Messina sono state fatte delle sanzioni amministrative che riguardavano non le
apparecchiature da intrattenimento ma bensì il gioco dei dardi e altri giochi
che erano comunque di proprietà della Bet S.r.l.”.
C’erano pure Johnny Stecchino e il Re Leone!
“Ritornando alla figura di Giovanni Marano possiamo dire che
durante le indagini è stato accertato che Vincenzo Romeo gestiva gli apparecchi
da intrattenimento anche attraverso la Bet S.r.l. che ha sede legale a Catania
ed è riconducibile al Marano perché ne è socio insieme al fratello Vincenzo
Marano e a Davide Signorino. Per quanto riguarda le attività della Bet sulla
provincia di Messina, il Marano si relazionava costantemente con il Romeo.
Quest’ultimo sviluppava questa attività servendosi anche di un locale che si
trova nella zona industriale di Messina, in via Orso Corvino. Giovanni Marano,
in sostanza, aveva dei rapporti telefonici con Vincenzo Romeo e nonostante
avesse anche un dipendente su Messina che è proprio Giovanni Bevilacqua, non si
relazionava con questi per le direttive che doveva impartire sulla gestione
delle apparecchiature ma si rivolgeva sempre a Vincenzo Romeo anche quando si
parlava delle somme di denaro che quest’ultimo doveva rifondere a Giovanni
Marano per il pagamento, ad esempio, delle spese o delle tasse che loro
versavano al concessionario con cui lavoravano, cioè Lottomatica. Si è
accertato che Giovanni Bevilacqua nel periodo compreso tra il 2012 e il 2014 è
stato assunto dalla Bet S.r.l., nonostante il Marano si relazionasse sempre con
Vincenzo Romeo. Periodicamente inviava qui Gaetano Licciardello che è un altro
dipendente della Bet, con il quale Bevilacqua si incontrava e faceva il giro
dei locali dove erano dislocate le apparecchiature da intrattenimento provvedendo
a fare i conteggi sulle somme introdotte e quindi delle percentuali che
andavano versate a Marano e di quelle che dovevano restare a Vincenzo Romeo.
Abbiamo avuto modo di verificare che Marano e Romeo si conoscono da prima che sviluppassimo
la nostra attività d’indagine. In particolar modo Vincenzo Romeo, parlando con il
costruttore Biagio Grasso e la sua collaboratrice Silvia Gentile, spiegava che
aveva conosciuto Giovanni Marano quando aveva in gestione gli apparecchi da
intrattenimento all’interno di una sala Bingo, quella di piazza della
Repubblica a Messina, anche se, dalle medesime attività di intercettazione è
emerso che il Romeo, per un periodo di tempo, ha avuto in gestione anche le sale
Bingo di Messina-Tremestieri e di Milazzo. Praticamente Giovanni Marano aveva
stipulato questo accordo con Vincenzo Romeo. Il Marano aveva la possibilità di
allocare gli apparecchi da intrattenimento perché era titolare della
concessione con Lottomatica e quindi Romeo, diciamo così, con questo accordo
gestiva materialmente queste macchinette ricevute da Marano all’interno della
sala bingo. Il rapporto che viene instaurato tra Marano e Romeo viene spiegato
da una intercettazione del 10 aprile 2015. Vincenzo Romeo si trovava insieme a
Nunzio Laganà inteso Massimo sull’Audi
Q5 che egli utilizzava e che era stata microfonata dal nostro reparto. Il Romeo
sostanzialmente spiegava a Laganà di essere stato contattato in precedenza da
Giovanni Marano perché aveva qualcosa da dirgli e gli raccontava che a Catania era
successo che un imprenditore, Vincenzo Corvitto, originario di Licata, aveva
avuto dei problemi con dei soggetti che venivano indicati come Re Leone e Johnny Stecchino. Romeo spiegava che Corvitto riusciva a lavorare a
Catania grazie ad un accordo fatto proprio con l’ultimo di quei due soggetti.
Le indagini successive ci hanno consentito di individuare che il soggetto
indicato come Johnny Stecchino era
Alfio Mangion, legato alla famiglia Santapaola. Innanzitutto egli è parente
acquisito di Vincenzo Romeo perché è fratello di Francesca Rita Mangion che è
sposata con Aldo Ercolano, noto mafioso catanese nipote di Benedetto Nitto Santapaola perché figlio della
sorella. A sua volta Alfio Mangion è figlio di Francesco Mangion inteso Ciuzzu ‘u firraru, oggi deceduto, che è
stato braccio destro di Nitto Santapaola e affiliato alla famiglia Santapaola
di Catania, anche suo reggente in assenza di don Nitto. Alfio Mangion è anche
il fratello di Giuseppe Mangion inteso Enzo,
anche lui affiliato alla famiglia Santapaola. Ed ancora, pure lo zio di Alfio
Mangion, Giuseppe Mangion inteso zio
Pippo, originario di Catania e anche lui deceduto, fratello di Francesco Ciuzzu ‘u firraru, era inserito
nell’organico della famiglia Santapaola”.
“Da una serie di accertamenti tra cui quello alla banca dati
della Camera di Commercio verifichiamo che in tutta Italia esistono soltanto
due Vincenzo Corvitto, uno solo dei quali ha però delle imprese che hanno
attinenza con la gestione delle apparecchiature da intrattenimento. Il Corvitto
in questione è nato a Licata ed è titolare di un’impresa individuale ma
mantiene interessi anche all’interno della Alicos Giochi S.r.l. di cui è
titolare e amministratrice Giuseppa Bassano, la moglie. Nel corso della
conversazione intercettata il 10 aprile 2015, Vincenzo Romeo rappresentava a
Nunzio Laganà che Corvitto aveva un
accordo con Mangion. In sostanza Corvitto sistemava le macchinette da
intrattenimento nei locali che venivano individuati da Alfio Mangion e poi
dividevano gli introiti al 50%. Solo che ad un certo punto il Mangion e questo
soggetto indicato come Re Leone hanno
fatto una proposta a Corvitto dicendogli che volevano un fisso al mese, cento
euro, e poi loro si disinteressavano della gestione delle apparecchiature.
Corvitto aveva ritenuto questa richiesta eccessiva e lo stesso Romeo affermava
che vi erano macchinette che producevano guadagni mentre altre magari ne producevano
di meno, quindi non si poteva stabilire a priori se fosse conveniente
economicamente o meno e criticava questa proposta fatta dal Mangion. Vincenzo
Romeo faceva il paragone fra il rapporto che c’era tra Vincenzo Corvitto e
Alfio Mangion e quello che c’era tra lui e Giovanni Marano. Lo stesso Romeo diceva
che si era trovato Marano in un momento
in cui aveva avuto di bisogno e gli aveva
consentito di mangiare e quindi di lucrare insieme a lui su questa
attività. Noi riusciamo ad identificare Alfio Mangion perché era inserito
all’interno dell’Alicos Giochi che era appunto di proprietà della moglie di
Vincenzo Corvitto. In verità Mangion era stato dipendente dell’impresa
individuale di Corvitto dal 21 dicembre 2010 al 19 maggio 2014; successivamente
veniva licenziato e veniva assunto dal 30 maggio 2014 al 23 marzo 2015 dalla
Alicos Giochi S.r.l.. Un altro particolare che ci ha fatto arrivare
all’identificazione di Alfio Mangion è il fatto che Vincenzo Romeo
rappresentava che Corvitto per le attività svolte a Catania in collaborazione
con questo Mangion aveva mandato un suo dipendente di nome Luca e a cui aveva affittato
un appartamento, a gestire proprio le attività tecniche degli apparecchi da
intrattenimento. Effettivamente abbiamo avuto modo di rilevare che Corvitto
aveva un dipendente o meglio la Alicos Giochi riconducibile alla moglie,
identificato in Luca Parenti che aveva preso un appartamento in affitto a Motta
Sant’Anastasia. Alfio Mangion era stato già denunciato il 25 gennaio del 2011 dalla
Guardia di Finanza di Agrigento insieme a Vincenzo Corvitto per il reato di
associazione a delinquere finalizzata alla truffa. Quindi tutti questi
riferimenti e soprattutto la dipendenza dalle due imprese riconducibili a
Corvitto ci hanno consentito di risalire ad Alfio Mangion”.
Meglio i palermitani
del clan Vernengo
Il funzionario di Pubblica sicurezza ha spiegato che dopo lo
scarso gradimento espresso da Vincenzo Corvitto per la sua proposta, il Mangion
tentò di allacciare rapporti con altri imprenditori attivi nel settore giochi e
scommesse. “Era successo che Filippo Amoroso che è un soggetto di Palermo aveva
fatto un’altra proposta ad Alfio Mangion, cioè di soppiantare l’imprenditore
Vincenzo Corvitto e prendersi quella fetta di mercato d’intesa con Mangion”, ha
dichiarato Benedetto Russo. “In quella circostanza Vincenzo Romeo non dava la
certezza di quali fossero i termini dell’accordo però presupponeva che fosse
sempre intorno ai cento euro a macchinetta. Filippo Amoroso è espressione della
famiglia mafiosa dei Vernengo, Villagrazia-Santa Maria di Gesù di Palermo.
Praticamente Amoroso aveva contattato Giovanni Marano e il Romeo presumeva che
la conversazione a cui lui faceva riferimento, fosse propedeutica a voler
rappresentare a Marano questa situazione che si era creata a Catania.
Effettivamente il giorno precedente, il 9 aprile 2015, Giovanni Marano aveva
chiesto con insistenza a Vincenzo Romeo un incontro per l’indomani, ma
quest’ultimo gli aveva risposto che doveva recarsi a Palermo insieme a Massimo
Laganà. Diciamo che c’è una connessione logica tra la situazione che si era
creata a Catania tra Alfio Mangion e Vincenzo Corvitto e l’interesse di Filippo
Amoroso da una parte e Giovanni Marano dall’altra. Questi ultimi due, insieme
ad altri imprenditori, avevano costituito in Sicilia un consorzio che
raccoglieva numerose imprese che lavoravano nel settore della gestione degli
apparecchi da intrattenimento. Esso si chiama Consorzio Jackpot Italia S.r.l.;
Filippo Amoroso era il presidente, mentre Giovanni Marano era il
vicepresidente. All’epoca il Romeo era all’interno della Win Play Società
cooperativa, la quale non faceva parte del consorzio, almeno per quelli che
sono stati gli accertamenti fatti. Che Vincenzo Romeo avesse avuto delle
ingerenze all’interno delle scelte di questo consorzio pur non avendone titolo
perché non ne faceva parte né dal punto di vista personale né con imprese a lui
riconducibili, veniva dimostrato da altre intercettazioni telefoniche. C’è ad
esempio la conversazione del 22 maggio 2014 tra Vincenzo Romeo e Benedetto
Ardito che è il responsabile commerciale della HBG Connex S.p.A., una ditta che
si occupa della gestione di apparecchi da intrattenimento, della gestione di
sale bingo e dei servizi connessi alla funzionalità di queste sale (Benedetto
Ardito è originario di Lamezia Terme ma residente a Mascalucia, Catania, NdA). Durante questa conversazione
Ardito rappresentava a Romeo, in modo scherzoso, di aver abbandonato tutto e di aver lasciato tutto in mano al consorzio.
Benedetto Ardito diceva inoltre a Romeo di non averlo più visto nelle riunioni
che venivano fatte nell’ambito di questo settore. Faceva il nome di Filippo Amoroso, Vaccarello (Luigi Vaccarello, originario di Aragona, Agrigento,
consigliere del Consorzio Jackpot Italia S.r.l., NdA) ed Enzo; quest’ultimo
dovrebbe essere Vincenzo Marano, il fratello di Giovanni Marano, anche se noi
non lo abbiamo identificato in modo certo perché si parlava prima di un Enzo e poi di Enzo riferito a Vincenzo Romeo. La particolarità di questa
conversazione sta nel fatto che il Romeo, ad un certo punto, diceva che - usava
proprio queste parole - stava pilotando
le scelte del consorzio affinché fossero indirizzate verso i prodotti
commercializzati dalla HBG e quindi da Benedetto Ardito. Ardito sapeva comunque
della creazione di questo consorzio ma si relazionava ugualmente con Vincenzo
Romeo. Un altro episodio di ingerenza del Romeo all’interno delle scelte del
consorzio e in particolar modo nel rapporto di subordinazione che c’era tra
Giovanni Marano e lui stesso veniva intercettato il 23 maggio 2014. In sostanza
Marano contattava Romeo e gli spiegava che nei giorni successivi era prevista
una riunione a Catania del consorzio e nell’ambito di essa avevano pensato di
far entrare un altro soggetto indicato nella circostanza come Enzo Motta. Giovanni Marano chiedeva a
Vincenzo Romeo il parere, cioè chiedeva se fosse opportuno… Il Romeo
nell’occasione rappresentava a Marano che Enzo
Motta era una persona poco affidabile e quindi Marano decideva a priori di
non presentare la candidatura di questa persona per farlo entrare nel Consorzio
Jackpot Italia”.
Nel corso delle indagini sono state intercettate altre
conversazioni tra Giovanni Marano e Vincenzo Romeo che proverebbero l’interesse
e le ingerenze del pregiudicato messinese verso il consorzio presieduto da
Filippo Amoroso. “Il 3 ottobre 2014, ad esempio, Marano chiedeva al Romeo
l’utenza telefonica di un imprenditore, Giuseppe Lullo, per potergli parlare ma
Romeo non gli forniva il numero e gli diceva lo avrebbero chiamato nel momento
in cui erano insieme”, ha riferito Benedetto Russo. “Effettivamente pochi
giorni dopo, il 7 ottobre, venivano intercettate delle conversazioni tra
Vincenzo Romeo e un uomo che il Romeo chiamava direttore. Dalla conversazione si capiva che l’uomo era appunto
Giuseppe Lullo. Quest’imprenditore era originario di Oliveto Citrà, Salerno. Si
capiva dalla conversazione tra Romeo e Lullo che vi era un rapporto di lavoro
precedente perché il primo diceva che non
era più il suo agente e quindi non lavorava alle sue dipendenze però
spiegava a Lullo che era stato aperto un consorzio da Amoroso, Vaccarello e da un ragazzo, quello che ti ho presentato, Giovanni Marano. Giuseppe Lullo si
dimostrava a conoscenza della presenza di questo consorzio in Sicilia e lo
stesso Romeo spiegava che egli si era permesso di parlare e di proporre i
prodotti di Lullo ed indirizzare i rapporti commerciali verso di lui. In
un’altra conversazione, il 9 ottobre 2014, Lullo chiedeva a Romeo se per questa
sua opera di intermediazione con il consorzio avesse dovuto mettere da parte
una percentuale, una somma, da corrispondergli e quindi gli chiedeva di
quantificarla. Vincenzo Romeo lasciava piena libertà di azione al suo
interlocutore aggiungendo che per lui erano
più importanti le relazioni d’amicizia. Dopodiché Romeo e Lullo si
mettevano d’accordo per incontrarsi nella
fiera che si sarebbe tenuta a Roma. Effettivamente il 16 ottobre del 2014
Vincenzo Romeo si recava a Roma e partecipava ad una fiera relativa a tutti i
prodotti delle apparecchiature da intrattenimento e dei giochi”.
Le indagini hanno consentito di accertare che tra i soggetti
che avevano promosso la costituzione del Consorzio Jackpot Italia S.r.l. figuravano
numerose società in cui i titolari o gli amministratori avevano legami diretti o indiretti con la
criminalità organizzata. “Il consorzio era stato costituito dalla Jackpot Games S.r.l. di Luigi
Vaccarello il quale era stato indagato nel 2007 insieme a Michele Spina in un
procedimento penale della Procura di Lecce che riguardava la partecipazione
della Primal S.r.l., riconducibile a Spina, ad un bando di gara posto in essere
dall’Aams di Roma”, ha ricordato l’inquirente. “All’interno della Jackpot Game
S.r.l. vi era anche Antonio Vaccarello che era stato denunciato dal Gico della
Guardia di Finanza per esercizio abusivo dell’attività di gioco e gioco
d’azzardo. Poi vi erano le società riconducibili a Filippo Amoroso che, come ho
detto prima, era ritenuto uomo di fiducia della famiglia mafiosa dei Vernengo
di Palermo e si occupava per conto proprio e anche per il sodalizio
riconducibile a Benedetto Tumminia della gestione delle apparecchiature da
intrattenimento per la zona di Palermo e in parte di Trapani. C’era anche la
ditta Teckne S.r.l. di proprietà di Giuseppa Mendola, moglie di Filippo Amoroso.
Poi vi erano la Game & Game Service S.r.l. del napoletano Raffaele Di Dona
che ha avuto legami con Michele Spina nella Primal Game S.r.l. che all’epoca
era in liquidazione. Anche Raffaele Di Dona era stato indagato nell’ambito del
procedimento della Procura di Lecce citato prima e unitamente ad Amedeo Fabozzo
in altre attività relative al gioco di azzardo. Il Fabozzo, originario di
Aversa, aveva pregiudizi per associazione mafiosa. Poi vi erano altre società
tra cui la Play Shop S.r.l. di Catania, la So.Ge.A.T. S.r.l. di Favara,
Agrigento, ecc.. In particolare la Play Shop aveva avuto rapporti direttamente
con Vincenzo Romeo, Giovanni Bevilacqua e Nunzio Massimo Laganà per quanto riguarda l’attività di giochi e scommesse”.
Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 26 settembre 2019, http://www.stampalibera.it/2019/09/26/ecco-il-giro-daffari-multimilionario-a-messina-delle-slot-machine-in-mano-al-clan-romeo-santapaola/?fbclid=IwAR1U63l-_O-GZdMWUSf8juJtvAa8sgQkgQObQYjuUzFwP1E62D3S8RiBq1U
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